Un clima diverso. Anche in Italia
Edo Ronchi da L'Unità del 06.02.2007
06 February, 2007
Edo Ronchi
L' allarme cambiamento climatico è chiaro, elevato, ufficialmente sancito da un rapporto (il quarto) degli scienziati, di tutti i Paesi del mondo, incaricati dai governi, al massimo livello internazionale, quello delle Nazioni Unite. Circa un mese fa lo stesso allarme era stato anticipato con un documento ufficiale della Commissione Europea. Ma cosa possiamo realisticamente fare, noi, in Italia, per contribuire a per fronteggiare quella che si configura come la più grave crisi ambientale nella storia dell'umanità, limitarne i danni e impedire che evolva verso esiti catastrofici?
Sarebbe bene provare a rompere gli schieramenti passati e puntare a costruire un ampio accordo sull'effettivo ed elevato livello di priorità politica del cambiamento climatico. Nonostante le ormai innegabili evidenze, in Italia, il cambiamento climatico non è ancora una priorità nell'agenda politica, né vi è un’intesa ampia e realmente condivisa su tale priorità. Continuo a sentire, anche in Parlamento, gli stessi argomenti che frenavano l'iniziativa dieci anni fa, quando, per il governo italiano, seguivo la trattativa per il protocollo di Kyoto: quello che possiamo fare noi non sarebbe rilevante, dovremmo aspettare che prima si muovano altri Paesi, noi non potremmo fare di più perché una riduzione dei gas serra (cioè l'applicazione del Protocollo di Kyoto) avrebbe per l'Italia costi economici insostenibili per la nostra competitività economica.
Altri Paesi, come la Germania e il Regno Unito, intanto si sono mossi riducendo notevolmente le loro emissioni, e con una crescita economica superiore alla nostra. Se si valutano i costi del cambiamento climatico (come ha fatto il governo inglese col rapporto Stern) ci si accorge che quelli, anche economici, delle mancate misure di riduzione delle emissioni sono molto più elevati di quelli della loro attuazione. Vanno anche tenuti in debito conto la riduzione della dipendenza dall'importazione di fossili e la riduzione del costo, sempre più elevato, di tali importazioni, oltre ai costi che si dovranno pagare per le emissioni di gas serra in più di quelle consentite dal protocollo di Kyoto e dalla direttiva Europea che regola gli impianti con maggiori emissioni. La stima prudenziale del costo delle circa cento milioni di tonnellate di gas serra che emettiamo in più rispetto a quelle consentite dal protocollo di Kyoto è di 1,5 miliardi di euro all'anno. Sarebbe meglio investire tale somma per sviluppare una nuova politica energetica e industriale in Italia, con benefici occupazionali ed economici rilevanti, piuttosto che sborsarli come sanzioni o per acquistare all'estero permessi di emissione.
La strategia europea, che propone di guidare, e trascinare, lo schieramento internazionale per il clima, che punta a fare dell'economia a basso contenuto di carbonio il perno di una nuova rivoluzione industriale, non è una passeggiata. Ma non vedo alternative. Questa sfida globale sarebbe sicuramente persa, con danni che, in un paio di decenni, potrebbero diventare irrimediabili, se dovesse prevalere l'attendismo, il mettersi in coda, contribuendo a rallentare l'impegno di tutti.
I settori nei quali produciamo la maggior parte, e la maggiore crescita, delle nostre emissioni di gas serra sono i trasporti e la produzione di energia elettrica.
Proseguendo la riflessione proposta da l’Unità, in particolare con l'intervento di Pietro Greco, avanzo alcune idee su ciò che si potrebbe fare, in Italia, di più impegnativo, ma fattibile, per il clima. Si potrebbe stabilire una quota, obbligatoria e consistente, di biodiesel per i mezzi, con motore diesel, adibiti a trasporto pubblico,con priorità per gli autobus e per i treni(ce ne sono ancora con motrici diesel). Stabilire che tutti i nuovi autobus,a partire da una certa data,siano alimentati a metano o con biocarburanti. Stabilire che ogni veicolo a motore,per il trasporto di persone o di merci,sia fornito di un foglio con annotate le emissioni di C02 per chilometro, in modo che, mensilmente, moltiplicandolo per i chilometri percorsi, si conoscano le emissioni di gas serra prodotte.Andrebbe introdotta una carbon tax almeno nel settore dei trasporti,proporzionata alle emissioni di CO2. Gli introiti della carbon tax sulle emissioni di gas serra nei trasporti dovrebbero essere destinati ad incrementare gli interventi per la mobilità sostenibile (mezzi pubblici più ecologici, treni, mobilità ciclopedonale ecc.). Chi inquina di più va disincentivato, deve sapere che pagherà di più.Tutte le auto, e gli autocarri, in vendita, dovrebbero dichiarare ed esporre obbligatoriamente in maniera visibile, anche nella pubblicità, le emissioni di CO2 per ogni chilometro percorso. Si potrebbe avviare con l'industria automobilistica un progetto, che circolava anni fa e poi fu abbandonato, per produrre, nei tempi più rapidi possibili, un'auto a bassissimi consumi (almeno 50 chilometri con un litro,con emissioni, quindi, di CO2 inferiori di circa il 75% di quelle della media delle auto circolanti) a costi non eccessivi e con reale impegno per una larga diffusione.
Nel settore dell'energia elettrica vanno affrontati due problemi prioritari: un aumento troppo elevato dei consumi elettrici e una crescita toppo lenta delle fonti rinnovabili. E andrebbe rivista una scelta: l'aumento in corso, e programmato per i prossimi anni, della quota di carbone impiegato per produrre elettricità. Se aumenta, ora,con le tecnologie attualmente utilizzate,la quota di carbone (che rispetto al gas emette più del doppio di Co2 per chilowattora ), le emissioni di gas serra nel settore elettrico aumentano e l'impegno per l'efficienza e le rinnovabili avrà la stessa efficacia dell'acqua versata in un secchio con un grosso buco che viene allargato. Si sviluppi, invece, e con maggiore impegno, la tecnologia della cattura e del sequestro della CO2 che potrebbe consentire un uso pulito del carbone.
Nell’incremento del risparmio e dell'efficienza energetica ed elettrica sono state avviate, con la finanziaria, misure significative per i consumi domestici e industriali. L'impegno deve proseguire. Nell'efficienza e nel risparmio si possono ottenere risultati consistenti in tempi relativamente brevi. Si potrebbe, per esempio,dare conto in bolletta dei consumi annuali di ogni utenza e stabilire riduzioni premiali della tariffa se vengono ridotti i consumi rispetto all'anno precedente. Occorrerebbero standard minimi obbligatori di rendimento energetico che portino, entro un termine ragionevole,ad un divieto di uso di scalda acqua elettrici e di altri apparecchi simili che sprecano energia elettrica e che sono facilmente sostituibili con altri ben più efficienti.
Le energie rinnovabili tutti le vogliono, ma in Italia non crescono. Perché? In passato si diceva che non potevano crescere, che sarebbero rimaste comunque marginali. Poi sono arrivate le sorprese. La Germania, per esempio, ha varato,e sta attuando, un programma di sostituzione del nucleare con le rinnovabili ed ha installato 19 mila megawatt di impianti eolici (in Italia siamo a meno di duemila). Le rinnovabili possono crescere, e stanno crescendo in altri Paesi (Germania, Giappone, Danimarca, Spagna ecc). Noi, dopo essere stati fra i primi con le centrali idroelettriche costruite dai nostri nonni, siamo rimasti indietro. Il nostro sistema di incentivazione basato sui certificati verdi, su quote d'obbligo che diventano tetti limitanti, è inadeguato e andrebbe cambiato adottando il sistema che ha prodotto i migliori risultati: quello tedesco.
Troppe Regioni e troppi Comuni si impegnano poco per far sviluppare le rinnovabili: ci sono troppe moratorie, troppe lentezze, troppi ostacoli. Occorre costruire un quadro condiviso delle nuove politiche energetiche fra lo Stato (e tutti i ministeri coinvolti), le Regioni e gli Enti locali, con un Programma nazionale condiviso, coordinato da un Consiglio superiore dell’energia, formato da tutti i livelli istituzionali della Repubblica.
L'obiettivo indicativo europeo del 25% dell'energia elettrica da fonti rinnovabili (siamo al 16%) dovrebbe diventare un obiettivo obbligatorio e una prima tappa per un'ulteriore crescita successiva. L'impegno per raggiungerlo andrebbe ripartito equamente fra le Regioni. Chi lo realizza riceve un premio, chi lo manca una penalizzazione. Le rinnovabili richiedono piccoli impianti, diffusi sul territorio. Il ruolo dei Comuni per la loro diffusione è decisivo. Le procedure per le autorizzazioni non possono essere così lunghe, gli esiti così incerti.Certo che va assicurata la tutela ambientale, ma senza ipocrisie e infondate esagerazioni. Senza un forte sviluppo delle fonti rinnovabili (tutte) non è possibile fronteggiare il più grave problema ambientale della nostra epoca.
E per sviluppare, promuovere, implementare, tutte le rinnovabili (eoliche, idriche, solari, da biomasse, geotermiche) occorrono tecnologie, impianti, conoscenza e competenza tecnica, che in Italia non sono disponibili in maniera diffusa. Occorre un supporto tecnico per i comuni, le piccole imprese, i cittadini: una vera e propria Agenzia per la promozione delle fonti rinnovabili (e dell'efficienza energetica). Potrebbe essere una funzione svolta dall'Enea, con una riorganizzazione ed un rafforzamento, con l'assunzione di almeno un migliaio di giovani tecnici competenti e motivati.