Subappalti e discariche piene. Perché sta tornando l’emergenza
Come si è incrinato il meccanismo che due anni fa aveva permesso di liberare la città dalla spazzatura Dorriere del Mezzogiorno 25/10/2010
12 October, 2010
Marco Imarisio
- Con il cappio al collo, e le mani legate. Non solo gli operai della Davideco che pochi giorni fa erano saliti sul tetto agitando nodi scorsoi e manette mentre i loro colleghi si sdraiavano per strada a bloccare l’uscita dei compattatori. C’è una città intera che comincia a intravedere il ritorno dell’emergenza, o la fine dell’illusione. I sacchetti neri che fanno da spartiacque a via Medina sono cartoline da un passato troppo prossimo per essere già dimenticato. Proprio come i viaggi della speranza che portavano all’estero la spazzatura, treni e navi che partivano di notte, per nascondere l’umiliazione. La Regione Campania ha pubblicato un avviso alla ricerca di aziende disposte a portare «altrove» i rifiuti. «Misura prudenziale», certo, ma non induce all’ottimismo. Non è il 2008, però. Non ancora. Ma gli scontri, i roghi, le proteste di questi giorni raccontano dell’equilibrio instabile sul quale si regge il sistema-rifiuti campano. Della sua precarietà. Come se la vergogna che consegnò Napoli a un ludibrio mondiale non avesse insegnato nulla. A nessuno. La spazzatura nelle strade del centro e del Vomero è figlia di una gestione bizantina del servizio rimozione dell’immondizia a Napoli. Asia, la società del Comune che dovrebbe gestire il presunto ciclo integrato dei rifiuti, funziona come mero ente appaltatore. Fin dal 1998, quando la rivolta del «movimento dei disoccupati», la sigla sociale era questa, produsse autobus e negozi bruciati, giorni interi di guerriglia urbana, era apparso chiaro che il metodo non poteva funzionare. Eppure si è trascinato fino ad oggi. Con gare annullate per interdittive antimafia e servizi affidati a cooperative che spesso attingono in quelle pozze di disagio sociale dove anche la camorra ha gioco facile a infiltrarsi.
Quest’ultima crisi si può spiegare anche così, con la perseveranza nell’errore. Dal 2005 la raccolta e lo smaltimento sono affidati a Enerambiente, azienda privata veneta la quale a sua volta subappalta ad alcune cooperative locali, come la Davideco. Ma a metà settembre è diventato operativo l’esito dell’ultima gara indetta da Asia, che ha visto una ulteriore spartizione in cinque lotti. Enerambiente ha mantenuto il «controllo» dei quartieri Arenella e San Carlo, mentre il centro e il Vomero sono passati ad altre ditte. Il «restringimento» obbliga a tagliar fuori i lavoratori della cooperativa Davideco, che reagiscono devastando gli uffici di Enerambiente e mettono fuori uso i 50 automezzi che dovrebbero raccogliere i rifiuti. La violenza degli interinali di Davideco non è che un ulteriore granello di sabbia all’interno di un ingranaggio che si sta inceppando. «Ma come è possibile?». Nell’aprile di quest’anno Judith Merkeis, capodelegazione della commissione Petizioni del Parlamento europeo non credeva a suoi occhi. Era arrivata alla discarica di Terzigno per scoprire quel che a Napoli sanno tutti. La tritovagliatura e la «provenienza certa» dei rifiuti che venivano scaricati nel buco al centro del Parco Naturale del Vesuvio era tale solo sulla carta. Al tatto, i fusti di plastica con la scritta «solvente industriale», gli scarichi di olio da officina e altre pregevolezze si rivelavano per quel che erano. Rifiuti «tal qual», indifferenziati, non censiti e non vagliati. Il verdetto della Commissione fu una fotografia ancora più imbarazzante dei sacchetti neri di questi giorni. «In Campania manca un vero ciclo integrato; non viene rispettata la gerarchia dei rifiuti perché si utilizzano solo discariche e termovalorizzatori, senza passare per i processi di selezione e riciclaggio che riducono l’immondizia e favorirebbero un minore utilizzo delle discariche, che sono viste non come una soluzione temporanea, ma definitiva».
La raccolta differenziata è un miraggio. Il tetto di legge fissa un minimo del 40% di rifiuti separati all’origine, dovrebbero essere almeno 3.000 sui 7.000 che ogni giorno produce Napoli. Quando va bene sono 1.400. L’assenza degli impianti di compostaggio si somma a sette Centri di raccolta che continuano a tritare l’immondizia senza trattarla. A quasi due anni dalla sua inaugurazione, con Silvio Berlusconi a tagliare il nastro, l’inceneritore di Acerra rimane un mistero. La Protezione civile afferma che due linee su tre sono temporaneamente ferme per manutenzione ordinaria. Molti tecnici del gruppo A2A che gestisce l’impianto parlano invece di «problemi strutturali» che impediscono una messa a regime. Comunque sia, Acerra non è stata la panacea di tutti i mali. La riprova è nell’insistenza con la quale l’ex sottosegretario Guido Bertolaso si batte per l’apertura della cava Vitiello a Terzigno, uno sversatoio da tre milioni di metri cubi all’interno del Parco del Vesuvio che andrebbe ad affiancare l’attuale discarica da 700.000 tonnellate. La mistica del buco come unica soluzione per stipare i rifiuti presenta un difetto. Le discariche, infatti, tendono a riempirsi. Soprattutto se in questi due anni sono stati fatti pochi passi avanti nel compostaggio e nella differenziata. Terzigno chiuderà a dicembre, e come dimostrano le proteste e gli scontri di questi giorni ritiene di avere già dato.
Chiaiano, aperta dopo infiniti tormenti e scontri, a mezzo servizio per l’ostilità dei residenti e per le frane che cadono spesso nell’invaso, «scade» a maggio del 2011. Intorno a Napoli c’è un cappio che si sta stringendo. E sono passati solo due anni.