A lezione con il Covid: 'Lasciamo che le scuole invadano le città, l'ambiente diventi argomento centrale'
Eco dalle Città ha intervistato Franco Lorenzoni, scrittore e pedagogo: “La crisi climatica e tante altre questioni ambientali saranno in primo piano perché riguardano la vita di miliardi di persone e la scuola deve concentrarsi su questo”
10 September, 2020
Non solo la ricerca di nuovi spazi per garantire la ripresa delle lezioni in sicurezza, ma anche la cultura della cura in ogni processo educativo per rispondere ai giovani della generazione di Greta che chiedono il cambiamento. E’ questa la scuola che vorrebbe Franco Lorenzoni, scrittore e pedagogo, nel 2019 tra i finalisti del premio “Ambientalista dell’anno”, che invita a guardare alla pandemia come un’opportunità per mettere l’ambiente al centro dei processi di apprendimento. “Le crisi sono foriere di nuove idee che devono circolare e funzionare”, ci dice l’autore di testi come “I bambini ci guardano” e aggiunge che in questa fase di ripresa delle attività didattiche dopo il lockdown “è molto importante uscire dalla crisi migliorando e non sperando che tutto torni come prima. Come andava prima andava malissimo”.
Lorenzoni quali sono i principi base per ripartire al meglio e come si può fare della ripartenza un’opportunità anche quando la pandemia da Covid sarà argomento da studiare sui libri di scienze?
Dobbiamo fare un grande investimento in creatività, in fantasia coinvolgendo bambini e ragazzi in prima persona per dire che noi dobbiamo fare scuola in tanti spazi diversi. Ma la scuola da sola non ce la fa a recuperare i tagli che negli anni sono stati fatti. Con l’adozione delle giuste cautele utili per evitare la diffusione del virus c'è il rischio che si trasformino le scuole in carceri con classi “congelate”, in cui non può esserci movimento, ma i ragazzi non sono immobili. Questa situazione è molto pericolosa perché si rischia di tornare indietro di decenni. E quindi c’è un altro problema che mi preoccupa molto e riguarda i ragazzi iperattivi e con disturbi del comportamento e sono una quantità enorme. Non c’è classe che non abbia ragazzi che vivono queste situazioni. Che facciamo? Li puniamo? Li sospendiamo? No, dobbiamo cercare di innovare la didattica per poter tenere dentro tutti e tutti dobbiamo lavorare. E’ un’impresa collettiva.
Se fosse un’operazione di matematica quale sarebbe la formula esatta per ottenere più spazio?
L’unica vera possibilità è lasciare che le scuole invadano le città. C’è un’iniziativa creata da Legambiente molti anni fa in cui le scuole adottavano dei luoghi, artistici o naturali, nelle città o in campagna.
In questo momento invece ci troviamo in una situazione paradossale in cui le scuole hanno la necessità di essere adottate perché abbiamo assoluto bisogno di spazio e di aria aperta da trovare in tutti i contesti possibili: giardini, giardinetti, cortili e piazze, ma anche musei. Un po’ come l’educazione sconfinata proposta dal tavolo “SaltaMuri” a cui nel 2017 hanno aderito più associazioni, con momenti educativi fuori dalle scuole. Ma non sarà semplice perché c’è il problema dei trasporti e della sicurezza, e ci saranno tanti insegnanti impauriti.
Una rivendicazione importante da fare è l’idea di creare attorno alle scuole delle aree pedonali. Girando per le città dobbiamo accorgerci che lì c’è una scuola perché c’è uno spazio destinato ai pedoni. Bisogna pretendere che intorno alle scuole vengano piantati alberi, anche in spazi molto piccoli, per esempio con gli alberi da frutto. Mi piace l’idea che la scuola si possa riconoscere da lontano come un luogo bello esteticamente, accogliente e aperto tutto il giorno e con tanto verde.
Per guadagnare spazio e studiare in sicurezza in alcune città, per esempio a Milano, arriveranno i moduli “che non sono containers”, precisa il sindaco Sala. Potrebbe essere una soluzione?
Se si fanno moduli belli e climaticamente possibili può essere interessante creare nuovi spazi che, una volta finito il Covid, possono essere utilizzati per molteplici usi. Io sono per l’estensione del tempo pieno, per le scuole aperte tutto il giorno. Il fatto che le scuole abbiano più spazi che non siano solo le aule bene venga e non ho non ho niente contro i moduli. L’importante è che non distruggano quel poco di spazio verde che c’è intorno alle scuole.
Sedia con rotelle o banco monoposto? Dal punto di vista della didattica qual è preferibile?
Le sedie con le rotelle hanno sicuramente dei pregi perché consentono di muoversi nello spazio e questo è interessante. Però hanno due difetti molto grandi. Uno è ecologico perché sono fatti di plastica e si possono rompere facilmente per via del tavolino ribaltabile. Inoltre costano tre volte i banchi normali e non permettono lo svolgimento delle attività di gruppo in cui ci si scambiano i materiali. Con i banchi monoposto è diverso. Se li si mettono vicini si può creare uno spazio unico per lo scambio di mappe e libri da consultare insieme. La sedia è ottima per un pc o un tablet ma non è funzionale ad altre attività. L’idea che la scuola non privilegi ma renda come unico possibile il linguaggio digitale non mi convince. La scuola ha una pluralità di linguaggi e il digitale è un linguaggio tra gli altri.
E intanto come gestiamo i banchi biposto per evitare che vadano a finire in discarica? Ci sono scuole che hanno scelto di donarli, altre cercano spazi dove ricoverarli.
Con i banchi a rotelle il danno è stato in parte è stato limitato. Il Ministero pensava di sostituire un milione e mezzo di banchi tradizionali con quelli chiamati impropriamente banchi innovativi, le sedie con le rotelle, che invece saranno 450 mila. Ma rimane il problema di come gestire i banchi tradizionali che adesso non possiamo usare, ma il Covid non è eterno e tra qualche anno potrebbero essere utili. Dunque va bene cercare nuovi spazi dove collocarli, come le caserme. Si potrebbero anche donare, sì, l’importante è evitare che finiscano in discarica.
Sembra invece che non ci siano soluzioni per superare il divieto di usare le mascherine lavabili.
Sulla questione delle mascherine sono convinto che bisogna ancora fare una battaglia. Per esempio le mascherine chirurgiche si possono sanificare e quindi si possono riutilizzare. Credo che l’idea delle mascherine usa e getta per tutte le scuole, 11 milioni al giorno, sia una follia che bisognerebbe evitare. Su questo aspetto non ho una competenza specifica però si possono trovare altre soluzioni.
Ricominciare in sicurezza ma senza impattare sull’ambiente è così difficile?
Sì, è difficile. Tutto è difficile, ma bisogna provarci. Questo è il decennio della cura, al centro di ogni processo educativo ci deve essere la cura. E’ successa una cosa particolare mai verificatasi prima. Per qualche tempo, per alcune settimane in tutti i paesi al mondo l’economia è stata messa in secondo piano rispetto alla salute. Questo è un segno. La crisi climatica e tante altre questioni ambientali saranno in primo piano perché riguardano la vita di miliardi di persone e la scuola deve concentrarsi su questi argomenti. Alexander Langer diceva “fare la pace tra gli uomini e con la natura” e questa pace si costruisce attraverso una partecipazione attiva degli studenti. Dobbiamo fare scuola ai ragazzi della generazione di Greta che chiedono il cambiamento.
Il corpo docente è preparato per affrontare questa sfida?
Non so se siamo in grado ma bisogna provarci e bisogna dare molto rilievo a tutti coloro che riescono a fare delle cose. La scuola da sola nelle situazioni più difficili non ce la fa. Ha bisogno di apporti esterni, di alleanze con le associazioni, con il terzo settore, con le Asl, con i comuni. L’idea di comunità educante che abbia al centro la scuola è fondamentale. La scuola come luogo di trasmissione culturale, non solo come trasmissione di conoscenza, perché dobbiamo inventare una nuova cultura appunto della cura. Gli insegnanti sono preparati? No, non sono preparati. Ce ne sono tanti bravi che fanno cose interessanti. Bisogna che la formazione degli insegnanti sia fatta anche dal basso. Chi riesce a fare cose interessanti racconti quello che fa. Il movimento di educazione cooperativa è la “madre dello yogurt”.
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