Inquinamento atmosferico e qualità dell’aria in Pianura Padana
Intervista a Alessandro Bratti, Direttore ARPA Emilia-Romagna - dalla Newsletter Alleanza per il Clima
20 February, 2007
<i>A pochi giorni dal dibattito su “Qualità dell’aria nella Pianura Padana ed effetto serra” il 28 febbraio a Verona, la “superdomenica” del 25 vedrà il blocco del traffico in numerose città e centri minori, a seguito di un accordo tra quattro regioni, con l’adesione dei capoluoghi veneti. Un’azione simbolica e un segnale importante, dice Alessandro Bratti, che dovrebbe essere il punto di partenza di azioni concordate più incisive per un problema che ormai non si può più affrontare a livello delle singole città</I>.
<b>Ha senso parlare della qualità dell’aria della Pianura Padana o va vista ogni realtà nel suo specifico? Milano, Verona, Bologna, sono tutte delle realtà diverse? </b>
Non sono realtà diverse ma sono tutte fortemente condizionate dal luogo fisico geografico in cui si trovano. Tutti gli studi e monitoraggi che abbiamo eseguito, sia in Emilia Romagna sia i nostri colleghi delle altre ARPA, dimostrano che il fenomeno si manifesta nella sua gravità su scala Padana, cioè sulle aree che si trovano all’interno della Pianura Padana che, come si sa, a nord è racchiusa dalle Alpi e a sud dagli Appennini. In questo catino si sviluppa la miscela chimica che rende così problematica la vita delle nostre città e questa situazione di fondo è più grave nelle aree particolarmente urbanizzate. E’ chiaro che tra una centralina di fondo e tra una misurazione che viene fatta in particolari zone all’interno delle città si nota una certa differenza, però possiamo dire sulla base della modellistica che stiamo applicando - che ormai ha delle buone percentuali di collimazione con la realtà - che il fenomeno è un fenomeno esteso e che va affrontato a quel livello.
<b>Come Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente dell’Emilia Romagna, qual è la vostra analisi dell’andamento della qualità dell’aria nell’Italia del Nord? </b>
Dall’analisi risulta che per una serie di inquinanti alcune situazioni sicuramente a livello della media sono migliorate, l’ossido di zolfo per dirne una o il benzene. Proprio il benzene ad esempio mostra un trend in calo in quasi tutte le città dove è stato misurato; ci sono invece alcuni inquinanti portanti che sono l’ozono e il famoso particolato – cosiddetti inquinanti secondari - che hanno raggiunto come media una certa stabilizzazione, nel senso che abbiamo assistito in alcuni anni ad un leggero decremento, mentre in concomitanza di condizioni climatiche particolarmente sfavorevoli, come sono state quelle del 2006, la situazione anche nella media si è ulteriormente aggravata. Per quanto invece riguarda il numero degli sforamenti - i così detti picchi - soprattutto la situazione del particolato, ma anche dell’ozono se si intende il numero dei giorni in cui si passa la soglia di comunicazione, i dati dimostrano che la situazione è stabilizzata tendente al peggio.
<b>Nelle vostre analisi e previsioni, e soprattutto quando parliamo della prevenzione, state prendendo in co nsiderazione dei cambiamenti climatici? E’ una dinamica che vi interessa? </b>
Siamo detentori degli inventari della produzione di CO2 e quindi lavoriamo anche in questo senso.
<b>Il 2006 era atipico, ma se questi anni atipici diventano più frequenti? </b>
Con in cambiamenti climatici la situazione potrebbe diventare più problematica. Condizioni di siccità, di scarsa piovosità, non fanno altro che esaltare la presenza del particolato in atmosfera, quindi da un punto di vista sanitario aumentano i rischi per le popolazioni che ci vivono. Questo apre un capitolo che per la zona Padana è di grande delicatezza: le biomasse. Dal punto di vista del CO2 sono assolutamente auspicabili, però gli impianti sono dei grandi produttori di polveri poiché la combustione della legna provoca elevati quantitativi di particolati. Questa tecnologia alt ernativa, così importante per la riduzione del CO2 diventa problematica nelle zone dove ci sono livelli elevati di polveri sottili.
<b>Ma questo lo si può dire tout court o non è invece che gli impianti a biomasse, se parliamo di piccoli impianti di camini, termocamini, ecc., sono un problema ma i grandi impianti riescono abbastanza bene di abbattere i PM10? </b>
Diciamo che più l’impianto è grande più il problema è grande, nel senso che piccoli impianti ovviamente producono meno emissioni e quindi sono più controllabili e meno impattanti però sui grandi impianti c’è da fare qualche ragionamento. Parlo solo in termini emissivi, non sto parlando di life cycle assessment piuttosto che della provenienza del materiale che viene bruciato. Questi sono altri aspetti assolutamente importanti, però sulla qualità dell’a ria la stessa Regione Lombardia credo abbia messo un freno alla costruzione di impianti al di sotto dei 300 metri.
<b>Impianti qualsiasi?
Impianti a biomassa che bruciano legna. Quindi il tema è assolutamente da considerare, poi non significa che non si possa fare, ma in un bilancio complessivo va considerata anche questa situazione.
<b>Quali sono i colpevoli principali della situazione attuale? </b>
E’ fuori discussione ormai da tutti gli inventari che il primo contribuente è sicuramente il traffico, seguito dai grandi impianti di produzione di energia elettrica, anche se molti di questi sono stati in parte convertiti, e poi dal riscaldamento e dalle altre attività che provocano una combustione, ma anche dall’agricoltura. L’agricoltura attraverso la produzione di ammoniaca costituisce un’attività di assoluta rilevanza poiché l’ammoniaca è un precursore importante di queste polveri insieme agli ossidi di azoto. Quindi tutte le attività direi antropiche vanno tenute sotto osservazione, non c’è dubbio che il traffico fa la parte del leone.
<b>Se ci sono tanti colpevoli, non diventa poi difficile mettere delle priorità per intervenire? </b>
Dal mio punto di vista, come abbiamo già anche indicato, è evidente che questo è un problema che non ha soluzione immediata. Faccio un esempio molto semplice, abbiamo fatto un’esemplificazione molto grossolana di che cosa vorrebbe dire in termini di ozono spegnere la Regione Emilia Romagna mantenendo tutte le condizioni di contorno immutate e risulta sostanzialmente che l’ozono avrebbe un calo neanche del 4-5%, le stesse polveri non calerebbero oltre il 25-30%. Quindi signi fica che il fenomeno è un fenomeno di larga scala.
Tutti devono contribuire, dalle piccole azioni a quelle più grandi, ad orientarsi verso quegli obiettivi che almeno devono essere imposti a livello comunitario. Spero di avere già in occasione della conferenza del 28 febbraio qualche risultato modellistico da mostrare che illustri come spostando una percentuale significativa del trasporto privato su trasporto pubblico, a rotaia soprattutto, treno e tram, si nota un beneficio assolutamente interessante.
<b>Come valuta, nell’accordo volontario dei Comuni che già aderiscono alle misure antismog (in Emilia Romagna, ma mi risulta anche nell’Italia del nord sono 65 Comuni), lo stop alle auto di domenica 25 febbraio? </b>
Chiaramente una giornata di stop nei Comuni non cambierà la qualità dell’aria della Regione. Si tratta di un’iniziativa simbolica molto importante c he denota una volontà da parte delle Regioni di camminare insieme su progetti più complessi e significativi.
L’accordo volontario è tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, le Province Autonome di Trento e Bolzano e il Canton Ticino. Credo che sia fondamentale perché innanzi tutto bisogna condividere i cosiddetti inventari delle emissioni, vale a dire che tutti devono applicare gli stessi metodi di calcolo delle sorgenti, altrimenti diventa faticoso applicare le soluzioni se ognuno ha una fotografia differente. In secondo luogo è interessante avere una modellistica comune per poter applicare dei modelli su larga scala e fare degli scenari di previsioni future in base alle attività che vengono svolte, terzo sarebbe opportuno concertare le azioni.
<b>Le misure delle città tedesche per stabilire “zone ambientali” nei centri (per Mo naco ad esempio è più o meno un sesto del territorio del Comune però con un 30% della popolazione e il 40% dei posti di lavoro) chiusi agli Euro 1 e 0 e al traffico pesante potrebbero essere una soluzione? </b>
Secondo me quella è una soluzione concreta che per esempio in parte abbiamo fatto qui in Emilia Romagna vietando i pre-Euro dall’accordo di programma che abbiamo stipulato a livello regionale. Però negli scenari di cui parlavo per rientrare nei limiti al 2020 si presuppone che tutte le automobili siano Euro 5, perché se non si raggiunge quello standard si farà fatica e stessa operazione deve valere per i mezzi pesanti. Quindi sono convinto che questa iniziativa, insieme alla limitazione della velocità che per esempio applicano in Olanda, è sicuramente importante. Comunque bisogna capire che questo è un problema complesso e non si risolve con delle misure semplici, ma devono essere tante le misure da intraprendere per poter ottenere un risultato tangibile. Pe r misurare nelle centraline un calo effettivo degli inquinanti bisogna che tutti facciano la loro parte, perché se c’è una città molto virtuosa e tutto il resto attorno non fa niente, non si hanno dei risultati molto significativi per la qualità dell’aria.
<b>Questo mi sembra molto importante. Anticipo un risultato di cui ci parlerà l’Assessore all’Ambiente del Comune di Monaco. Qui gli studiosi hanno correlato i picchi dei PM10 a Monaco in Baviera con i venti, con la situazione meteorologica e risultano picchi particolarmente estremi quando il vento porta l’aria del Nord Italia oltre le Alpi nella Germania del Sud. Sembra esserci addirittura uno scambio attraverso le Alpi dell’inquinamento dell’aria. A questo punto forse ci vorrebbe un accordo anti-smog tra i Comuni a Sud e a Nord delle Alpi? </b>
Potrebbe essere, nel senso che ho visto alcuni fenomeni di picchi di ozono acuto che per esempio si manifestavano in Inghilterra ma erano dovuti ai venti che passavano su Parigi e che poi arrivavano su Londra. Ci sono questi fenomeni, l’aria non ha confini amministrativi per questo dico che in Italia è già un gran risultato che quattro Regioni si siano messe, a lavorare assieme per risolvere il problema. Se gli studi dimostrano un rapporto così stretto tra l’Italia del nord e i territori transalpini, diventa fondamentale rapportarsi anche con il sud della Germania e con l’Austria, oltre al Sud della Svizzera dove il Canton Ticino ha già firmato questo accordo.
<b>Siamo infatti di fronte ad un nuovo tipo di problema dove la prevenzione non può più avvenire a livello locale. Come Alleanza per il Clima abbiamo sempre fatto un legame tra cambiamenti climatici come problema globale e inquinamento atmosferico come problema locale. Purtroppo sem bra che neanche quello che direttamente interessa i polmoni dei cittadini può essere risolto solo a livello locale. </b>
No, tra l’altro si rischia di sbagliare bersaglio, nel senso che i sindaci vengono considerati gli unici regolatori del fenomeno ma non è così. Bisogna tenere a mio parere la politica del doppio binario, bisogna evitare che il livello “globale” del problema rallenti le attività che le città intraprendono a livello locale. Il pericolo è che tra chi dice che bisogna fare molto di più e chi dice che non bisogna fare niente perché tanto il problema è un problema più grande, si rischia di non fare niente.
Bisogna continuare a insistere che tutti facciano la loro parte: Comuni e Sindaci la loro, le società per le autostrade, le Regioni, la Comunità Europea, le aziende perché non è un problema delle singole città ma nel contempo non bisogna neanche dare l’alibi a quei sindaci che non vogliono fare niente di rimandare il problema ad un livello superi ore.
<font size="1">Alessandro Bratti
Laureato in scienze Agrarie è stato Assessore della Giunta del comune di Ferrara dal 1994 al 2004 con delega all’ambiente e dal 2004 al febbraio 2006 con delega all’ambiente, problemi energetici e mobilità.
Nel febbraio 2006 è nominato direttore dell’ARPA Emilia-Romagna.
Dal 1996 al 2006 è stato rappresentante dell'AICCRE (Associazione Italia na dei Comuni, delle Province e delle Regioni d'Europa) nella Commissione Ambiente e Sviluppo sostenibile della CEMR (Council of European Municipalities and Regions) e nel 2003 è stato eletto Presidente del Coordinamento nazionale Agenda 21 Italiane.</font>