L’emergenza cibo a Torino. In Aurora un continuo equilibrio precario tra riscatto e abbandono sociale
Guido: “La vera sfida è far sapere alle persone in estrema difficoltà come e dove recuperare il cibo, cercando di essere i più capillari possibili e non lasciare indietro nessuno”
30 March, 2020
“In questi giorni in alcune parti del mondo si sono evidenziate alcune conseguenze della pandemia. Una è la fame. Si comincia a vedere gente che ha fame perché non può lavorare, perché non aveva un lavoro fisso. Cominciamo già a vedere il dopo. Verrà più tardi ma comincia adesso”. Queste le parole usate da Papa Francesco all'inizio della messa a Santa Marta di sabato 28 marzo. Nella stessa giornata il Governo italiano ha stanziato 4,3 miliardi direttamente ai Comuni per garantire il diritto al cibo, facendo intendere che a beneficiarne saranno anche tutti coloro che normalmente sfuggono alle maglie dei nostrani servizi sociali e caritatevoli.
Intanto Coldiretti ha provato a fare due conti attraverso la banca dati di Agea, dove emerge che a essere in difficoltà oggi, adesso, sono quasi 113 mila senza fissa dimora, oltre 225 mila anziani sopra i 65 anni, e 455 mila bambini di età inferiore ai 15 anni che ricevono aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura. Insomma l’emergenza cibo è appena iniziata e in tutta Italia sono quasi 3 milioni le persone in difficoltà.
Da Palermo arrivano le prime notizie di timidi saccheggi ai supermercati, forse eterodirette da organizzazioni criminali, ma la miccia della bomba sociale è accesa e nessuna zona d’Italia ne è immune. Ad amplificarne l’onda d’urto saranno le periferie delle grandi città. Come in un remake postmoderno di Ladri di biciclette, ma questa volta conosciamo già il finale.
A Torino la situazione era già complicata. Tutta la zona nord della città viveva in un equilibrio precario tra riscatto e abbandono sociale, un equilibrio che rischia di saltare. Prima della chiusura del mercato di Porta Palazzo, abbiamo conosciuto Guido Maglioli che in Aurora aveva cominciato a ridistribuire l’invenduto recuperato dagli Ecomori e le Senitinelle nelle case popolari tra via Aosta e il Giardino Alimonda (ma non solo). Una azione solitaria che continua anche in questi giorni dove il diritto e l’accesso al cibo è garantito tra mille difficoltà. In attesa che le istituzioni prendano in mano la situazione, in questo momento sono i singoli a fare la differenza.
Abbiamo raggiunto Guido al telefono, tra un giro di recupero pane e l’altro, per capire meglio alcune delle situazioni che un quartiere complesso come Aurora sta affrontando.
Ciao Guido mi spieghi come ti è venuta l’idea di darti da fare in prima persona per il tuo quartiere?
Io sono una persona empatica e mi soffermo a capire le necessità delle persone che ho intorno, altri invece sono meno empatici e forse più egoisti. Ho sempre vissuto la strada, mi piace ascoltare le storie della gente e scoprirne la diversità. Aurora è un quartiere bello per questo, ci sono migliaia di storie diverse e di persone che vengono da tutto il mondo. In momenti come questi siamo tutti sulla stessa barca ed è giusto aiutarci.
Come hai capito che in molti cominciano ad aver bisogno di aiuto?
C’erano situazioni di cui ero già a conoscenza. Situazioni di famiglie numerose, migranti già in difficoltà e figuriamoci adesso che è chiuso tutto. C’erano tantissime persone che lavoravano alla giornata, portando a casa lo stretto necessario per pagarsi le spese e fare la spesa per il giorno dopo. Adesso non ci sono sono più soldi disponibili per acquistare beni di prima necessità. Parliamo di tante persone che non riescono a mettersi da parte nulla. E in un momento in cui il lavoro non c’è non c’è nulla da mangiare. Questo è il problema. Qui sono in pochi quelli che hanno qualcosa in banca da usare nell’emergenza. I risparmi, se esistono, sono limitati a poche centinaia di euro. Soldi che finiscono in pochi giorni o forse sono già finiti la settimana scorsa. L’accesso al cibo in Aurora comincia ad essere un problema.
Guardo il quartiere attorno a me e mi sento in dovere di fare qualcosa. Le attività commerciali, quelle aperte ovviamente, sarebbero anche disposte a donare le eccedenze ma non c’è nessuna rete organizzata e strutturata per raccogliere. Alcune realtà ci sono, come le Sentinelle a Porta Palazzo, il Sermig e I Bagni di Via Agliè ma non riescono a rispondere a tutti. Bisogna fare di più e presto.
Quindi mi stai dicendo che la tua sensazione è quella che c’è molta gente che sfugge ai canali più o meno ufficiali di solidarietà e mutuo appoggio organizzati?
Qui nelle case popolari ci sono tantissime storie diverse e particolari. Un esempio sono quelli che vengono chiamati gli ‘abusivi’, oltre a vivere nella paura di esser sbattuti fuori di casa vivevano già una specie di reclusione limitando al massimo i contatti sociali per la paura di esser denunciati. Queste sono persone che hanno timore di raffrontarsi con una istituzione e chiedere aiuto durante l’emergenza. Altri esempi simili arrivano dal mondo dei migranti che non conoscono le regole e la legge italiana. Famiglie con tre o quattro bambini che occupano, che nessuno si sognerebbe mai di cacciare di casa, ma non chiedono aiuto per il timore di perdere un tetto e finire per strada. Questo li fa chiudere ancora di più in se stessi schiacciandoli in una morsa fatale fatta solo di sacrifici. È gente che non usa i social, e di fatto si ritrova esclusa da tutta quella serie di azioni e iniziative sull’accesso al cibo che noi vediamo girare su Facebook. La vera sfida è far sapere alle persone in estrema difficoltà come e dove recuperare il cibo, cercando di essere i più capillari possibili e non lasciare indietro nessuno.