Né discariche, né differenziata Così si è tornati ai giorni neri
Da Corriere del Mezzogiorno 28/10/2010
12 October, 2010
Fabrizio Geremicca e Simona Brandolini
Articolo 5: Acerra dovrà smaltire i 7 milioni di ecoballe accatastate nelle campagne campane. Emendato. Sempre articolo 5: viene confermato il termovalorizzatore di Santa Maria la Fossa. Emendato (dalla magistratura). Articolo 6: i cdr potranno essere convertiti in impianti di compostaggio di qualità. Declassati. Ha più di due anni la legge con la quale si davano superpoteri al sottosegretario Guido Bertolaso e si fronteggiava l’emergenza rifiuti in Campania. Un provvedimento in vigore sino al 31 dicembre dello scorso anno: quando dalla gestione straordinaria si è passati a quella ordinaria (Regione-Province-Comuni). Ecco, a contare i sacchetti per strada scappa un sorriso isterico.
Cosa non gira
Dal 14 luglio del 2008 ad oggi cosa è accaduto? Cosa è andato storto? Se è vero, come dicono i vertici della Protezione civile, che l’emergenza questa volta non dipende da problemi strutturali, è anche vero che, parola di Bertolaso, ritornerà ad esserlo da febbraio in poi quando si esauriranno le discariche. Dunque è una contingenza, come sempre sfortunata. Responsabili questa volta da una parte Asìa che non riesce a governare il mare magnum di appalti e subappalti, dall’altra la Provincia e gli abitanti di Terzigno che impediscono che si apra la seconda discarica sul Vesuvio. Prevista per legge, ha ricordato Bertolaso a Luigi Cesaro.
Ecco, per legge. Cosa si doveva realizzare in questi due anni? Il ciclo integrato dei rifiuti, si risponderà. Partiamo dalle discariche. Che sono il tassello fondamentale. I «buchi» dove mettere la munnezza nell’attesa che si faccia la differenziata, che si costruiscano i siti di compostaggio e che funzionino i tra termovalorizzatori previsti. La prima è a Sant’Arcangelo Trimonte, nel Sannio ha una capienza di 800 mila tonnellate, sarà colma nell’autunno del 2011. In Irpinia c’è poi Savignano Irpino, discarica da 700 mila tonnellate esaurita nel febbraio 2011. Terzigno lì il piano ne prevede due: la prima è stata realizzata nella cava ex Sari, ha una capienza di 650 mila tonnellate, si esaurirà per la primavera nel 2011. A Napoli, invece, c’è la famosa discarica di Chiaiano, da 770 mila tonnellate, ha altri sei mesi di vita circa. Particolare non trascurabile: grazie ad una webcam sino al 31 dicembre 2009 era possibile monitorare, giorno dopo giorno, ora dopo ora, cosa veniva scaricato, chi entrava, chi usciva. Ebbene la fine dell’emergenza ha decretato anche lo spegnimento di quell’occhio elettronico che assicurava la massima trasparenza e la possibilità per i cittadini di controllare i lavori.
Valzer delle discariche
Ma andiamo avanti. L’ultima funzionante è quella di San Tammaro a Caserta, resisterà al massimo fino alla prossima primavera. Quanti altri buchi dovevano essere scavati in Campania? Il secondo a Terzigno, nella Cava Vitiello, oggi presidiata da cittadini, da giorni teatro di scontri, cortei e proteste. L’Unione europea ha minacciato sanzioni all’Italia se dovesse essere aperta perché in piena area protetta. Ma Bertolaso ha ragione a ripetere che «era prevista per legge». Nel decreto c’è. Ma nei piani della Provincia di Napoli, che ora gestisce il ciclo? Da maggio non più. All’appello mancano altre 4 discariche.
Capitolo termovalorizzatori. Acerra è l’unico realizzato dopo dieci anni di scontri, inchieste giudiziarie, passaggi di gestione, da Impregilo alla A2A, costato più di 240 milioni di euro. Per decreto avrebbe dovuto, tra l’altro, bruciare i 7 milioni di ecoballe in circa dieci anni. Ebbene, subito dopo, si è scoperto che quell’immondizia pressata nei forni acerrani non ci poteva finire. Attualmente ad Acerra funziona un solo forno che brucia 700 tonnellate al giorno. Per capirci ogni giorno a Napoli città si producono 1600 tonnellate di rifiuti, in tutta la provincia 3200. Era previsto anche quello casertano di Santa Maria la Fossa, per ora congelato.
Cdr, ovvero combustibile derivato dai rifiuti. Sono gli impianti dove, per decreto, la munnezza sarebbe dovuta diventare in una prima fase ecoballe (e per 7milioni di tonnellate è avvenuto), in una seconda avrebbero dovuto, previa valutazione, essere convertiti in impianti per compost di qualità. Cosa è successo? Sono stati declassati. Ora si chiamano Stir, non producono più ecoballe, non hanno mai prodotto compost, nei sette impianti ora i rifiuti vengono solo grossolanamente separati e poi tritati, pronti per l’unico forno acceso in tutta la Campania, quello di Acerra.
Raccolta differenziata.
Gli obiettivi previsti dal decreto Ronchi e fissati nel provvedimento per l’emergenza rifiuti erano: 25 per cento nel 2009, 35 per cento nel 2010, 50 per cento entro il 2011. Tranne poche eccezioni virtuose, in Campania il dato medio è del 20 per cento. Napoli città raggiunge appena il 19 per cento grazie ai volenterosi cittadini dei quartiere dei Colli Aminei e di Bagnoli, dove è partita l’unica sperimentazione del porta a porta, che alzano la media. Ebbene il decreto del 2008 prevedeva commissari ad acta in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. Gli unici comuni commissariati sono stati tre-quattro nel casertano. Ma sono partiti subito i ricorsi al Tar. E tutto è passato in cavalleria.
È partito un bastimento carico carico di? Munnezza. L’ultimo il 30 marzo del 2009 da Marcianise fino in Germania. Poi mai più. Fino all’altroieri, quando si è saputo che la Regione ha pubblicato sul sito un invito a presentare offerte destinato alle imprese che vogliano portare i rifiuti dai tritovagliatori fuori dalla Campania. I dipendenti. A tutt’oggi resta un numero record: più di dodicimila in tutta la Campania. Ma è esploso emblematicamente il caso Napoli. Asìa ha 3 mila addetti, ma non svolge in proprio il servizio di raccolta. Lo fa Enerambiente, società appaltatrice, con i suoi 470 dipendenti. Che, però, a sua volta si è rivolta ad una cooperativa, la Davideco, che ha 140 lavoratori più almeno un centinaio di interinali. I risultati sono sotto il naso di tutti i cittadini napoletani.
Cosa è stato realizzato, invece? Beh, da novembre a Napoli ci sarà un ulteriore aumento della Tarsu pari all’8,8 per cento della tassa che è già aumentata del 60% in un anno.