Riciclo: indietro tutta? I falsi amici del riciclo sono in ascesa
28 September, 2015
Riciclo: indietro tutta?
I falsi amici del riciclo sono in ascesa: coloranti, opacizzanti, etichette coprenti sleeves e stand-up poach, buste in multistrato non riciclabili
Mentre comincia a entrare nel sentire comune il concetto che la raccolta differenziata sia il migliore sistema per gestire i rifiuti una volta prodotti, per valorizzarli invece di distruggerli, i decisori politici e aziendali non pare stiano ancora puntando a gestire i rifiuti come risorse. Le politiche sui rifiuti del governo in carica riportano in auge con l’articolo 35 dello sblocca Italia un modello obsoleto e anacronistico come l’incenerimento. Nessuna traccia di politiche di prevenzione e riduzione degli imballaggi e di una necessaria pianificazione a lungo termine che imponga per legge obiettivi di: minimizzazione del consumo di risorse; produzione di rifiuti inquinanti; recupero e riciclo dei rifiuti prodotti; promozione di un mercato per servizi e prodotti più sostenibili ( derivati ad esempio da materia prima seconda delle raccolte differenziate). Eppure le direttive comunitarie pongono come obiettivo prioritario un uso efficiente e sostenibile delle risorse, non solamente per preservare l’ambiente, ma come unica strategia economica possibile che permette ai paesi europei di affrontare la mancanza di materie prime, ridurne le importazioni e competere nel mondo globale.
Perché raccogliere in modo differenziato se l’obiettivo non è il riciclo?
La cosa più ovvia che un cittadino si aspetta quando differenzia, è che i materiali vengano valorizzati. Anche perché per quegli imballaggi lui paga due volte, quando acquista i prodotti confezionati, e quando li consegna al sistema di raccolta. Se poi questi imballaggi non possono neanche essere riciclati a causa di caratteristiche progettuali il cittadino virtuoso oltre al danno subisce anche la beffa. A dire il vero un po’ beffati i Comuni italiani già lo sono perché devono spendere di più per la raccolta e gestione dei rifiuti da imballaggio di altri paese europei con un sistema di gestione simili al nostro. Questo perché ai Comuni arrivano contributi più bassi dai consorzi Conai rispetto ad altri Comuni europei e perché non incassano i proventi della vendita dei materiali differenziati ceduti gratuitamente alle loro piattaforme di raccolta.
La vera innovazione è la prevenzione
Per affrontare a sfida della sostenibilità non è più possibile gestire i rifiuti, siano essi speciali, urbani o da imballaggio, a valle della supply chain, senza intervenire sul modello produttivo che li genera. Il recupero e il riciclo eco efficiente dei rifiuti può avvenire solamente quando c’è stata una progettazione a monte che tiene conto del contesto specifico ( attori della filiera, gestione dei rifiuti, impiantistica, etc) o sistema in cui il bene o imballaggio svolge la sua funzione e conclude il suo ciclo di vita. Negli ultimi anni vengono immessi sul mercato nuovi imballaggi spacciati come il massimo dell’innovazione e della sostenibilità poiché ricavati da fonti rinnovabili, ma che a fine vita non possono essere riciclati o compostati dagli impianti presenti sul territorio nazionale. Le aziende in assenza di una legislazione stringente in termini di prevenzione (qualitativa) degli imballaggi, e di ogni altra regia nazionale che coordini le azioni su base volontaria, si muovono come più conviene loro. Eppure le aziende hanno da tempo diversi strumenti a disposizione, anche web based ad accesso gratuito, per valutare l’impatto ambientale dei diversi tipi di imballaggio in fase di progettazione, attraverso un’analisi LCA. Per essere attendibile come risultati un tool di analisi LCA dovrebbe considerare nella determinazione della carbon footprint e del consumo idrico e energetico anche l'impatto del fine vita dell'imballaggio. Spesso invece questo passaggio manca totalmente.
Coloranti e opacizzanti mettono a rischio il mercato del riciclo del PET
Plastics Recyclers Europe (PRE), la federazione europea delle aziende che riciclano materie plastiche, lancia da tempo l’allarme sulle ricadute negative che il design contemporaneo orientato all’estetica ha per il mercato del riciclo. L’ultimo riguarda il futuro del mercato del packaging in PET, il materiare plastico più riciclato, che viene messo a rischio dagli ultimi sviluppi e tendenze del mercato.
I problemi arrivano da una delle tipologie di imballaggi problematici per il riciclo. Si tratta dei contenitori e bottiglie in PET colorato, che potrebbero raggiungere presto le 300 mila tonnellate annue senza che ci sia un mercato in grado di assorbirle.
Secondo PRE alcuni settori dei beni di consumo come quello del latte o dei prodotti per la casa e la cura della persona stanno passando dall’utilizzo di contenitori inHDPE a quelli in PET colorato per ragioni di marketing. I contenitori colorati che finiscono nel flusso di quelli in PET trasparente richiedono ulteriori selezioni. Per poter vendere questa frazione colorata del riciclo diventa necessario per i riciclatori utilizzare dei colori scuri come grigio o nero anche se non esiste una richiesta per granuli rigenerati in questi colori.
Al contrario l’industria che ricicla l’HDPE è già attrezzata a gestire il materiale colorato che diventa materia prima seconda per tubi, vasi e altri manufatti. Il rischio è che quindi anche questo settore vada in crisi qualora una crescente concorrenza del PET occupi il suo attuale mercato.
Secondo i riciclatori, anche il recupero dei contenitori in PET bianco è problematico. Se questi contenitori vengono riciclati con altri contenitori in PET il pigmento TiO2 che contengono riduce la trasparenza del PET rigenerato (haze effect). Oppure, nei casi in cui il pigmento sia presente nel granulo da riciclo in quantità superiori al 5%, si verificano problemi sia nelle applicazioni in campo tessile che nel settore alimentare, quando è previsto il contatto con alimenti.
Questi casi -come ritiene PRE- contribuiscono ad indebolire l’immagine che il PET ha acquisito di un materiale facilmente e convenientemente riciclabile riducendone il mercato.
“Le aziende che vogliono continuare su questa strada pericolosa – avverte PRE –devono essere pronte a sostenere i costi legati alla responsabilità estesa dei produttori e accettare al tempo stesso un crollo dell’industria del riciclo di PET e HDPE”.
PRE si appella ai soggetti che formano la filiera economica di entrambi i materiali affinché non interrompano il funzionamento e l’equilibrio di entrambi i circuiti.
Una soluzione suggerita dalla federazione è l’impiego di etichette integrali che avvolgono le confezioni, a patto che questi siano riconoscibili dai sistemi di selezione automatica NIR e non impattino negativamente sui processi di riciclo. La realtà è che queste etichette creano problemi non solamente quando in materiali diversi dal PET (come il PVC) ma già a partire dal riconoscimento negli impianti di selezione dove vengono inviate al flusso di PET colorato mentre il contenitore è in PET trasparente. In generale la maggior parte delle etichette sleeves crea problemi anche nel processo di riciclo a meno che non siano state testate e approvate dai riciclatori. Mentre all’estero esiste un dibattito su questa problematica, che non rimane solamente confinato agli addetti ai lavori ma arriva sui media specializzati, in Italia tutto tace. Alcuni impianti hanno acquistato una macchina che rimuove le etichette ma secondo Rick Moore Direttore esecutivo della National Association for PET Container Resources (NAPCOR) che da trenta anni si occupa di come superare le problematiche del riciclo, questa soluzione non solo aumenta i costi dei riciclatori ma ritarda la soluzione del problema. Secondo uno studio effettuato da APR, Association of Postconsumer Plastic Recyclers gestire contenitori con etichette coprenti sleeve costa dai 2 ai 4 centesimi di dollaro per ogni 500 grammi di prodotto lavorato. Questa questione va a peggiorare una situazione già piena di criticità per il settore che vede raddoppiati in 10 anni i costi necessari per produrre riciclato in PET per il mercato. Leggi anche l’ultimo studio presentato da PRE sui benefici conseguenti ad un aumento del tasso di riciclo in Europa: Dal riciclo della plastica migliaia di posti posti di lavoro in 5 anni
In crescita il mercato globale delle stand up poach
La plastica quando utilizzata per produrre imballaggi presenta alcuni vantaggi rispetto ad altri materiali ma anche alcune problematiche nel fine vita che vanno affrontate. Questa considerazione tanto scontata quanto disattesa dall’industria comincia ad animare i convegni del settore del packaging. Anche al Global Pouch Forum tenutosi a Miami quest’anno alcuni consulenti intervenuti hanno posto l’accento sulla necessità di trovare soluzioni alternative alla discarica o incenerimento anche per le stand up pouches.
Si tratta di buste composte da più strati tra plastica e alluminio, che vengono sempre più adottate nelle confezioni di diversi prodotti di consumo. Questo imballaggio garantisce migliori prestazioni per quanto concerne la protezione e la conservazione dei prodotti. Il peso ridotto rispetto ad altre tipologie di imballaggio dalle prestazioni simili permette un minore utilizzo di risorse e meno rifiuti. Quando però si considera il fine vita delle pouches la performance risulta delle peggiori; a causa dell’eterogeneità dei materiali che li compongono non possono essere riciclate. La destinazione finale è lo smaltimento in discarica o negli inceneritori. Quando disperse nell’ambiente inquinano per lungo tempo poiché non sono biodegradabili risultano.
Victor Bell, presidente di Environmental Packaging International (Jamestown, R.I.) è intervenuto senza usare mezzi termini “You guys have a litter problem, let’s face it”.
Due le principali considerazioni emerse dall’intervento di Bell e di un secondo consulente Betsy Dorn, director for consulting at Reclay StewardEdge Inc. :
-Con la crescita del mercato risulterà sempre più evidente all’opinione pubblica che le buste diventano un rifiuto irrecuperabile e l’industria, se non agisce, verrà additata come responsabile.
-Anche ammesso che si possano realizzare in mono materiale, ci sono delle criticità da affrontare di sostenibilità economica per una loro raccolta differenziata e successivo riciclo. Ma anche di igiene poiché queste buste sono sporche e contaminano altri flussi di imballaggi che si volessero raccogliere insieme.
Tra le possibili soluzioni i consulenti hanno suggerito la creazione di un sistema di raccolta da parte dei produttori delle pouches a fine vita. I sistemi EPR (extended producer responsibility) ovvero di responsabilità estesa del produttore prevedono che il produttore recuperi i propri beni a fine vita oppure paghi i costi derivanti dalla loro gestione tra raccolta per il riciclo o smaltimento. Leggi l’articolo completo in inglese qui.
Il numeri del mercato
Secondo Jorg Schönwald, presidente di Schönwald Consulting consulenti internazionali di packaging la produzione di stand-up pouch è in crescita . Dai 165 miliardi di stand-up pouches consumate nel 2014 a livello mondiale si arriverebbe, secondo Schönwald, a consumarne 222 miliardi di pezzi nel 2018. Queste stime includono solamente le tipologie di buste prodotte da aziende leader del settore come Doypack, Cheer Pack e FlexCan. Escluse quindi tutte le altre tipologie di stand-up pouches.
Sempre considerando il 2014 il mercato relativo a questo packaging è suddiviso come segue. In Asia ne sono state consumate 88 miliardi il 54% del mercato, 19all’anno come valore pro capite con un’aspettativa di crescita dell’8,4%.
Negli Stati Uniti e Canada ne sono state consumate 19,8 miliardi, 51 all’anno pro capite e con un’aspettativa di crescita del 7.5%. Insieme detengono il 12% del mercato. In Europa le stand-up pouches consumate sono state 33,4 miliardi, 41 a testa con una crescita annuale prevista del 7.7%. L’Europa rappresenta il 20% del mercato globale.
Seguono L’America latina e i paesi caraibici con 14,5 miliardi di pezzi venduti , 22 pezzi a testa e il 9% del mercato. In Africa si scende a 8,7 miliardi di unità totali, 8 a testa e il 5% del mercato globale. Per meglio capire il loro livello di penetrazione del mercato risultano utili i dati forniti da Schönwald sulle unità vendute di altri contenitori nel 2014 che permettono di effettuare una comparazione: contenitori in PET= 520 miliardi di pezzi, lattine= 310 miliardi e contenitori in poliaccoppiato = 380 miliardi.