Il grande scontro fra cibo ed energia
Intervista a jeremy Rifkin: cosa accade alla nostra agricoltura - da La repubblica del 27.07.2007
27 July, 2007
<b>I cambiamenti climatici impongono una razionalizzazione delle nostre attività
ANTONIO CIANCIULLO </b>
I biocombustibili fanno parte della soluzione del problema ma non sono la soluzione del problema. Possono avere un segno ambientale positivo o trasformarsi in un ulteriore danno ecologico: tutto dipende da come vengono usati. Jeremy Rifkin, il teorico dell´energia decentrata, guarda con un certo distacco alla guerra di religione che si sta scatenando attorno alla riconversione energetica dell´agricoltura.
Qual è la discriminante per dire sì o no ai biocombustibili?
«In primo luogo bisogna ricordare subito che la partita energetica non si gioca certo solo su questo campo. I biocombustibli fanno parte del pacchetto delle fonti rinnovabili: vanno utilizzati assieme al sole, al vento, all´energia delle onde e delle maree, alla geotermia e alla forza dell´acqua. Pensare di risolvere i problemi energetici forzando solo sul terreno dei biocombustibili sarebbe un errore clamoroso».
D´accordo, vanno inseriti in una squadra. Ma in che ruolo?
«Questa domanda richiede una risposta tecnica mentre, a cominciare dal mio paese, dagli Stati Uniti, le risposte che arrivano sono spesso politiche, mirate a soddisfare le lobby degli agricoltori più che a trovare una soluzione che abbia senso energetico».
Gli agricoltori sono disponibili alla riconversione energetica, se c´è un vantaggio...
«Questo è il punto. C´è un vantaggio? Io dico che dipende. Usare il granturco significa utilizzare una base che ha richiesto grande consumo di acqua e fertilizzanti e dunque si parte svantaggiati: per bene che vada si ottiene un guadagno energetico molto modesto. Un altro discorso è usare la canna da zucchero: permette di recuperare gli scarti di lavorazione che rappresentano il 70 per cento del ciclo produttivo; in queste condizioni il bilancio energetico migliora sensibilmente».
Allora avanti tutta con la canna da zucchero?
«Un momento. Ho detto che recuperare gli avanzi, gli scarti di lavorazione è un buon prerequisito per dare senso all´operazione. Ma bisogna fare anche altre valutazioni. Ad esempio quanta energia serve e quanta terra è disponibile: la popolazione cresce, i consumi energetici aumentano, la desertificazione avanza, la disponibilità di suolo fertile pro capite diminuisce. Inoltre andiamo incontro a una stagione segnata dai cambiamenti climatici e dunque da una quantità crescente di problemi».
Come se ne esce? Il conflitto tra cibo e energia sembra inevitabile.
«Se ne esce distinguendo con chiarezza le diverse finalità di produzione. Da una parte c´è l´agricoltura che serve a sfamare le persone, e qui c´è solo da aumentare l´efficienza, non si può pensare di ridurre la terra destinata a questo uso. Dall´altra parte però c´è l´agricoltura che produce per gli allevamenti, e qui sì che si può intervenire».
Sarebbe sufficiente?
«Sufficiente? Vogliamo scherzare? Nel maggio scorso è uscito un rapporto della Fao in cui la situazione è dipinta con una chiarezza tale che è impossibile non capire. La prima causa dell´incremento umano dell´effetto serra è data dal settore delle costruzioni, cioè case e uffici. La terza sono i trasporti. Lo sa cos´è la seconda? Il complesso della produzione necessaria a sostenere quella gigantesca macchina inquinante costituita dagli allevamenti: i nostri consumi di carne sono il secondo fattore di rischio per la stabilità del clima».
Allora tutti a dieta?
«Tutti a dieta, alla dieta naturale per gli esseri umani che sono onnivori e non divoratori di carne. In questo modo, con un colpo solo, si riescono a ottenere tre vantaggi. Primo: guadagniamo spazio per la riconversione energetica dell´agricoltura. Secondo: tagliamo via una bella fetta d´inquinamento. Terzo: diamo un contributo al miglioramento dello stato di salute collettivo».
C´è gente che mangia carne e sta benissimo.
«Poca carne. Quello che funziona meglio è il vostro stile alimentare: il cibo italiano e la dieta mediterranea. Cioè la carne usata principalmente come ingrediente all´interno di un menu in cui la verdura e la frutta giocano un ruolo centrale».
Gli allevatori non saranno contenti.
«I cambiamenti climatici impongono una razionalizzazione delle nostre attività. Già nel 1992, nel mio libro Ecocidio, scrissi che nel mondo ci sono 1,3 miliardi di bovini, un´immensa mandria che occupa, direttamente o indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone. La carne bovina è il cibo più a rischio di contaminazione da erbicidi e il terzo a rischio di contaminazione da insetticidi. Inoltre un ettaro coltivato a cereali produce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di carne, un ettaro a spinaci 26 volte di più».
In molti paesi industrializzati il numero dei vegetariani sta già crescendo.
«Due esseri umani su tre seguono una dieta prevalentemente vegetariana. Nel corso della propria vita l´americano medio mangia sette manzi da 600 chili, mentre gli europei, e ancor più i giapponesi, hanno uno standard di consumo molto più basso. Ora è arrivato il momento di riconsiderare lo stile alimentare: non possiamo continuare a destinare un terzo della produzione cerealicola mondiale agli allevamenti».