Nuovi dati sul riscaldamento delle città
Megalopoli ma anche città europee. Si comincia a puntare l'attenzione sulle conseguenze urbane del global warming e a ragionare sulle strategie di adattamento. Presentati al congresso di Legambiente i dati sulla calda estate 2007 nelle città europee. Il dossier "Città a effetto serra"
06 December, 2007
<b><i>Silvana Santo</b></i>
Prevenire è meglio che curare. Una strategia ineccepibile, anche quando il paziente è la Terra e la malattia con cui fare i conti si chiama cambiamento climatico. Ma quando il male è ormai conclamato e le sue conseguenze iniziano a manifestarsi, agire sui “sintomi” diventa indispensabile. Fuor di metafora, oltre che insistere sul versante della riduzione dei gas serra, è divenuto fondamentale imparare ad <b>adattarsi al cambiamento già in atto</b>, specie negli ambienti urbani, che sono i più esposti agli effetti del riscaldamento globale. Il messaggio, forte e chiaro, arriva dal convegno <i>Il clima è già cambiato. Quali strategie di adattamento per il territorio italiano</i>, organizzato a Roma da Legambiente. Secondo i dati raccolti dall’associazione ambientalista in collaborazione con l’Osservatorio meteorologico di Milano duomo Omd (vedi dossier <i>Città: il Clima è già Cambiato</i>), l’aumento delle ondate di calore nelle città italiane è responsabile di una <b>impennata della mortalità estiva</b>, che in alcune località del sud è cresciuta anche del 50%. «Invasi come sono dal cemento e dalle automobili, - dichiara Edoardo Zanchini di Legambiente - i centri urbani si stanno riscaldando molto più velocemente delle aree naturali». E l’aumento delle temperature non è il solo segnale del cambiamento. «In una città come Milano - spiega Sergio Borghi dell’Omd - che risente delle particolari condizioni climatiche della Valle Padana, abbiamo registrato <b>un anticipo del caldo estivo e uno slittamento fin oltre la metà di luglio della fase centrale dell’estate</b>». E la situazione è, per molti versi, ancora più preoccupante nelle dieci megalopoli più grandi del mondo, esposte ad eventi meteorologici catastrofici (vedi dossier <i>Città a effetto serra</i>)
Che fare, dunque, per rendere più vivibili città che somigliano sempre più a degli altiforni? Legambiente propone misure che vanno dall’<b>incremento del verde urbano</b> alle politiche per la riduzione del traffico, fino all’impiego di materiali permeabili per manti stradali e coperture dei tetti. La vegetazione, in particolare, produce un duplice effetto di mitigazione sul caldo cittadino, attraverso l’ombreggiamento da una parte e l’evapotraspirazione, che “sottrae” calore a livello del suolo, dall’altra. Un contributo significativo può venire anche dalla <b>riduzione del traffico veicolare</b>, che aggrava molto il bilancio termico già pesante delle città. «Oltre a scoraggiare l’uso di veicoli a motore privati - precisa Zanchini - è importante che le pubbliche amministrazioni diffondano l’uso di mezzi pubblici alimentati con carburanti a basso impatto ambientale». Fondamentale, infine, la <b>ripermeabilizzazione delle aree libere da edifici, come strade, parcheggi e piazze</b>, di solito asfaltate o cementate. L’importanza della scelta dei materiali è sottolineata anche da Lorenza Fiumi, architetto e ricercatrice del Cnr: «Nelle giornate estive, la temperatura dell’asfalto può superare quella dell’aria anche di 20°C». Eppure, le città italiane, che sono tra le più interessate, in Europa, dal cambiamento climatico, sono spesso ricoperte da tappeti ininterrotti di asfalto e cemento. «Il territorio comunale di Roma - continua Fiumi - è rivestito per <b>oltre il 56% da materiali impermeabili</b>, mentre in diverse città del nord Europa si impiegano da tempo coperture di ultima generazione che lasciano passare l’acqua». «La semplice sostituzione delle pavimentazioni a basoli di granito con un manto di asfalto - conferma Teodoro Georgiadis dell’istituto di Bioclimatologia del Cnr - determina <b>un aumento di 3°C </b>della temperatura superficiale».
Al di là della scelta dei materiali, è poi evidente la necessità di rimodulare la progettazione degli edifici e dello stesso tessuto urbano in chiave di adattamento al cambiamento climatico. «Dobbiamo riscoprire saperi che possediamo già da migliaia di anni - sintetizza Fabrizio Tucci, architetto esperto di bioedilizia e ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma - <b>Torri di ventilazione, atri bioclimatici e intercapedini ventilate nelle fondamenta degli edifici</b> sono accorgimenti usati da secoli e molto efficaci per migliorare il microclima delle nostre case». Si tratta, in sostanza, di recuperare tecniche antiche di condizionamento naturale, economiche e a impatto zero. E che funzionano, tra l’altro, anche contro i freddi invernali. Le risposte tecnologiche, come spesso accade, sono già disponibili. Restano "soltanto" da inquadrare le volontà individuali e politiche.