I numeri delle stoviglie usa e getta in tempi di crisi
Nel 2009 le vendite nel settore monouso hanno registrato un lieve calo, ma i consumatori italiani continuano a prediligere le stoviglie usa e getta. Da qualche anno si sta affermando il biodegradabile, ma le stoviglie tradizionali pluriuso rimangono ad oggi la soluzione migliore a difesa dell’ambiente
10 December, 2009
Massimiliano Milone
In Italia stoviglie usa e getta da oltre 350 milioni di euro
Sono circa una ventina le aziende del settore monouso presenti nel Belpaese (Fonte: Mark Up). Quest’anno hanno tutte registrato un calo di vendite a causa della crisi economica: i dati, aggiornati al 2 agosto 2009, mostrano un fatturato complessivo di 352.393.475 € con una flessione dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2008, quando il fatturato era di 353.973.440 € (Fonte: Nielsen Company). Andando indietro nel tempo notiamo che nel 2004 le aziende del settore avevano fatturato circa 380 milioni di euro, già con una perdita di 23 milioni rispetto al 2003.
Perdita di fatturato, ma non di volumi di vendita poiché i consumatori continuano a preferire l’usa e getta, ma a prezzi più contenuti.
Secondo uno studio condotto nel 2008 da Il Sole 24 Ore il mercato italiano dei principali prodotti usa e getta di largo consumo (piatti, bicchieri, penne a sfera, accendini, rasoi, tovaglie, tovaglioli, vassoi, fazzoletti, pannolini, batterie non ricaricabili, macchine fotografiche…) varrebbe in totale più di 4 miliardi di euro. Piatti e bicchieri di plastica insieme varrebbero 340 milioni di euro e quindi in linea con i dati finora presentati.
I fattori che contribuiscono alla crescita del mercato dell’usa e getta sono soprattutto legati ai cambiamenti negli stili di vita della popolazione. «Il mercato italiano è forse il maggiore in Europa. I motivi di tale successo vanno ricercati nella capacità che questi prodotti hanno di essere in linea con alcune tendenze della nostra società, come la crescita della mobilità delle persone, l’aumento del numero dei pasti consumati fuori casa e la ricerca della massima praticità» ha dichiarato Marco Omboni, presidente dell’Associazione Italiana Produttori Plastica Monouso (AIPPM), che riunisce i principali produttori italiani di stoviglie e contenitori in plastica monouso.
Secondo Novamont in Italia vengono vendute circa 114.200 tonnellate all’anno di stoviglie usa e getta, utilizzate sia per la gestione di grandi eventi che per mense private e pubbliche.
Il consumo delle stoviglie usa e getta non accenna a diminuire
Basta fare un salto al supermercato per capire quanto sia variegato il mondo delle stoviglie usa e getta! Si vedono allineati (generalmente in verticale) piatti, bicchieri e posate di tutti i tipi e di tutte le dimensioni: i piatti rappresentano il 50% dell’offerta mentre bicchieri e posate pesano entrambi per il 25%.
Solo per i piatti c’è un assortimento incredibile: piatti fondi e piatti piani, pacchi da un chilo (circa 80 piatti), pacchi da mezzo chilo, pacchi da 800 grammi, pacchi da 20 piatti, pacchi da 50 o da 100, confezioni famiglia, piatti che richiamano i decori bavaresi o fiorentini, piatti con stampe fantasia alla moda o con personaggi dei cartoon per i più piccini, piatti in versione happy hour di lusso, piatti in plastica sottile o spessa, piatti bianchi o di tutti i colori, di tutti i diametri, piatti da portata, piatti ovali, piatti rettangolari bi-scomparto e tri-scomparto, da primo, da secondo, da contorno, da dessert, coppette, ciotole… Tutte queste attenzioni per prodotti che hanno un destino già segnato fin dalla nascita: diventare rifiuti!
Il mondo dell’usa e getta si divide poi per tipologia di materiale: plastica (bicchieri, posate e piatti) e carta (piatti, tovaglie e tovaglioli). I piatti, ad esempio, possono essere sia in plastica che in carta: quelli decorati, quasi sempre in carta spessa, si distinguono per raffinatezza del design e hanno costi molto più alti. Tra gli usa e getta di pregio anche flûtes trasparenti per brindisi e posate per insalata e macedonia, che quasi nessuno getta via al primo utilizzo! Pare infatti che queste stoviglie godano di una vita più lunga: secondo un’indagine il 21% degli acquirenti le riutilizzerebbe dopo averle opportunamente lavate. Diciamo che in alcuni casi rappresentano oggi quello che ieri era il “servizio buono” delle nostre nonne: vengono usate nelle feste di compleanno, nei pranzi di Natale, nei battesimi e nelle cerimonie in genere mentre le tradizionali stoviglie in plastica bianca vanno bene per uso domestico, per aperitivi e catering, nelle mense, nelle caserme…
Il consumo delle stoviglie monouso si è andato imponendo in un’ampia serie di occasioni. Secondo Mark Up il 35% sarebbe utilizzato durante party domestici, il 33% durante feste e ricorrenze, il 9% per uso quotidiano, il 6% per pasti fuori casa, il 12% per altro (non è specificato).
In ogni caso tra gli amanti del genere prevalgono le stoviglie in plastica bianca a prezzi contenuti (l’85% del totale), seguite da quelle colorate (10%), in crescita (l’innovazione di questo prodotto si ripercuote però sul prezzo più elevato) e dalle stoviglie in carta in flessione (sono le più care), una piccola nicchia che trova il massimo consenso nel nord-ovest e le cui vendite raggiungono il massimo durante il periodo natalizio.
Vanno per la maggiore piatti e bicchieri in confezioni piccole (fino a 50 pezzi) mentre registrano una flessione i formati famiglia e le confezioni più grandi. La fedeltà alla marca è molto bassa e si riscontra una forte stagionalità nei consumi: circa il 70% in estate, quando sono più frequenti pranzi e cene all’aperto e quando le famiglie in vacanza adottano sistematicamente l’usa e getta.
Pare che il consumo di piatti sia più elevato nel sud Italia, dove si concentra la metà del mercato. La sola Sicilia consumerebbe tante stoviglie in plastica quanto Lombardia, Veneto e Piemonte messe insieme. La ragione risiederebbe nella difficoltà di approvvigionamento dell’acqua in alcune zone dell’isola e in alcune regioni del sud.
Qual è l’identikit del consumatore di stoviglie usa e getta?
Intanto sarebbe in prevalenza una consumatrice: non una casalinga, ma una donna ultra impegnata con poco tempo a disposizione, che decide di aiutarsi utilizzando stoviglie di plastica usa e getta. Ma anche i signori uomini fanno la loro parte. Chi sceglie l’usa e getta, uomo o donna che sia, lo fa soprattutto per motivi di praticità ed economicità. È di sicuro più comodo, più pratico e meno dispendioso (in termini economici e di tempo) gettare le stoviglie dopo aver consumato il pasto invece di indossare il grembiule e trasformarsi nella “bella lavanderina”!
Nelle famiglie italiane la tendenza a limitare l’onere delle faccende domestiche e a ridurre l’uso della lavastoviglie per limitare i consumi energetici ha dato spazio alle stoviglie usa e getta, un tempo utilizzate solo in rari casi. Senza contare che sono cambiati gli stili di vita.
Negli ultimi anni sono aumentate le occasioni di consumo individuale specie fuori casa: il pasto tradizionale è stato sostituito dallo “street food”, uno spuntino veloce, consumato in ufficio, in palestra o al bar o da una bevanda alle macchinette distributrici… Anche in questo caso alle stoviglie tradizionali si prediligono piatti, posate e bicchieri in plastica. Inoltre aumentano le occasioni di consumo pubblico: ormai in tutta l’Italia è un continuo proliferare di feste, sagre, concerti, manifestazioni, aperitivi che diventano occasioni di consumo di stoviglie in plastica.
Si afferma il consumatore attento all’ambiente
Il consumatore medio ci sorprende! Da qualche anno si sta facendo strada l’“esemplare” attento all’ambiente: non si tratta una razza in via di estinzione, ma di una tipologia di consumatore più esigente e sensibile, che considera meno influente il prezzo e che, non volendosi sentire responsabile dell’inquinamento ambientale, decide di orientarsi sul biodegradabile quando va al supermercato. Ed ecco che se i consumi iniziano a fare i conti con una più diffusa sensibilità ambientale le multinazionali dell’usa e getta si adeguano alle esigenze di mercato e lanciano intere linee biodegradabili, garantendo il rispetto di severi standard ambientali.
È molto importante sottolineare che non tutti i supermercati vendono stoviglie biodegradabili e per i più pigri diventa problematico schierarsi dalla parte dell’ambiente, anche volendo. Negli scaffali di alcune note catene di supermercati, che in teoria dovrebbero vendere di tutto, non trovano spazio i prodotti biodegradabili, ma ce n’è abbastanza, forse troppo, per i piatti in plastica usa e getta, magari a marchio proprio. Forse è anche per questo che gli italiani continuano a prediligere l’usa e getta in mancanza di alternative. Alcune catene della grande distribuzione hanno invece adottato il monouso biodegradabile, anche qui a marchio proprio.
Quali sono le stoviglie amiche dell’ambiente?
La sostenibilità ambientale delle stoviglie pluriuso riutilizzabili rimane sempre la più alta: dal momento che possono essere riutilizzate più volte (fino a quando non si rompono) non producono praticamente rifiuti.
Non si può dire la stessa cosa per le stoviglie monouso in plastica: dopo il loro utilizzo, non essendo riciclabili, diventano rifiuto inorganico al 100%. La plastica è infatti un piatto molto indigesto per l’ambiente: i suoi tempi di biodegradabilità sono compresi tra 100 e 1000 anni (Fonte: UNESCO). Come se non bastasse bisognerebbe aggiungere i costi energetici ed ambientali legati al loro trasporto: ne deriva un impatto ambientale molto elevato ed una sostenibilità scarsissima.
Per quanto riguarda invece le stoviglie in mater-bi (derivanti dal mais) la sostenibilità aumenta decisamente a condizione di una reale possibilità di compostaggio. Tali stoviglie, una volta terminato il pasto, devono essere conferite negli appositi contenitori destinati all’organico e poi compostate.
Teniamo conto che il mater-bi si decompone in circa 90 giorni purché correttamente smaltito in un impianto di compostaggio industriale; se invece viene abbandonato in superficie si degrada in circa 15 mesi. Quindi, come per le stoviglie in plastica, andrebbero aggiunti i costi ambientali derivanti dall’organizzazione del compostaggio.
Ma l’AIPPM invita a non crearsi troppe aspettative nei confronti del mater-bi e avanza tre riserve: «Al di là dei perduranti limiti prestazionali rispetto ai prodotti “tradizionali” e di qualche riserva avanzata su di un massiccio utilizzo di plastiche derivate da mais (prodotti ogm, alto impatto della coltura) è la stessa disponibilità di materia prima che contribuisce a limitare la diffusione di questi prodotti» sottolinea il presidente Marco Omboni. Critiche respinte dalla Novamont, azienda che commercializza il mater-bi: «Le prestazioni sono superiori a quelle tradizionali in termini di rottura e resistenza e il problema della scarsità di risorse non è reale».
Una riflessione a conclusione del quadro sulle biodegradabili: per quanto queste stoviglie siano amiche dell’ambiente non dobbiamo dimenticarci che si tratta sempre di “usa e getta”, che producono una montagna di rifiuti! È assodato che rispetto alla plastica comune rappresentino una buona soluzione, ma l’aspetto più paradossale è che, a volte, si usano le stoviglie biodegradabili in contesti che non raccolgono separatamente l’umido e quindi le tanto decantate stoviglie biodegradabili finiscono comunque in discarica.
Non è più logico ridurre i rifiuti invece di produrli prima e di compostarli poi? Perché “accontentarsi” di compostare i piatti monouso, ammesso poi che venga effettivamente fatto, quando esistono valide alternative a rifiuti zero e cioè le stoviglie pluriuso (piatti in ceramica, posate in acciaio e bicchieri in vetro), riutilizzabili praticamente all’infinito?
La sostenibilità economica: i prezzi delle stoviglie a confronto
Grazie al costo relativamente basso e all’ampia flessibilità d’impiego il consumo di stoviglie usa e getta è in costante aumento. L’Osservatorio Nazionale Prezzi, che rileva mensilmente i prezzi (minimi, medi e massimi) dei principali prodotti di largo consumo, ha individuato il prezzo (aggiornato ad ottobre 2009) di una confezione di piatti usa e getta da 50 pezzi nelle principali città italiane: si passa da un prezzo medio di 2,24 € nella città di Torino, ai 2,32 € di Milano, ai 2,25 € di Venezia per arrivare ai 2,34 € di Genova. Andando verso il sud Italia i prezzi calano leggermente: a Roma una confezione da 50 piatti usa e getta costa mediamente 2,04 €; a Napoli 1,77 €; a Bari 1,76 €; a Palermo 1,88 € ed infine a Cagliari 1,74 €.
Per quanto riguarda le stoviglie biodegradabili (sempre usa e getta) i prezzi lievitano: una confezione da 50 piatti in mater-bi costa intorno ai 7 €, ma può arrivare anche a 13-15 €.
Un semplice piatto in ceramica può costare invece da 1 a 5 € al pezzo, ma se ne trovano di ogni prezzo: si tratta certamente del tipo di stoviglia più conveniente considerando anche il numero illimitato di utilizzi.
La sostenibilità tecnica dei diversi tipi di stoviglie
Il contatto dei cibi con temperature elevate può diventare un problema per le stoviglie monouso in plastica. Le stoviglie in mater-bi hanno invece due limiti: il primo legato alla robustezza dei materiali (in particolare le posate), il secondo legato all’organizzazione della logistica per quanto riguarda il compostaggio. Se l’organico viene smaltito con la raccolta differenziata dell’umido, è necessario che i materiali siano tutti compostabili per non creare problemi al ciclo di compostaggio con il quale verranno trattati. Infine per le stoviglie riutilizzabili la mancanza di spazi per le lavastoviglie può diventare un problema, specie in ambito scolastico.
A proposito di mense scolastiche…
Le mense italiane scodellano ogni giorno 2 milioni di pasti per bambini fino ai 14 anni e 337 mila pasti per ragazzi sopra i 15, secondo uno studio del 2009 sulla ristorazione collettiva, targato AIAB. A questi dati bisogna poi aggiungere i pasti per aziende, università, ospedali, treni, aerei: si arriva ad un totale di oltre 5,5 milioni di pasti giornalieri. I pasti annui arriverebbero a oltre 2 miliardi, con un giro d’affari di 7 miliardi di euro annui.
C’è chi utilizza tovaglioli di carta, chi bicchieri di carta o di vetro, chi piatti in ceramica e posate in acciaio, chi posate o piatti in plastica usa e getta, chi posate e piatti biodegradabili, chi una combinazione tra queste opzioni. Per avere un’idea della rilevanza dei rifiuti prodotti basta pensare che un singolo pasto servito in ambito di ristorazione scolastica genera circa 50 kg di rifiuti all’anno (in circa 200 giorni scolastici) e cioè 200-250 g al giorno. Una buona parte di queste rifiuti arriva dalle stoviglie: un coperto che includa piatti, posate, tovaglioli e bicchieri monouso comporta la produzione di circa 40-50 g di rifiuti non riciclabili, in quanto si tratta di frazioni che non possono essere conferite nella raccolta differenziata e che finiscono in discarica o nell’inceneritore, con un costo economico per la collettività e significativi impatti per l’ambiente. La ristorazione collettiva incide dunque sul sistema economico, produttivo, sociale e ambientale.
Per ovviare alla smisurata quantità di immondizia che piatti, bicchieri e posate di plastica generano, basterebbe ricorrere a semplici accorgimenti, come ad esempio, far portare ai bambini le stoviglie (da lavare poi a casa con costi minori per le mense e decisamente irrilevanti per le famiglie). Questa prassi, che per noi sembra fantascienza, è di uso comune in alcuni paesi del mondo, come il Canada. Certo sarebbe meglio se ogni scuola servisse i propri pasti in piatti di ceramica di sua dotazione e poi li lavasse in proprie lavastoviglie, ma in un contesto come quello della scuola, ove a volte manca anche solo la carta igienica nei bagni, diventa davvero difficile, quasi utopistico, pensare alla lavastoviglie. Ma questa è un’altra storia!
La soluzione potrebbe essere mangiare il piatto?
Esistono alternative ai piatti monouso in plastica, che non siano i piatti di ceramica o di mater-bi? E soprattutto esistono alternative a basso impatto ambientale e a basso costo? Secondo il fantasioso imprenditore trentino Tiziano Vicentini la soluzione c’è e si chiama Pappami: si tratta di un piatto commestibile e compostabile al 100% e smaltibile nei rifiuti organici se non viene mangiato.
L’insolito piatto sembrerebbe realizzato con ingredienti simili a quelli dei crackers ed avrebbe il sapore del pane. Di sicuro è molto originale: ha la forma di un fiore e i suoi petali possono essere staccati e mangiati durante il pasto… praticamente è come sfogliare una margherita! Può contenere cibi liquidi e semiliquidi per oltre un’ora, può essere messo nel forno a microonde o congelato. Costo: 30 centesimi di euro a piatto.
Pappami ha partecipato ad aprile 2009 alla 37° edizione del Salone Internazionale delle Invenzioni di Ginevra aggiudicandosi due premi: il premio “Prix” dell’Associazione dei Giovani Dirigenti d’Impresa per l’originalità, la creatività e la possibilità di commercializzazione dell’invenzione e il premio della Delegazione Italiana per l’invenzione che meglio rappresenta la creatività italiana nel mondo.