Il Giappone introduce la tassa sui sacchetti in plastica ma il vero problema è l’eccessivo ricorso agli imballaggi
Il Sol Levante ha prodotto nel 2017 circa 9 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, secondo solo agli Stati Uniti che nello stesso anno ha sfornato 35 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica e riciclato meno del 10%
03 August, 2020
Nei nostri supermercati è tutto un imballaggio e negli ultimi anni la quantità di prodotti imballati (specialmente in plastica) continua a crescere. Dalla frutta alla verdura capita sempre più spesso di ritrovare confezionate anche due mele.
Ovviamente non è una “moda” esclusivamente italiana, in tutto il mondo la grande distribuzione ha deciso di fare così perché l’assunto di base è: più imballaggio, più sicurezza. E con l’avvento del Covid il futuro sarà pieno di imballaggi in plastica.
Se in Italia il fenomeno è relativamente giovane, il vero leader mondiale in fatto di merci imballate è il Giappone. Infatti in un recente articolo di Emiko Jozuka per la CNN scopriamo, dati alla mano, che in Giappone anche una singola banana viene avvolta in un involucro di plastica. Ma la profonda dipendenza del Giappone dalla plastica non finisce con il confezionamento di singoli prodotti.
Dei 540 miliardi di sacchetti di plastica usati ogni anno in tutto il mondo, poco più di 30 miliardi sono quelli consumati dai giapponesi e sono secondi solo agli statunitensi che ne usano circa 100 miliardi ogni anno.
Ma dal primo di agosto il governo giapponese ha introdotto una tassa obbligatoria compresa tra 3 e 5 yen (da 2 a 4 centesimi di Euro) per ogni sacchetto di plastica. In pratica ha scelto la linea dei paesi anglosassoni al contrasto dei sacchetti in plastica monouso, come Regno Unito e Stati Uniti, invece che renderli illegali come fatto dai paesi del sud Europa, Italia per prima. Insomma il Giappone comincia a fare i conti con il problema della plastica usa e getta.
Il potere della plastica
L'ossessione del Giappone per la plastica risale agli anni '60 e '70, secondo Roy Larke, (professore alla Waikato University e direttore del portale di business intelligence JapanConsuming). All'epoca, il Giappone era considerato la fabbrica del mondo, ma con il boom dell'economia, il paese ha cercato di trasformare la sua immagine da un produttore di prodotti economici a un rivenditore premuim. Quindi i produttori hanno prestato maggiore attenzione al packaging per attirare i consumatori in cerca di qualità, e gli standard sono stati alzati dai rivenditori perché convinti che gli acquirenti preferiscano un confezionamento elaborato. "I grandi rivenditori – dice Larke - si vedono come arbitri della qualità per il cliente, quindi rifiuteranno imballaggi scadenti che sono troppo semplici".
Nel 1993, l'antropologa Joy Hendry sostenne nel suo libro "Wrapping Culture: Politeness, Presentation in Japan and Other Societies" che la preferenza perscelta di avvolgere gli alimenti in plastica è parte integrante della cultura giapponese del servizio clienti (o omotenashi). Gli articoli più economici possono apparire più esclusivi se avvolti in plastica, scrive Hendry. Dà l'impressione che un negozio offra un servizio migliore e più attento.
"Ridurre Riutilizzare Riciclare?"
Il Giappone può consumare molta plastica, ma promuove anche il riciclaggio come nobile impresa civica, secondo Jeongsoo Yu, esperto di ambiente e vicepreside dell'Università di Tohoku. Ma mentre l'approccio del Giappone alla raccolta differenziata appare sofisticato, in realtà il sistema di riciclaggio del paese viene sopraffatto da ingenti volumi di plastica.
Il Sol Levante ha prodotto nel 2017 circa 9 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, secondo solo agli Stati Uniti che nello stesso anno ha sfornato 35 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica e riciclato meno del 10%.
Il tasso ufficiale di riciclaggio delle materie plastiche del Giappone è dell'84%, secondo il Plastic Waste Management Institute. Un dato importante – e lo è - ma come afferma Chisato Jono (portavoce di Greenpeace) dentro quella percentuale si nasconde qulcosa. “Quando le persone smistano i loro rifiuti di plastica e li buttano via, presumono che si trasformi in un nuovo prodotto di plastica - dice Jono -. Tuttavia, gran parte della plastica messa nei cassonetti non viene convertita in un nuovo prodotto in quanto è di qualità troppo bassa e ce n'è troppa. Alcuni finiscono in discarica, ma la maggioranza - il 56% - viene incenerita per produrre energia. Il processo, noto come "riciclo termico", genera elettricità ma produce anche emissioni di anidride carbonica dannose per l'ambiente”.
Una piccola parte dei rifiuti in plastica del Giappone viene inviata all'estero per essere processata. Nel 2018 il Giappone è stato il più grande esportatore mondiale di rifiuti di plastica e rottami, inviando oltre un milione di tonnellate all'estero rispetto a quasi 900.000 tonnellate inviate dagli Stati Uniti.
Ciò, tuttavia, crea un altro problema perché una volta che i rifiuti di plastica del Giappone passano in un altro territorio, è impossibile sapere come vengono gestiti in altre nazioni. "Non sappiamo – afferma Jono - se (la plastica) viene riciclata correttamente in modi che non influiscono sulla salute delle persone".
Kamikatsu
A livello locale, in alcune aree del Giappone, sono stati presi provvedimenti per ridurre l'uso della plastica. I residenti di Kamikatsu, nel sud del Giappone, una città con una popolazione di 1.490 abitanti, seguono una politica (o filosofia) di "rifiuto zero" dal lontano 2003. Il programma mira a dare priorità alla riduzione dei rifiuti educando i consumatori al riuso.
Nel 2019 la città ha riciclato circa l'80,7% delle 301 tonnellate di rifiuti urbani che ha prodotto, e secondo le autorità locali il dato è maggiore del 20% rispetto alla media nazionale. I rifiuti, inclusi plastica, carta, residui di cibo e vetro, sono suddivisi in 45 categorie, che possono essere raccolti, scambiati o riciclati.
Ma non sono solo le piccole realtà a spingere sull’acceleratore della riduzione dei rifiuti. Già nel 2018 la città di Kameoka (quasi 100 mila abitanti nella prefettura di Kyoto) è diventata la prima città giapponese ad annunciare un programma per vietare la plastica monouso entro il 2030. Dal prossimo gennaio alle attività commerciali sarà vietata la cessione gratuita e a pagamento di sacchetti in plastica monouso.
Il futuro
Mentre l’introduzione della tassa nazionale sui sacchetti in plastica segna una mossa importante per frenare la dipendenza del Giappone dalla plastica, Larke ha avvertito l’obolo appena introdotto potrebbe essere troppo basso per scoraggiare i recidivi: "Se qualcuno ha troppo da trasportare, in particolare in un negozio di alimentari, potrebbe acquistare una borsa. Ma se il costo fosse di 10 yen (8 centesimi) o superiore, sarebbe una storia diversa". Larke ha aggiunto, tuttavia, che i consumatori giapponesi si sono sinceramente impegnati nel riciclaggio e che i fornitori potrebbero invertire le aspettative dei clienti sugli imballaggi in plastica se li integrassero nella loro commercializzazione.
Yu afferma che ora è più che mai necessario passare da una "società usa e getta a una società eco-compatibile". Seguendo le tendenze osservate in gran parte del mondo in via di sviluppo, sempre più giapponesi scelgono di utilizzare bottiglie e borse riutilizzabili.
Ma le persone devono rendersi conto di quanto i loro atteggiamenti possano spostare i modelli di business. "Alcune aziende in Giappone – afferma Jono - hanno paura che gli acquirenti si lamentino se non consegnano gli articoli in sacchetti di plastica, ma se i clienti affermano di non averne bisogno, anche le aziende saranno più inclini a cambiare".
Foto via CNN