Presentato alla Bica di Roma uno studio sul fenomeno Nimby in Italia
Nimby: not in my backyard - non nel mio cortile. Presentato alla Borsa Internazionale della Comunicazione Ambientale, uno studio di Banca d'Italia sulle dimensioni del fenomeno nel nostro Paese. Proteste quasi raddoppiate in tre anni: le 85 documentate nel 2006 sono salite a 155 nel 2009
27 October, 2010
Annalisa Mancini
La sesta edizione di BICA si è aperta il 26 ottobre a Roma con la presentazione in anteprima di uno studio di Banca d’Italia sulle dimensioni del fenomeno Nimby nel nostro Paese. Nimby (Not in my backyard - non nel mio cortile) è l’opposizione alla costruzione di nuovi impianti e infrastrutture da parte delle comunità direttamente interessate. E’ sotto gli occhi di tutti la protesta di questi giorni contro la localizzazione di una nuova discarica a Boscoreale e Terzigno, in provincia di Napoli. Secondo Paolo Sestito, funzionario del Servizio Studi della banca centrale italiana sono allarmanti ma trovano una spiegazione nell’assetto istituzionale e nella conformazione geografica del nostro Paese. E nella nostra propensione allo scontro, anziché al dibattito civile (il débat public che in Francia, ad esempio, ha permesso la realizzazione di progetti controversi come le centrali nucleari, e che è organizzato e finanziato dagli stessi responsabili del progetto).
Proteste quasi raddoppiate in tre anni (le 85 documentate nel 2006 sono salite a 155 nel 2009): l’opposizione alla novità arriva dagli amministratori locali, che cavalcano la protesta dei cittadini o la alimentano, e si concentra sul settore energetico e dei rifiuti. La stampa locale è di parte, quella nazionale più equilibrata. A sorpresa, la tendenza alla protesta è maggiore quando il progetto coinvolge più comuni della stessa provincia o un solo comune (che si sente discriminato rispetto agli altri) e quando il governo locale appartiene allo stesso schieramento di quello centrale (si crea un fronte comune). Ancora, non c’è correlazione tra intensità della protesta e ricchezza della comunità: i rischi per l’ambiente e la salute, insomma, non hanno prezzo.
Lo studio identifica le cause del fenomeno nella mancanza di un confronto civile e nelle decisioni imposte dall’alto. La scelta della localizzazione coinvolge esclusivamente le amministrazioni locali, senza consultare i cittadini, che non sono sufficientemente informati su costi, rischi e benefici. La parola chiave è disinformazione, il risultato una protesta che non vuole sentire ragioni. A volte il NIMBY è solo il veicolo di sfiducia e insofferenza verso le Istituzioni o il risultato della cattiva programmazione di interventi: più spesso però, secondo gli economisti, è l’effetto di scelte accentrate e non condivise in un apparato amministrativo decentrato.
Al dibattito sullo studio hanno partecipato rappresentanti del mondo dell’industria, concordi nel ritenere la disinformazione alla base delle numerose proteste che fioriscono sul nostro territorio. Mauro D’Ascenzi, Vice Presidente di Federutiliy, ha fatto l’esempio della cd. legge sulla privatizzazione dell’acqua, la cui portata è stata completata travisata dall’opinione pubblica e concluso che ‘L’efficiente comunicazione sui temi ambientali è una sfida già persa’. Responsabile principale del fallimento è la nostra classe dirigente. Anche per Giancarlo Cremonesi, Presidente di Confservizi, ‘i cittadini sono strumentalizzati da parte di chi ha mire diverse dalla protezione di ambiente e salute’ tanto che il 37% delle contestazioni, cita, proviene dai politici locali.
‘Viviamo in un paese fermo, inefficiente e non competitivo‘, ha dichiarato, in cui l’industrializzazione e il progresso tecnologico, modesti, non giustificano il continuo peggioramento della qualità della vita. Paghiamo il ‘costo del non fare‘, delle infrastrutture non realizzate. Secondo Paolo Iammatteo, Consigliere Nazionale Ferpi e Responsabile della Comunicazione Istituzionale di Enel, il problema sono anche i vincoli burocratici e amministrativi, difficilmente eliminabili. L’opposizione pubblica e il Nimby però, si possono superare con il dibattito pubblico, se questo si svolge con ‘regole certe e condivise’. E a dimostrazione porta un video girato a Flamanville, ridente cittadina francese che ospita una centrale nucleare di terza generazione partecipata da Enel al 12,5% ed edificata al termine di un lungo e civile contraddittorio. Senza arrivare agli eccessi di Flamanville, che si dichiara orgogliosa della propria centrale, all’estero si procede democraticamente, con un confronto schietto e diretto. Ma anche qui, Stuttgart 21 ci insegna, il dibattito è lontano dall’essere la regola.