Taranto, referendum sull’Ilva
Il prossimo 27 marzo i tarantini andranno alle urne per pronunciarsi sulla chiusura totale o parziale dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Ma da Legambiente arrivano critiche - da Terranews.it del 04.09.2010
07 September, 2010
Giorgio Mottola
E se l’Ilva di Taranto improvvisamente scomparisse? Ora non è più fantascienza, ma una concreta possibilità. La chiusura del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, auspicata da molti, ma temuta da tanti altri (a partire dai 18mila operai che ci lavorano), potrebbe diventare realtà il prossimo 27 marzo.
Questa è la data scelta dalla giunta di Taranto per il referendum consultivo che deciderà del futuro dell’Ilva. I cittadini dovranno rispondere a un quesito molto chiaro: la mega fabbrica di Emilio Riva deve chiudere o deve rimanere aperta?
Da anni alcune associazioni locali, con in testa il comitato Taranto futura, inseguivano l’obiettivo della consultazione popolare. Se il sindaco Ippazio Stefàno la considera una preziosa occasione di confronto e partecipazione, nel fronte ambientalista non tutti ne sono molto entusiasti.
Leo Corvace, presidente uscente di Legambiente in provincia, è il primo a non fare i salti di gioia: «Penso che sia pericoloso spaccare la città tra chi è favore perché con l’Ilva ci campa e chi è contro perché non ha interessi». Il via al referendum è venuto nel 2008 con una sentenza del Tar di Lecce, dopo che le amministrazioni comunali di centrodestra degli anni ’90 hanno sempre avversato la possibilità del ricorso alle urne sul tema dell’impianto siderurgico.
A distanza di tre anni dal pronunciamento del Tribunale amministrativo, i tarantini potranno finalmente esprimersi sulla presenza dell’Ilva. Il referendum chiederà ai cittadini di scegliere tra tre alternative. Lasciare tutto com’è. Chiusura totale dello stabilimento con la salvaguardia dei livelli occupazionali da impiegare in settori alternativi. Oppure parziale, della sola area di lavorazione a caldo, con lo smantellamento dei parchi minerali che riversano polveri sul quartiere Tamburi, in cui nei prossimi mesi dovrebbe partire una prima bonifica.
Sebbene negli ultimi mesi il comitato referendario abbia spesso polemizzato con il sindaco Stefàno, il primo cittadino giudica la consultazione come un segnale importante, di cui l’Ilva dovrà, sin da ora tenere conto: «Sono stato tra i primi a denunciare i danni all’ambiente e alla salute prodotti dallo stabilimento siderurgico. Nella mia tesi di laurea in Medicina scrissi dell’aumento esponenziale dei tumori in alcuni quartieri della città. Erano gli anni ’70 e in città non c’era assolutamente coscienza del problema. Ora però le cose sono cambiate, i cittadini sono più vigili. Il fatto che si sia arrivati a questa consultazione deve far capire anche all’Ilva che i tarantini vogliono decidere e valutare con attenzione ogni singolo provvedimento che riguarda la loro salute».
E anche la prospettiva di una vittoria del sì, che decreterebbe la chiusura dello stabilimento non atterrisce Stefàno. «Se qualcuno oggi mi chiedesse – è il ragionamento del sindaco – di far chiudere l’Ilva domani, la mia risposta che non è possibile, non si possono mandare a casa 18mila operai. Ma se un grande numero di persone votasse a favore di una dismissione, credo che andrebbe fatto un ragionamento serio. Bisogna capire se veramente è inconciliabile la presenza dell’Ilva con il rispetto dell’ambiente e della salute. E se non si raggiungono i risultati, si può programmare la chiusura, ma vanno prima trovate le soluzioni occupazionali ed economiche alternative».
Sono di tutt’altro avviso Legambiente e Altamarea, il cartello delle associazioni ambientaliste tarantine. Molte di loro hanno già annunciato che faranno campagna per l’astensione. Spiega Corvace: «Il referendum è solo consultivo, per cui se vince il sì non cambia nulla, ma se vince il no si buttano a mare tutte le battaglie degli anni passati. Il rischio è molto grande. L’Ilva dà lavoro a 18mila persone e fa vivere tutto l’indotto dei commercianti. In questa fase, non vedo un contesto economico tale da poter sostenere un’immediata dismissione degli impianti».