Malagrotta, i nodi del gassificatore
L’area alla periferia di Roma è stata scelta per la costruzione di una centrale di gassificazione per rifiuti urbani. L’impianto dovrebbe consentire la chiusura della mega-discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa. Ma i cittadini e gli ambientalisti si oppongono
19 April, 2007
<b>Silvana Santo</b>
Si trova a pochi chilometri da Roma uno dei territori più “caldi” d’Europa. Il primato dell’area di Malagrotta-Valle Galeria non si deve agli effetti del riscaldamento globale, ma a una straordinaria concentrazione di impianti industriali e di trattamento di rifiuti. Impianti inquinanti e con scarsa tollerabilità sociale. Oltre alla discarica più grande del continente, che da anni accoglie i rifiuti della capitale, l’area ospita infatti una raffineria di petrolio, un inceneritore di rifiuti ospedalieri, un depuratore e un bitumificio. Un’intensa attività di cavazione caratterizza inoltre il territorio, che proprio per la presenza di molte attività pericolose è stato classificato, in base alla legge Seveso II, “a rischio di incidente rilevante”. Le criticità, insomma, non mancano. Tanto che le associazioni ambientaliste chiedono da tempo una riqualificazione dell’intera regione.
Eppure, proprio l’area di Malagrotta è stata scelta per la localizzazione di un altro impianto di trattamento di rifiuti solidi urbani. La nuova centrale di gassificazione, il cui cantiere è in attività da mesi nonostante la aspre polemiche intorno alla sua collocazione, potrebbe essere pronta dalla primavera del 2008 e dovrebbe trattare oltre 180mila tonnellate di Combustibile da rifiuto (Cdr) all’anno, ricavandone vapore e quindi energia elettrica. La tecnologia dell’impianto si basa sui processi di pirolisi e gassificazione, con impiego di ossigeno e metano come combustibili ausiliari. La messa in opera della centrale dovrebbe consentire la chiusura della mega-discarica, già prevista per lo scorso gennaio e posticipata poi alla fine del 2007. La ditta appaltatrice (la CoLaRi) assicura che le emissioni in atmosfera del gassificatore rispetteranno i limiti di legge, senza alcun rischio per la salute. Ma i cittadini non sono dello stesso parere. Tanto da essersi organizzati in un “fronte del no” (il comitato Malagrotta), che si oppone senza mezzi termini alla realizzazione della centrale. «Si tratta di un’area ad elevato rischio ambientale - dichiara Sergio Apollonio, presidente del comitato - È una follia costruire il gassificatore proprio lì». Il comitato lamenta anche uno scarso coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale: «L’ordinanza che dava il via ai lavori - prosegue Apollonio - è stata emessa senza neanche chiedere il nostro parere. Ne siamo venuti a conoscenza dopo tre mesi, a giochi ormai chiusi».
Contrarie alla localizzazione della centrale anche le associazioni ambientaliste: «Bisogna togliere da questo territorio impianti con forti emissioni - ha dichiarato Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - Non certo aggiungerne, tornando forse alla vecchia e sbagliata idea del “polo fumi”». Secondo Raniero Maggini, presidente del Wwf Lazio, «il gassificatore produrrà diossina». Anche la Rete regionale rifiuti del Lazio ha più volte espresso la sua contrarietà al progetto, soprattutto sulla base delle grandi quantità di scorie che l’impianto produrrebbe e la cui sorte non sembra del tutto chiara. Dello stesso parere, il gruppo regionale dei Verdi, che ha più volte appoggiato le proteste dei cittadini. Cautamente favorevole, invece, Roberto Barbieri, presidente della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, che lo scorso 12 marzo ha effettuato un sopralluogo nell’area di Malagrotta. «Il gassificatore - ha dichiarato Barbieri - rappresenta un passo in avanti rispetto ai termovalorizzatori tradizionali, ma ovviamente ci dovremo riunire ancora e valutarne gli impatti ambientali».
Le proteste dei cittadini, intanto, continuano. Dallo scorso 19 giugno, alcuni membri del comitato Malagrotta portano avanti a rotazione uno sciopero della fame per chiedere la sospensione dei lavori. «Vorremmo - spiega Apollonio - che venisse seriamente presa in considerazione l’alternativa che proponiamo, basata sulla raccolta differenziata porta a porta, sul compostaggio su vasta scala e sul trattamento meccanico-biologico (Tmb) per la frazione residua». Ipotesi che piace anche a Filiberto Zaratti, assessore regionale all'Ambiente e alla cooperazione tra i popoli: «Tra le tecnologie disponibili attualmente per lo smaltimento dell’indifferenziato, i trattamenti meccanico biologici a freddo e i metodi della raffinazione dei rifiuti sono quelli che garantiscono minor impatto ambientale e maggior convenienza economica, con una riduzione dei costi relativi allo smaltimento del 30% rispetto all’incenerimento».