Futuro sostenibile
Il settore delle bioplastiche è ancora di nicchia, ma in costante e rapida crescita. Numerose le applicazioni: dai piatti alle posate e ai bicchieri, fino ai sacchetti per la raccolta differenziata e agli imballaggi per frutta e verdura. In Francia il governo ha varato un piano a sostegno. E in Italia? - da Ecosportello del 19.06.2006
19 June, 2006
Il petrolio scarseggia. I prezzi schizzano. E soprattutto la domanda di prodotti a basso impatto ambientale cresce. Il contesto sembra dunque sempre più favorevole allo sviluppo delle bioplastiche. Il termine potrebbe suscitare qualche perplessità negli ambientalisti e in effetti non sono mancati, e non mancano anche oggi, soggetti economici che promuovono prodotti che si fregiano del suffisso "bio" senza poter garantire né alcuna funzionalità innovativa, laddove il bio sta per biodegradabilità, né alcun cambiamento nelle fasi di processo. In realtà il settore delle plastiche biodegradabili è ancora un "nano" rispetto alle capacità produttive e ai consumi delle plastiche non biodegradabili. Ma è uno dei campi dove la ricerca realmente orientata alle tematiche ambientali ha dato e sta dando i risultati più interessanti.
Le plastiche biodegradabili possono rappresentare una soluzione ai sempre più onerosi, sia in termini economici che ambientali, problemi di smaltimento post consumo. Ma non possono, per ammissione di alcuni degli attori del settore, rappresentare un'opzione per incrementare ulteriormente la quota di imballi. Il rischio, ovviamente, esiste. Così come è indispensabile un contesto normativo e di standardizzazione molto stringente, oggi ampiamente consolidato in Europa, Giappone, Stati Uniti e Australia, e un obiettivo strategico.
"Per alcuni attori di questo settore - spiega Walter Ganapini, membro onorario del Comitato Scientifico dell'Agenzia europea per l'ambiente ed ex presidente dell'ANPA, oggi presidente di Greenpeace Italia spiega a EcosportelloNews - il futuro è rappresentato dal ruolo crescente delle materie prime rinnovabili: bioplastiche che derivino sempre di più da produzioni agricole avendo, però, come punto di riferimento sempre il ciclo di vita dei prodotti e le dichiarazioni ambientali certificate. Per altri, invece, la funzionalità intesa come biodegradazione e compostabilità rimane l'unico obiettivo e strategicamente la ricerca è orientata solo a migliorare performance economiche e industriali".
Chi scommette sulle bioplastiche
La presenza di attori indipendenti (come l'italiana Novamont) e di multinazionali del settore agroalimentare (come la statunitense Cargill) o dell'industria chimica (come la tedesca Basf) pone, poi, altri interrogativi sull'origine delle materie prime (OGM o non OGM) e sul ruolo della ricerca nel campo dei rinnovabili o dei prodotti derivati da fossili.<!--[endif]-->
Legambiente fissa i paletti: "Il settore - precisa Stefano Ciafani, coordinatore dell'Ufficio scientifico di Legambiente - non deve assolutamente diventare il cavallo di Troia per un utilizzo generalizzato di materia prima Ogm. L'attenzione deve rimanere alta soprattutto per evitare che prodotti modificati geneticamente vengano utilizzati in applicazioni destinate, una volta smaltite, al compostaggio, dalle vaschette per frutta e verdura ai sacchetti per la raccolta differenziata dell'organico".
Fissati i paletti, un'importante spinta d'indirizzo al settore delle bioplastiche può arrivare dalle autorità pubbliche a livello europeo e nazionale, che hanno la possibilità di favorire lo sviluppo di una nuova industria chimica da materie prime rinnovabili con un focus sulle prestazioni ambientali.
Pioniere in questo campo è stata la Francia che nello scorso mese di gennaio ha approvato una legge che mette al bando gli shopper non biodegradabili a partire dal 2010. Il provvedimento è particolarmente rilevante perché in Francia, diversamente che in altri paesi europei come l'Italia, la raccolta differenziata della frazione organica (che è uno dei principali campi d'applicazione delle plastiche biodegradabili e compostabili) è agli albori. Ma il Parlamento e il Governo hanno individuato in questo provvedimento un'opportunità per introdurre una barriera competitività nei confronti della concorrenza a basso costo asiatica e offrire un'opportunità alla potente industria agricola locale (il paese è leader in Europa nella produzione di mais).
"L'Italia deve e può orientarsi verso le bioplastiche - dice Francesco Ferrante, capogruppo dell'Ulivo in Commissione ambiente del Senato e direttore generale di Legambiente. Come per i biocarburanti sono necessari piani di sostegno. Va studiato un meccanismo di premialità e penalità - spiega Ferrante -, in modo da penalizzare fiscalmente prodotti e filiere a maggior impatto ambientale e valorizzare invece chi scommette su innovazione e sostenibilità. Le materie prime di origine fossile, come il petrolio, costano inoltre sempre di più e sono le principali sorgenti di emissioni che stanno mettendo l'Italia fuori gioco per quel che riguarda il rispetto degli obiettivi di Kyoto. Bisogna agire subito su più fronti, dalle bioplastiche, ai biocarburanti, dall'efficienza alle risorse energetiche rinnovabili".
Un mercato di nicchia, ma in rapida crescita
Circa trecentomila tonnellate, i due terzi da fonti rinnovabili, il resto derivato da fonti fossili. La capacità produttiva del settore delle bioplastiche è ancora limitata anche se tutte le previsioni sono ottimistiche. Il campo d'applicazione più conosciuto è quello dei sacchi per la raccolta differenziata delle frazioni organiche e degli sfalci erbosi: alcune migliaia di municipalità in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia hanno adottato questi prodotti perché permettono di intercettare maggiori quantità di residui alimentari e erbosi assicurandone un facile e efficiente avvio al compostaggio.
Ma il mondo delle bioplastiche ha ampliato il campo d'applicazione ad altri imballaggi (prevalentemente quelli alimentari per prodotti freschi e d'uso immediato), alla foglia espansa (utilizzata come imballo per prodotti elettronici), al settore della ristorazione collettiva (stoviglie monouso) e soprattutto all'agricoltura (film per pacciamatura agricola, vasi per florovivaistica, clip e legacci). Oggi la capacità produttiva più consistente è quella messa in campo dalla statunitense Cargill, multinazionale agroindustriale che ha rilevato la joint venture inizialmente costituita con Dow.
Cargill dichiara una capacità di 140000 tonnellate di pla (acido polilattico ottenuto dall'amido di mais) dello stabilimento sito nel Nebraska che viene commercializzato con il marchio NatureWorks. La leadership di mercato italiano oggi è dell'italiana Novamont che dichiara una capacità produttiva di 35000 tonnellate (20000 nello stabilimento di Terni e 15000 in licenza ad altri produttori) di Mater-Bi, una famiglia di bioplastiche contenenti amido di mais per diverse applicazioni con differenti gradi di rinnovabilità. Terzo attore del mercato è sicuramente la tedesca Basf che produce e commercializza un poliestere di origine fossile, commercializzato con il marchio Ecoflex, per il quale dichiara una capacità produttiva di 8000 tonnellate.
Esistono poi diversi altri attori minori, quasi tutti rappresentati nella nuova associazione europea, European Bioplastics (www.european-bioplastics.org) nata a gennaio sull'evoluzione dell'IBAW, che conta 60 aderenti tra produttori, Università, istituti di ricerca e utilizzatori finali. L'associazione terrà dal 21 al 22 novembre al Crowne Hotel Plaza di Bruxelles una conferenza europea sulle bioplastiche nel corso della quale gli attori di questo settore si confronteranno con le istituzioni comunitarie con l'obiettivo di definire i piani di azione e di sostegno che possano favorire uno sviluppo competitivo di questa nuova industria che ha sinora mostrato grande attenzione alle tematiche ambientali, sia in termini di standard sia per lo sviluppo di sistemi di valutazione e impatto certificati (LCA e EPD).
Bioraffineria per il futuro
L'Italia non sta a guardare, almeno per quel che riguarda i privati. A luglio partirà infatti il primo modulo della raffineria verde di Novamont. È solo il primo passo per un progetto di più ampio respiro che Novamont intende lanciare il prossimo ottobre a Novara in una conferenza nazionale. L'azienda sta investendo circa 15 milioni di euro in Umbria, nell'area dell'ex polo chimico di Terni, che raddoppierà potenzialità della produzione di bioplastiche valorizzando la produzione agricola del territorio. Attualmente la capacità del sito ternano è pari a 20mila tonnellate, prevalentemente a base di amido di mais.
La costruzione della bioraffineria per la parte di produzione dei biopoliesteri è attualmente in fase di completamento - ha sottolineato Catia Bastioli, Amministratore delegato della società in un'intervista alla testata Polimerica - il primo impianto sarà avviato a luglio ed uno di maggiore capacità entrerà in funzione nell'estate 2007".
La bioraffineria partirà da amido e oli vegetali e darà origine a biopoliesteri (che avranno il marchio Origo-Bi), a loro volta impiegati nella composizione delle bioplastiche Mater-Bi, utilizzate già oggi in una vasta gamma di applicazioni, dai sacchetti per i rifiuti compostabili ai prodotti usa-e-getta, dai pannolini fino agli additivi per la produzione di pneumatici. "Abbiamo siglato un accordo con la Coldiretti per selezionare specifiche coltivazioni destinate a questo scopo ha aggiunto Bastioli - Una risorsa importante per il settore agricolo della regione, considerando che gli incentivi comunitari verranno presto a mancare".
Contaminazione dell'industria chimica tradizionale
La bioraffineria non si limiterà alla produzione di bioplastiche: "Stiamo pensando ad altri prodotti, per esempio intermedi per l'industria chimica a base di oli vegetali - spiega l'AD di Novamont -. L'idea di fondo è quella di creare un nuovo modello di sviluppo sostenibile, attivando partnership con altri operatori economici italiani e creando innovazione tecnologica". Una sorta di filiera bio-industriale, in grado di partire da materie prime di origine agricola per produrresistemi ambientalmente ed economicamente sostenibili e non materialisemplicemente alternativi a quelli realizzati con plastiche di origine petrolchimica.
Il legame con il territorio viene più volte sottolineato dalla Bastioli: "Bisogna iniziare a considerare non solo i costi delle materie prime, ma quelli dell'intera filiera di produzione, distribuzione e smaltimento che includono i costi di natura ambientale e sociale connessi con la qualità del territorio in cui viviamo. Comprare plastiche prodotte a migliaia di chilometri di distanza dove tali standard non sono rispettati significa condannare il nostro territorio a diminuire la propria qualità della vita e non spronare le aree in via di sviluppo ad una maggiore responsabilità sociale. La nostra idea è quella di attivare impianti integrati nei più importanti territori di destinazione dei nostri prodotti, che accorcino la filiera del valore facilitando partnership dinamiche locali nella logica della competitività ambientale di impresa".