A tu per tu con Terra Madre, una testimonianza dal Salone del Gusto
29 November, 2014
Cibo, volti, sguardi.
Poter viaggiare, nell’arco di poche decine di metri, dalle Filippine al Canada, dalla Danimarca al Mali, dal Giappone al Brasile, è senz’altro un’esperienza notevole.
All’interno di un singolo spazio, l'Oval del Lingotto, è contenuta una vasta porzione della biodiversità umana, animale, vegetale e culturale presente sul nostro pianeta. Grazie Slow Food. Si tratta di un’azione dal valore inestimabile.
Ogni stand ti catapulta in un mondo di colori, sapori e tradizioni diverso. Assapori un assaggio di cultura locale e nel frattempo ti lasci attraversare dalla presenza di chi ti offre quell’assaggio, un essere umano come te e allo stesso tempo così diverso. La forma delle mani, gli occhi, la pelle, il modo di muoversi, di guardare, di comportarsi.
“Interminati spazi di là da quella”. Mi viene in mente un verso di Leopardi. Quanti spazi e quanta diversità esistono al di là delle forme consuete della nostra quotidianità. Spesso ce ne dimentichiamo.
Davanti alla pelle di una donna africana o al cospetto dei baffi di un solido uomo del Turkmenistan mi sento come quando nel bosco mi capita di trovarmi a tu per tu con un cinghiale o un capriolo, e per qualche attimo nessuno fa niente e ci scrutiamo, ci ascoltiamo. E’ un’esperienza eccezionale. Mi trovo davanti ad un animale vivo come me, che respira in modo simile a me e si muove sul territorio proprio come faccio io, anche se in modo diverso. Sento unità e diversità allo stesso tempo. Una grande unità e una profonda diversità. Paura mista a desiderio. Batticuore.
Qualcosa di simile mi succede vicino alla donna della Tanzania. Non vorrei più andarmene da questa vicinanza. I tessuti con la quale è vestita e che le circondano il capo, il colore e lo spessore della sua pelle, la forma del viso, la luce degli occhi, il modo di stare in piedi. Soltanto a starle vicino imparo qualcosa di nuovo e prezioso. Non servono neanche le parole che ci scambiamo, basta la vicinanza dei corpi.
E così bere un caffè insieme ad Azat, appoggiati al tavolo del suo stand. E ascoltare gli antichi metodi di coltivazione, conservazione ed essiccazione dei meloni del Turkmenistan.
Mi sento onorato, dal dono che mi fa del suo sapere e dalla sua semplice vicinanza.
Imparo. Ascolto. Rispetto.
E vengo illuminato sulla via di Damasco dai grandi e dolci datteri delle oasi del Maghreb. E dalle morbide mele essiccate armene, e dalle pesche. E dai gelsi del Tagikistan.
Sembra una canzone di Battiato. E’ tutto vero.
Ho trascorso un giorno a Terra Madre.