LETTI PER VOI - L’Ufficio biciclette non trova le ruote
In comune aperto 5 anni fa e subito chiuso - da La Stampa del 20.11.2005
22 November, 2005
<b>Andrea Rossi</B>
Ogni giorno, a decine si infilano nel cuore del traffico impazzito. Dribblano le auto, si fiondano sui marciapiedi, o nel bel mezzo della carreggiata, si districano tra selve di motorini e furgoni. Detestano automobilisti e pedoni (cordialmente contraccambiati) e, da una settimana, anche il Comune di Torino. E ieri pomeriggio hanno portato in piazza il loro malcontento, al cospetto del Conte Verde, in piazza Palazzini come la chiamano loro, dal nome di un ciclista torinese travolto da un'auto nell'ottobre del 2004. Ognuno al fianco della propria bicicletta. Davanti al municipio.
Già il Comune. Cinque anni fa aveva aperto l'Ufficio biciclette, affidato a Antinore Vicari, un «esperto» in materia, nel bel mezzo della proliferazione delle consulenze. Oggi, quell'ufficio è già scomparso. Chiuso, mancano i soldi, è un lusso che non ci si può permettere. Vittima dei tagli agli enti locali che hanno costretto l'amministrazione a imbracciare il machete e fare strage del superfluo. «Tremonti gli ha sgonfiato le ruote», commentano i ciclisti sabaudi.
Avrebbe dovuto coordinare il lavoro di una decina di enti e assessorati, fungere da punto di mediazione tra istituzioni e cittadini. E adesso? Il Comune giura che non si tratta di una marcia indietro, bensì di una dolorosa rinuncia. Nonostante tutto, le biciclette continueranno a essere messe a disposizione, in estate (anche se periodi e orari sono stati ridotti) e le piste ciclabili monitorate. La Torino che va in bici però non si fida. È una minoranza tutt'altro che risicata (quasi il 10 per cento della popolazione), senza dubbio battagliera. Un piccolo esercito di temerari che tutti i giorni sfida le insidie di una città di per sé poco «ciclabile», e ora ridotta a cantiere permanente. E non si tratta di chi la bici la usa per divertimento; molti torinesi scelgono le due ruote al posto di auto e mezzi pubblici, per andare a scuola o al lavoro.
Sono circa settantamila, e quotidianamente lottano contro una serie di pericoli. A cominciare dalle piste ciclabili. Solo a Torino esistono 100 chilometri di asfalto dedicati ai forzati della bicicletta: fino a dieci anni fa si trattava per lo più di aree a sé stanti, scarsamente collegate tra loro e concepite in un primo momento per il tempo libero. Mancava, insomma, una vera e propria rete, lacuna che negli ultimi anni si è cercato di colmare, senza tuttavia risolvere il problema dell'attraversamento dei grandi corsi.
E poi, il traffico, e gli incidenti. Secondo alcune stime, oltre un ciclista su tre ha avuto un incidente. Colpa delle auto, ma non sempre: spesso ci si mette qualche manovra spericolata, o un inconveniente, come i binari dei tram, autentico flagello dei ciclisti cittadini. Per non parlare dei pedoni, con cui sovente ci si trova a condividere gli stessi risicati metri quadrati di marciapiede. Quei pedoni che invadono gli spazi, e i cui spazi sono altrettanto invasi (portici, marciapiedi), con l'effetto di scatenare liti furiose in mezzo alla strada.
E ancora, pochi parcheggi e moltissimi furti: chi si muove in città è costretto a optare per il «muletto», cioè il mezzo di riserva, quello ridotto ai minimi termini. Una scelta obbligata: negli ultimi anni sono state installate più di mille rastrelliere, ma in alcune zone, e Porta Nuova è un esempio lampante, la situazione è tutt'altro che risolta. Il risultato è il parcheggio selvaggio, per la gioia dei ladri di biciclette.