Le recensioni di CinemAmbiente: Buongiorno Taranto
12 October, 2016
di Angela Conversano
«Tre sono le città più belle del mondo: Budapèst, Bucarèst e Taranto nuèst (nostra)», e già da questa frase si comprende il tono del film. In attesa che la pellicola raggiunga tutte le sale italiane, il regista leccese, Paolo Pisanelli, ha voluto, e ci è riuscito perfettamente, presentare al pubblico del festival CinemAmbiente, i tratti più genuini, la rabbia, le speranze e le passioni degli abitanti della oggi tristemente famosa “città rossa”. Tra le riprese di una Taranto martoriata dall'inquinamento provocato dall'Ilva, una delle acciaierie più grandi d'Europa, affiorano le immagini in bianco e nero della città quando ancora la primaria fonte di ricchezza proveniva dalla pesca, dall'agricoltura e dalla pastorizia. Cosa rimane oggi di quella città? Alcune raccomandazioni, quelle che aprono il film: «non portate i vostri bambini nel giardino, non toccate l'erba, non uscite, se potete non respirate, non fate il bagno nel mar Piccolo».
Accompagnato da una rivisitata “These boots are made for walking”, la pellicola ripercorre la storia di una città che a un certo punto ha deciso di aprire gli occhi e protestare. E così, su un Apecar, arrivò quel giorno che tanti hanno definito l'inizio della rivoluzione: il 2 agosto 2012, data in cui il comitato dei cittadini liberi e pensanti, nato un mese prima, è sceso in piazza.
Ad essere raccontata è anche la protesta fatta via radio da un gruppo di ragazzi uniti da un obiettivo ben definito: raccogliere ogni giorno impressioni, riflessioni e idee dal popolo sulla situazione tarantina con l'intenzione di sconfiggere quello che è un vero e proprio modus vivendi, ahimè non solo di Taranto: il “ce m n futt a me (cosa importa a me)?” Una lotta, dunque, che parte dal basso, così come la produzione del film, realizzato con il contributo di chi ha partecipato al crowfounding. Una lotta che, proprio perché vede scendere in campo persone diverse, non manca di presentare alcuni aspetti contrastanti. Tra coloro che gridano alle autorità la propria voglia di non accettare di dover scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla vita, non tarda ad arrivare un commento secco: «da quando c'è la fabbrica i-o s-t-o-b-e-n-e! Volete far chiudere l'ex Italsider? Se chiudono la fabbrica, io cosa mangio?»
Questo è il cuore del documentario: senza lavoro non si vive, ma si può lavorare e costruire morte intorno?
Nelle coscienze dei cittadini ora è tutto chiaro e tornare a chiudere gli occhi è impossibile. E le immagini del concerto del primo maggio dello scorso hublot replica watches anno con cui la proiezione termina rappresentano un piccolo passo in avanti: un concerto che è un inno alla sacralità del lavoro (ma non di quello che uccide) e, al tempo stesso, un invito a ripensare e ricreare a Taranto un'immagine che sia scollegata da quella dell'Ilva.