Le strane anomalie dell’energia tricolore
15 October, 2003
Pietro Greco Non lasciamoci ingannare dalle apparenze.L'Italia non è restata albuio per un'improvvisa carenzadi energia. Ma per un'antica mancanza dipolitica energetica. E ciò che dobbiamo fareper evitare un nuovo black out non èprodurre più energia, ma qualificare megliola nostra politica dell'energia. Gestionalee strategica. I tecnici diranno, nei prossimigiorni, quali sono state le cause prossimedel black out che ieri ha lasciato al buiol'Italia intera, con l'unica eccezione dellaSardegna. Tuttavia possiamo già rilevareche il sistema di gestione dell'energia elettricaè troppo rigido e si affida a troppi automatismi,se un black out locale si propagaimmediatamente all'intera nazione. Eppureci avevano assicurato che quello che eraavvenuto a New York e in Canada il mesescorso non sarebbe potuto succedere in Italia,perché noi vantiamo tecnologie più flessibilie moderne. Evidentemente non è così.Allo stesso modo il governo, per boccadel Ministro delle attività produttive ArturoMarzano, ci dice che da un punto divista strategico il black out è la conseguenzadi una mancanza di energia. E che lasoluzione sta nel produrre più energia. Eppurei dati non ci dicono questo. I dati cidicono che il problema italiano non riguardala quantità, ma la qualità dell'energiaprodotta. È il modo in cui ci procacciamol'energia di cui abbiamo bisogno che ciespone a una serie di rischi, compresi quellidel black out. In estrema sintesi, i nodiqualitativi del problema energetico sonotre. Ciascuno di questi nodi rappresentaun'anomalia in Europa e in Occidente.Il primo è la scarsa diversificazione dellefonti. L'Italia consuma, in un anno, energiapari a 188 Mtep (milioni di tonnellateequivalenti di petrolio). Ebbene, oltrel'80% dell'energia consumata, per un totaledi 150 Mtep, è fornita da due sole fonti:il petrolio e il gas naturale. Ciò rende estremamentefragile il nostro sistema energetico.Il progetto del governo di costruire nuovecentrali termoelettriche non attenua,ma anzi accresce questa anomalia tuttaitaliana.Il secondo nodo riguarda l'anomala dipendenzadall'estero, soprattutto per l'approvvigionamentodella forma più nobiledi energia, quella elettrica. Non si trattasolo e non si tratta tanto della dipendenzache deriva dall'importazione diretta dienergia elettrica dalla Francia o da altripaesi vicini (l'energia elettrica direttamenteimportata non supera il 5% dell'energiaelettrica consumata). Ma si tratta anche esoprattutto della dipendenza che derivadall'importazione massiva dei tre combustibilifossili (petrolio, gas e carbone) concui produciamo l'89% dell'energia elettricache consumiamo. L'Italia è l'unico paesedell'Europa e dell'Occidente che dipendedall'estero per oltre l'80% nella produzionedi energia elettrica. Solo i «piccoli» Irlandae Portogallo si avvicinano a questa soglia.Questo tasso di dipendenza dall'estero haun valore strategico notevole. Perché rendedebole l'Italia non solo in ambito strategico,ma in un più complessivo ambito geopolitico.Ancora una volta il governo Berlusconi,proponendo la costruzione di nuove centralitermoelettriche, alimentate con combustibilifossili da importare, finisce peraggravare e non per lenire questa debolezzastrutturale tutta italiana.Il terzo nodo, infine, riguarda la scarsacapacità di innovare. L'Italia continua aprocacciarsi energia con strumenti e metodi«vecchi». Il 79,5% dell'energia elettricache produciamo direttamente viene da centralitermoelettriche (petrolio, gas, carbone).E il 17,6% da centrali idroelettriche.Nel primo caso abbiamo a che fare confonti tradizionali e inquinanti. Nel secondocaso abbiamo a che fare con una fonterinnovabile, poco inquinante, ma ormaitradizionale. Insomma produciamo il97,1% dell'energia elettrica in Italia confonti «vecchie».Oggi sono considerate innovative le fontirinnovabili non idroelettriche. In particolarel'eolico e, soprattutto, il solare. Nell'eolicosono leader del mondo Germania eStati Uniti. Nel solare sono leader Germania,Giappone e Stati Uniti. In Danimarcal'eolico produce il 15% dell'energia elettricatotale. In Italia la quota di eolico esolare insieme non l'1,2%. Non solo la Germania,il Giappone e gli Usa, ma anche lapiccola Austria ha più pannelli solari dell'Italia, che pure suolo definirsi il paese delsole.Innovare e puntare, come indical'Unione Europea, sulle fonti alternativeendogene non idroelettriche (eolico, solare,geotermia) dovrebbe essere una priorità assolutaper il nostro paese. Perché consentirebbenon solo di iniziare finalmente asciogliere i nodi strategici della sua debolezzaenergetica, aumentando la diversificazionedelle fonti e la flessibilità di gestionedella rete, diminuendo la dipendenza dall'estero. Ma anche di attenuare il rischio elenire gli effetti dei black out, parziali comequelli d'inizio estate, o totali come quellodie ieri. Se gli alberghi d'Italia avesseroavuto sui loro tetti un po' di pannelli solari,ieri avrebbero evitato di lasciare al buioi loro allibiti clienti (per lo più, ironia dellasorte, tedeschi e austriaci). Nei programmidel governo delle fonti endogene rinnovabilinon idroelettriche non v'è traccia.Un discorso a parte merita il nucleare,che molti hanno evocato nelle ore e nellesettimane scorse. Il nucleare classico non èun'opzione credibile per l'Italia. Perché ècostosa, richiede forti investimenti e tempilunghi, non ha risolto i suoi problemi difondo (gestione dei rifiuti, per esempio).Altro discorso , invece, riguarda il "nuovo"nucleare, quello cosiddetto di IV generazione.Che si annuncia piccolo, poco costoso,intrinsecamente sicuro e senza scorie. Inquesto nucleare, forse, conviene investire.Ma si tratta di investimenti in ricerca scientificae tecnologica. Uno dei tanti settoriove il governo Berlusconi sta allegramentetagliando.