Crescita e ambiente non sono incompatibili
Il ministro dell'ambiente britanico Margaret Beckett: l'economia può essere competitiva e non inquinante - da La Stampa del 21.12.2005
21 December, 2005
Margaret Beckett
Gli esiti dei colloqui dell’Onu sul cambiamento climatico svoltisi recentemente a Montreal sono stati accolti con favore dagli ambientalisti e dagli opinion-former, ed hanno dimostrato con chiarezza alle imprese che i tagli alle emissioni di gas serra devono essere mantenuti: caratterizzeranno il nostro mondo economico e politico per il prossimo futuro.
Ciò andrà a ripercuotersi negativamente sui livelli di crescita cui aspirano naturalmente tutte le nazioni? Non necessariamente. L’ex-Presidente degli Usa Bill Clinton ha trovato ascolto a Montreal quando ha detto che l’Amministrazione Bush «ha decisamente torto» nel sostenere che la riduzione delle emissioni per combattere il surriscaldamento del globo danneggerebbe l’economia statunitense. Clinton ha affermato che «con un serio sforzo disciplinato» volto a sviluppare tecnologie per il risparmio energetico, «noi potremmo realizzare e superare gli obiettivi di Kyoto in una maniera che rafforzerebbe, invece di indebolire, le nostre economie».
Le società statunitensi hanno in effetti fatto da battistrada nel mostrare che si possono realizzare massicci risparmi riducendo il consumo energetico. Di recente, il Low Carbon Leaders Award è stato assegnato alla Dupont per gli straordinari risultati record riguardanti la riduzione delle emissioni di gas serra, realizzando un incredibile 72% di riduzione fra il 1990 ed il 2003, con un risparmio di 2 miliardi di dollari dal 1990 mediante tagli ai propri consumi energetici.
Le imprese lungimiranti competono per sfruttare le nuove tecnologie che ci permetteranno di allontanarci da una crescita che richiede emissioni elevate. L’energia eolica ha rappresentato un’importante voce delle esportazioni per la Danimarca; le società petrolifere e di energia elettrica competono per dimostrare le proprie tecniche di gasificazione dei carburanti fossili e per mostrare il modo in cui il carbonio emesso può venire isolato nel sottosuolo.
Nel Regno Unito, la cittadina di Woking ha ridotto i consumi energetici del 40% nei propri edifici comunali e le emissioni di biossido di carbonio del 77% rispetto ai livelli del 1990, risparmiando 8 milioni di euro sui costi per l’energia elettrica e le forniture idriche comunali. Se una cittadina delle dimensioni di Woking riesce a realizzare questo risparmio, quali livelli di risparmio potrebbero essere effettuati, allora, da città come Roma o Milano?
L’esperienza britannica ci insegna che, elaborando opportune politiche, i costi per tutta l’economia connessi ad un intervento immediato di lotta al cambiamento climatico sono relativamente limitati. La nostra economia è cresciuta dal 1990 del 39% ed abbiamo ridotto le emissioni di gas nocivi del 12,6%. Gran parte di questi cambiamenti è stata generata dall’efficienza energetica, dal controllo dell’inquinamento e da altre politiche che hanno ridotto le emissioni di gas non CO2 con effetto serra. Guardando al futuro, i modelli indicano che nel Regno Unito il costo legato alla riduzione delle emissioni di biossido di carbonio del 60% entro il 2050 equivarranno ad una cifra compresa fra lo 0.5 ed il 2% del PIL, ovvero ad un rallentamento della crescita economica di soli sei mesi nell’arco di 50 anni.
Siamo pienamente favorevoli alla revisione delle attuali ricerche scientifiche sul cambiamento climatico e sui relativi aspetti socioeconomici ad opera della Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico. Per comprendere meglio le sfide economiche e come risolverle, sia nel Regno Unito che a livello mondiale, Sir Nicholas Stern, già economista capo della Banca Mondiale ed attuale consigliere del governo britannico per lo sviluppo ed il cambiamento climatico, sta studiando il rapporto fra crescita economica, cambiamento climatico e risposte politiche, gli impatti del cambiamento climatico nei Paesi sviluppati ed in via di sviluppo, i possibili interventi per ridurre le emissioni di gas serra da impieghi energetici e da altre fonti, nonché le relative politiche nazionali ed internazionali.
È vitale sviluppare ulteriormente l’azione collettiva concordata dalle nazioni sviluppate ed in via di sviluppo a Montreal per spostarci verso un’economia a basso tenore di carbonio. Come ha affermato Clinton, «Ormai non si può più dubitare che il cambiamento climatico è un fatto reale, accelerato e causato dalle attività umane». Il Terzo Rapporto di Valutazione dell’IPPC, la conferenza britannica «Avoiding Dangerous Climate Change» (evitare un pericoloso cambiamento climatico) e la dichiarazione delle Accademie di scienze congiunte sottolineano che la realtà delle cause e degli effetti del cambiamento climatico sta diventando sempre più forte. Le uniche incertezze riguardano la dimensione ed i tempi del futuro cambiamento climatico.
Le osservazioni di Clinton sfatano la leggenda secondo cui dovremmo scegliere fra crescita economica ed emissioni ridotte. La sfida per i Paesi industrializzati come l’Italia ed il Regno Unito consiste nello sfruttare la possibilità data da tecnologie di risparmio energetico ed a basso tenore di carbonio di sviluppare economie più forti e più competitive. Non è più difendibile il concetto secondo cui possiamo crescere economicamente senza ridurre l’impatto del nostro utilizzo delle risorse naturali sul pianeta. Ma, con la pianificazione e la previdenza, potremo trasformare i cambiamenti necessari nelle attuali tecnologie in opportunità di crescita costante e di prosperità fondata su basi più solide.
Segretario di Stato per l’Ambiente e gli affari alimentari e agricoli