Termosifoni più freddi per due giorni, la ricetta inedita di Firenze contro lo smog. I commenti e il quadro normativo nazionale
Il sindaco Matteo Renzi ha varato un provvedimento inusuale per abbassare le concentrazioni fuori norma delle polveri sottili nell'aria di Firenze. Prima di bloccare il traffico cittadino, ha chiesto ai cittadini di abbassare per un paio di giorni la temperatura dei caloriferi, portandola al di sotto dei livelli imposti dalla legge nazionale. Una misura che per ora sembra non trovare molti proseliti tra le altre amministrazioni comunali, a parte qualche eccezione come Prato, Udine e Vigevano
19 November, 2010
Un provvedimento sui generis
Ha fatto scalpore, qualche giorno fa, la decisione del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di adottare un provvedimento antismog di emergenza piuttosto sui generis. Prima di bloccare il traffico veicolare, o di istituire un ciclo di giornate a “targhe alterne”, Renzi ha pensato di emettere un'ordinanza (rimasta in vigore il 16 e il 17 novembre, vedi allegato) che imponeva di abbassare per due giorni la temperatura dei termosifoni: massimo 17 gradi per gli edifici adibiti ad attività industriali e artigianali, non oltre i 18 gradi per le abitazioni e per tutti gli altri edifici. Nelle quarantott'ore in questione, inoltre, i caloriferi sono rimasti accesi per non più di otto ore al giorno. Se neanche questo provvedimento si fosse rivelato efficace, l'ordinanza prevedeva, per i due giorni successivi, l'adozione di altri sistemi più “tradizionali”: blocco del traffico prima nella Ztl del centro storico e poi su tutto il territorio comunale. Un'opzione, quella dello stop alle auto, scongiurata dalla pioggia dei giorni scorsi. L'idea di abbassare i termostati è scattata in seguito ai rilievi preoccupanti dell'Arpat, l'Agenzia di protezione ambientale della Toscana, che aveva riscontrato valori fuori legge delle famigerate polveri sottili, responsabili di malattie respiratorie e cardiache anche mortali. Di qui l'inusuale provvedimento, da cui erano comunque esonerati edifici con esigenze speciali, come ospedali, scuole e case di riposo per anziani.
Le reazioni
La decisione di Palazzo Vecchio, in ogni caso, ha suscitato diverse reazioni, soprattutto in seno alle altre amministrazioni comunali del nord. A Torino, ad esempio, l'assessore all'Ambiente Roberto Tricarico ha ritenuto opportuno precisare che «certamente il clima di Firenze non è paragonabile a quello di Torino». Tricarico ha comunque chiarito che «negli edifici del capoluogo piemontese la temperatura è compresa tra i 18 e i 20 gradi come previsto dalla normativa, e nelle strutture pubbliche il limite è stato fissato a 19 gradi, eccezion fatta ovviamente per gli edifici considerati sensibili». Perplesso anche L'assessore all'Ambiente del Comune di Genova, Carlo Senesi, che però non è convinto della correttezza formale del provvedimento fiorentino. «Ho qualche dubbio – ha spiegato a un'agenzia di stampa – sul fatto che si possa intervenire a livello comunale su questa materia, regolata da una legge nazionale». In Italia, infatti, esiste una legge che fissa le temperature e i periodi di accensione dei termosifoni nelle diverse aree del paese (vedi oltre). «Certo – ha proseguito l'assessore genovese – Renzi avrà fatto le sue verifiche e se la cosa è possibile si tratta di un provvedimento sensato». Entrando nel merito della questione, Senesi ha precisato che, comunque, il comune di Genova precederà a una “zonizzazione” del territorio cittadino, per poter applicare regole diverse alle differenti aree della città, visto che «le temperature variano sensibilmente tra la zona collinare e la fascia adiacente al mare».
Cosa dice la legge
La normativa nazionale, in effetti, fissa a 20° centigradi (con due gradi di tolleranza) la temperatura che non dovrebbe essere superata nelle abitazioni, negli uffici, nelle scuole e in tutti gli altri edifici, ad eccezione di quelli in cui si svolgono attività industriali e artigianali (o assimilabili), per i quali il limite è fissato a 18 gradi. Questi valori, infatti, sono considerati ottimali (nella stagione invernale) per la vita quotidiana e le attività lavorative dagli esperti internazionali che studiano il cosiddetto “comfort climatico”. Oltre a questo, i decreti 412/93 e 551/99, che disciplinano la materia, suddividono il territorio italiano in sei zone climatiche (dalla A alla F), sulla base delle condizioni di temperatura, più precisamente di parametri definiti gradi-giorno. Per ciascuna di queste fasce esistono dei precisi limiti ai periodi dell'anno in cui è possibile tenere accese le caldaie e al numero di ore in cui i termosifoni possono restare caldi. Ad esempio, a Catania, che è situata nella fascia B, è possibile attivare i caloriferi dal 1 dicembre al 31 marzo, per non più di otto ore al giorno. Situazione ben diversa a Milano (fascia E, termosifoni accesi dal 15 ottobre al 15 aprile, per massimo14 ore al giorno), o a Trento, che si trova nella zona F per la quale non è prevista alcuna limitazione. Restrizioni, comunque, che non sempre è facile far rispettare. In teoria, chi viola la legge dovrebbe pagare una multa, ma esercitare un controllo e applicare le sanzioni è un'impresa tutt'altro che semplice (a questo proposito, il Comune di Udine ha appena annunciato che controllerà che negli edifici pubblici la temperatura non superi i 19 gradi).
I precedenti
In realtà, Renzi non è stato il primo sindaco ad intervenire sul tema del riscaldamento nelle case e negli uffici. Sono piuttosto frequenti, infatti, le ordinanze comunali che introducono deroghe alla legge nazionale. Di solito, però, i sindaci autorizzano i cittadini ad accendere i termosifoni prima di quanto consentito dalla normativa di settore, oppure quando, in primavera, in teoria non sarebbe più lecito. In caso di ondate di freddo precoci o tardive, infatti, il Comune può, appunto attraverso un'ordinanza, anticipare l'accensione dei termosifoni nelle case e negli uffici, purché il limite di ore giornaliere autorizzate non superi la metà di quelle consentite a pieno regime. La questione, comunque, è da sempre molto controversa, tanto che le associazioni dei consumatori hanno chiesto più volte una modifica della normativa, attraverso l'aggiornamento delle zone climatiche (classificate negli anni '70) e il riconoscimento della maggiore efficienza e del minore impatto sull'ambiente delle moderne caldaie. Matteo Renzi, in ogni caso, è stato un pioniere del “raffreddamento domestico” come misura emergenziale antismog. Vedremo se questa soluzione convincerà i suoi tanti colleghi alle prese con il Pm10 alle stelle.
Non solo Firenze
Qualche amministrazione comunale sembra aver già preso spunto dall'idea di Palazzo Vecchio. A Vigevano, ad esempio, è stato vietato l'uso del camino, per chi ha in casa altri sistemi di riscaldamento, fino a metà aprile. La delibera recepisce una disposizione regionale che proibisce l'utilizzo «di apparecchi per il riscaldamento domestico funzionanti a biomassa legnosa», nel caso siano presenti delle alternative. Il sindaco di Vigevano ha inoltre definitivamente messo al bando «i camini aperti e di quelli chiusi, stufe e qualunque altro tipo di apparecchio alimentato a biomassa legnosa, che non assicurino il rispetto di alcuni requisiti come un particolare rendimento energetico». A Prato, inoltre, nel marzo 2010, il Comune ha varato un'ordinanza che impone, sempre in caso di superamento dei livelli di allarme delle polveri sottili, che il riscaldamento non superi i 19 gradi e che resti acceso per non più di 10 ore. Intanto Flavio Morini, responsabile nazionale territorio e ambiente di Anci, la strada battuta da Firenze è quella giusta, soprattutto per quanto riguarda l'edilizia pubblica: «A causa degli impianti di riscaldamento e raffreddamento – ha dichiarato al quotidiano La Repubblica – gli edifici pubblici consumano in media 220 chilowatt calorici a metro quadro quando ne dovrebbero consumare 60». Secondo Morini, inoltre, utilizzando impianti di riscaldamento a pavimento o a parete, bastano 18 gradi per raggiungere il comfort termico (perché il corpo umano ne percepisce 21).
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