I piatti di carta sono un'alternativa agli usa e getta in plastica?
Alternative di carta (compostabili e non) ai tradizionali piatti usa e getta in plastica. I piatti in carta plastificata e in polpa di cellulosa: caratteristiche e modalità di conferimento.
28 September, 2010
La maggior parte dei piatti usa e getta che si trovano in commercio sono in plastica: non biodegradabile, e nemmeno riciclabile. Tuttavia, da alcuni anni è possibile trovare prodotti sostitutivi realizzati in bioplastica, come il Mater-Bi e il PLA (acido lattico polimerizzato), materiali di origine organica provenienti dalla lavorazione dell'amido di mais, patata e grano.
I prodotti in bioplastica sono biodegradabili e si decompongono nell'arco di qualche mese in compostaggio, ma presentano costi di produzione abbastanza alti e non possono essere utilizzati in forni e microonde.
Ci siamo allora chiesti se sia percorribile la via dei piatti di carta.
In un precedente articolo di Eco dalle Città abbiamo già appurato che, ove presente la raccolta dell'organico, la carta sporca può essere conferita
nell'umido. Ma questo vale anche per i piatti di carta usa e getta? Non è una domanda banale, perché a rigor di logica un piatto che sia effettivamente “di
carta” una volta utilizzato, e dunque sporcato con residui di cibo, dovrebbe finire nella raccolta differenziata tra i rifiuti organici, e invece non è così perché i piatti di carta... non sono (del tutto) di carta!
I piatti di carta che si trovano abitualmente in commercio sono in realtà in carta plastificata,cioè rivestiti da una pellicola di polietilene che impedisce l'assorbimento di liquidi e grassi contenuti negli alimenti; un accorgimento indispensabile, a detta dei produttori, che migliora le prestazioni del prodotto ma che non permette di buttarlo nell'organico. “La pellicola di plastica - afferma Eliana Farotto, responsabile dell'area Ricerca&Sviluppo di Comieco - non interferisce però con il processo di riciclo della carta di cui è costituito in prevalenza il piatto, in quanto la percentuale di polietilene in essa contenuto è minima”. Ovviamente a condizione che il prodotto sia pulito, come ci ha confermato Roberto Bergandi, responsabile dell'Ufficio Relazioni Esterne di AMIAT: “E' come per il cartone della pizza: se il piatto in carta plastificata dopo l'uso non presenta evidenti tracce di sporco, questo può essere gettato senza problemi nella raccolta carta, in caso contrario andrà a finire
nell'indifferenziato, e mai comunque nell'organico”.
Esistono tuttavia piatti di carta biodegradabili e compostabili, che possono dunque essere conferiti nell'umido una volta sporcati: sono realizzati in polpa di cellulosa, materiale organico che si ricava dagli scarti di lavorazione di alcune piante, principalmente la canna da zucchero. Secondo i produttori che abbiamo contattato, le stoviglie fabbricate con la polpa di cellulosa sono completamente biodegradabili e compostabili, e la fitta trama dell'impasto garantisce un livello di impermeabilità molto più alto in confronto con la normale cellulosa; inoltre, rispetto alla plastica biodegradabile, resistono meglio alle alte temperature (fino a 200°C), possono essere utilizzati nel microonde e hanno costi decisamente inferiori.
2 commenti
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03.10.2011 12:10
caro Giovanni, Lei forse non ha ben chiaro il concetto di compost. Un oggetto compostabile può tranquillamente resistere a temperature di 200 °C ed anche superiori, la trasformazione in compost avviene per opera di microorganismi che si nutrono di quel materiale, a 60 °C, come a 20 °C. La cellulosa altro non è che il principale componente delle piante, e queste le assicuro che si possono compostare. Un pezzo di legno resiste a 200 °C? la risposta è si, ma se lo seppellisco scompare anche se la temperatura non supera i 30 °C. I 60 °C utilizzati negli impianti di compostaggio non servono altro che ad accelerare i microorganismi che a basse temperature impiegano anni per "mangiarsi un pezzo di legno" mentre a 60 °C impiegano tempi industrialmente possibili per il trattamento di questi oggetti. In conclusione, la resistenza alla temperatura di un oggetto non centra assolutamente nulla con la temperatura a cui avviene il processo di compostaggio.
Giovanni Salcuni
29.09.2010 16:09
In merito ai piatti realizzati in polpa di cellulosa si scrive che resistono a temperature fino a 200 C°. Ora, gli impianti che producono compost organico ( e che lo realizzano principalmente utilizzando come materia prima proprio la raccolta dello scarto umido organico domestico ) lavorano a temperature di circa 50-60 C° max. Pertanto, viene spontaneo chiedersi come un piatto che resiste a temperature di 200 C° possa essere smaltito nella frazione umido organico per produrre compost e quindi come tale piatto possa di conseguenza essere conforme alla Norma EN 13432 sulla compostabilità.
Infatti, una resistenza a 200 C° impedirebbe di fatto il compostaggio del piatto negli impianti dove si lavora a temperature sensibilmente inferiori. Se così fosse, allora dove andrebbe conferito a fine ciclo vita il piatto in polpa di cellulosa? Sarebbe forse necessario un riciclo meccanico prima di conferirlo nell'umido organico per produrre compost? E se così fosse, quale piattaforma ecologica dovrebbe accogliere tale prodotto, dove andrebbe smaltito?
Sicuramente, ritengo che un piatto realizzato ( correttamente) in bioplastica bio-compostabile realisticamente può resistere ( a seconda degli spessori ) fino a 50-60 C° continui senza deformarsi. Certamente ciò può rappresentare dei limiti di utilizzo, però, sicuramente tale piatto potrà senza dubbio essere smaltito nella frazione umido organica della raccolta differenziata destinata alla produzione di compost organico.