'L’economia del futuro deve essere decarbonizzata altrimenti non ha prospettive', intervista ad Edo Ronchi | 2° parte
In occasione degli Stati Generali della Green Economy in programma il 3 e 4 novembre in versione digitale causa Covid, abbiamo raggiunto Eco Ronchi per sapere quali saranno le riflessioni condivise sull'economia verde ai tempi della pandemia
02 November, 2020
di Tiziana Giacalone
Quest’anno Gli Stati Generali della Green Economy lanciano un appello alla Comunità europea facendo da megafono al mondo delle imprese. Di cosa si tratta?
Un appello che qualifica un gruppo consistente di imprese italiane. Per ora l’iniziativa è europea con il gruppo più consistente a livello comunitario che si è espresso per tenere alta l’attenzione climatica nell’uso del Recovery fund. Abbiamo il timore che finanziando gli interventi per il clima possa finanziare anche gli investimenti che generano le emissioni di gas serra. Pensi a certe rottamazioni alla leggera di veicoli ad emissioni di Co2, oppure a certe infrastrutture stradali che comportano aumento di emissioni di gas serra. Insomma bisogna essere coerenti anche perché l’investimento nella carbonizzazione cioè in infrastrutture e impianti che abbiano elevate emissioni di gas serra o che abbiano comunque un aumento di gas serra è un investimento di corto respiro visto che significa buttare via i soldi. E quindi noi siamo convinti che destinare il 37% degli investimenti del Recovery and Resilience Facility, il più importante strumento di finanziamento del pacchetto Next Generation Eu, a favore del clima sia una quota apparentemente consistente ma in realtà è bassa. Bisogna portarla almeno al 50% anche per finanziare le misure di adattamento climatico di cui dicevamo prima, per la prevenzione del dissesto idrogeologico e l’aumento della resilienza del territorio verso le alluvioni e anche verso le ondate di calore.
Da ex subcommissario per il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto, cosa ne pensa della possibilità di finanziare l’impianto con il Recovery fund?
Non si finanzia più il carbone ma si finanzia la conversione verso l’idrogeno o tecnologie intermedie che abbassino le emissioni di gas serra, questo vuol dire. Quindi benissimo investire nell’Ilva ma non nell’altoforno a carbone, ma nelle misure verso la conversione all’idrogeno. Ovviamente nessuno pensa che si possa fare la conversione dell’Ilva all’idrogeno in 6 mesi. Forse neanche in qualche anno. Si tratta di investire verso la transizione anche prevedendo tappe intermedie. L’importante è che non si tenda a mantenere o aumentare le emissioni di gas serra, ma per ridurre le emissioni di gas serra.
Di recente l’Italia ha iniziato a recepire il pacchetto di direttive sull’economia circolare. Siamo sulla buona strada? L’emanazione dei decreti “End of waste”, per il riutilizzo delle materie prime seconde, procede a rilento...
Anche in questo caso, negli anni come Fondazione sullo sviluppo sostenibile ci siamo battuti parecchio. Tutti d’accordo sull’economia circolare. Del resto chi vuole mantenere un’economia inefficiente basata sullo spreco delle risorse con alti costi? Poi però quando si tratta di fare le misure non si riescono a cogliere le priorità. Il riciclo va favorito e agevolato. L’End of waste nella normativa europea è una procedura che con le nuove direttive è stata semplificata favorendo, con l’autorizzazione “caso per caso”, la procedura più semplice per il riutilizzo dei materiali. Noi in Italia cosa abbiamo fatto? Con sofferenza abbiamo recepito il potere di affidare alle Regioni le autorizzazioni al riciclo “caso per caso”. Ma siamo l’unico paese europeo che ha istituito una specie di procedura speciale di controllo di secondo livello affidata all’Ispra. Una procedura bizantina che ha come effetto l’appesantimento del riciclo con l’End of waste, rendendolo più complicato rispetto allo smaltimento e all’incenerimento. Speravamo nel pacchetto di recepimento delle direttive per semplificare certi passaggi. Ma non è accaduto.
Le percentuali di raccolta differenziata raggiunte in Italia sono sempre più alte. Ma il sistema impiantistico è adeguato al trattamento delle frazioni raccolte separatamente?
Se vuoi fare il riciclo hai bisogno di impianti che facciano la una buona selezione, una buona preparazione e una buona attività di riciclo. E’ evidente. Siamo tra i leader europei del riciclo quindi gli impianti li abbiamo. In alcune regioni sono carenti e succede che i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata viaggino per centinaia di chilometri. Compreso l’organico che per l’80% è perlopiù formato da acqua. Se portiamo questi rifiuti in giro verso le località in cui ci sono gli impianti direi che questa non è una buona soluzione anche dal punto di vista degli impatti energetici e ambientali.
Per accelerare la transizione verso l’economia circolare occorre non solo favorire il riciclo ma fare in modo che i materiali abbiamo un mercato. Che spinta potrebbe arrivare dall’applicazione dei cosiddetti appalti verdi, obbligatori ma poco utilizzati?
Nel network delle Green city, dove abbiamo fatto un po’ di istruttoria sul tema degli appalti verdi, risulta che le amministrazioni, soprattutto quelle piccole, hanno bisogno di essere supportate tecnicamente. Abbiamo proposto l’intervento dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, come supporto anche per stipulare questi appalti verdi che richiedono modalità tecniche e anche capacità di conoscere il mercato e le produzioni, per sapere se le specifiche che istruiscono poi corrispondono ai prodotti che io trovo sul mercato. Questa capacità ce l’hanno poche Regioni e pochi Comuni. Quindi molte stazioni appaltanti, pur avendo in genere buone intenzioni trovano difficoltà a gestire in maniera efficace gli appalti pubblici verdi. Non è semplice compilare la parte del bando sulle prescrizioni delle caratteristiche che devono avere i beni e i servizi forniti. È una difficoltà operativa che abbiamo riscontrato tra gli amministratori che vogliono applicare davvero i Criteri ambientali minimi, non quelli che cercano le scuse per non fare niente.