L'Italia che pedala
Ferrara è la capitale delle due ruote, ma Bolzano è la più innovativa. Una passione sempre più diffusa e travolgente, ma gli ostacoli, i pericoli e le barriere sono ancora troppi - da Famiglia Cristiana del 07.10.2007
08 October, 2007
Giulia Cerqueti
Nella grande città italiana la vita dei ciclisti è dura, spietata. Se giri sulle due ruote a Milano provi la sgradevole sensazione di essere un intruso, un fastidio, odiato, presuntuoso terzo incomodo fra motori e pedoni. Quando pedali lungo la carreggiata, tenendoti il più possibile vicino al marciapiede, rischi come minimo di guadagnarti una sportellata in faccia, se un automobilista apre all’improvviso la portiera dell’auto.
Nelle arterie urbane più grandi e trafficate sei sottoposto alla costante minaccia che un’auto ti becchi in pieno. Nelle strade più strette e a senso unico, poi, il clacson innervosito ti ricorda di metterti da parte, perché le auto incolonnate dietro di te non riescono a superarti e devono rallentare, tanto che finisci quasi per sentirti in colpa. Eppure anche il ciclista ha il diritto di esistere.
Per non parlare delle due grandi, temute insidie: i binari del tram – anche di quelli in disuso – che ti costringono a manovre a volte azzardate per evitare di finirci in mezzo con la ruota incastrata, e il pavé (la pavimentazione di piccoli cubetti di pietra), bello da vedere ma scomodissimo per le due ruote.
Eugenio Galli, presidente dell’associazione lombarda Ciclobby, è deluso ed esasperato dalla politica del Comune di Milano che continua a ritardare un famoso piano sulla mobilità ciclistica. Eppure non si fa che parlare di inquinamento, smog e giornate a piedi. «La quotidianità che viviamo», lamenta Galli, «è un continuo mancato rispetto delle norme da parte degli automobilisti». Gli interventi attuabili non richiederebbero grandi sforzi: «Sicurezza dei ciclisti significa intervenire sulla moderazione della velocità. La proposta è di creare delle "zone 30", in certe arterie e fasce orarie, limitando la velocità con accorgimenti strutturali». La creazione di piste ciclabili apposite, certo, è onerosa. Ma l’uso dei marciapiedi condiviso fra pedoni e ciclisti è una soluzione realistica; dove? Non dappertutto, ma laddove i marciapiedi sono larghi, poco affollati, sguarniti di negozi. E a costi contenuti. «Si potrebbero creare piste ciclabili contigue al marciapiede o percorsi pedonali ciclabili». Anche il ciclista, ovviamente, ha le sue responsabilità. Molti si avventurano nel traffico ignorando senso civico e Codice della strada, senza sapere, ad esempio, che il ciclista deve rispettare semafori e segnaletica stradale.
Ma se a Milano la situazione è disastrosa, non va meglio nelle piccole città. A Fabriano, nelle Marche, Valeria Carnevali, insegnante di 33 anni, che ha trascorso alcuni anni a Milano, si meraviglia nello scoprirsi quasi da sola a percorrere la città in bici. «A Milano era il mezzo più veloce, pratico, economico. Poi me l’hanno rubata», racconta. «A Fabriano ho l’auto, ma la bici è salutare, mi permette di fare moto, è ecologica, mi diverte come attività; è diventata un piccolo piacere quotidiano».
Ogni giorno, venti minuti di pedalata da casa alla scuola dove lavora, in sella a una classica bici da passeggio, senza rapporti. «Per fare la spesa non la uso, non è pratica; e nel centro storico, dove trovi una pavimentazione difficoltosa e molte salite e discese, per dei tratti la spingo a mano; ma non è una gran fatica». E osserva: «A Fabriano è assente la cultura della bici. Gli automobilisti non sono educati alla presenza dei ciclisti, non sanno come comportarsi, non lasciano spazio sulla loro destra, non danno la precedenza. La scarsa conoscenza aumenta di gran lunga i rischi».
Perché la nostra è, irrimediabilmente, una cultura dell’automobile. Eppure, gli appassionati delle due ruote sono sempre in aumento. Oggi, in Italia si contano 20 milioni di bici, di cui 4 milioni e mezzo quelle usate regolarmente come mezzo di trasporto. Dopo Ferrara, la città per antonomasia delle biciclette, oggi è Bolzano ad aver attuato un’intelligente politica ciclistica: ad esempio, nelle strade di fronte alle scuole ha vietato il passaggio di mezzi a motore negli orari di entrata e uscita degli alunni. Molte città, come Chivasso, Torino, Parma e Senigallia, hanno inaugurato il bike sharing: il sistema di noleggio di bici fornite dal Comune, poste in rastrelliere in vari punti urbani strategici.
In fatto di mobilità ciclistica il Nord batte di gran lunga il Sud. «È un fatto culturale, spiega Luigi Riccardi, direttore nazionale della Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta): «tra gli anni ’20 e ’50 la bici era l’utilitaria degli operai. Basti pensare che la Pirelli aveva 3.000 posti bici. L’industrializzazione interessava soprattutto il Nord». Poi arrivò la Vespa, in seguito la Cinquecento. «Alla fine degli anni ’60 in bici non ci andava più nessuno. Ricomparve negli anni ’70, con la grande crisi energetica». E da allora il popolo che pedala non si è più fermato.