Puglia: dal 1 gennaio 2011 in vigore i limiti europei di legge “anti-diossina”
La Puglia è stata la prima regione italiana a dotarsi di una legge “anti-diossina”. Secondo i dati forniti dal registro INES del 2006, il 91,5% di tutta la diossina nazionale è stata prodotta nel territorio tarantino dall’Ilva di Taranto. Dal 1 gennaio 2011 in vigore i nuovi limiti di emissione. I più bassi d'Europa insieme alla Germania, all’Olanda e all’Austria
13 January, 2011
Dal 1 gennaio 2011 sono entrati in vigore i nuovi limiti della legge regionale n. 44/2008 del 19 dicembre. La Puglia è stata la prima regione a dotarsi di una legge “anti-diossina”, poiché secondo gli ultimi dati forniti dal registro INES del 2006, il 91,5% di tutta la diossina nazionale (policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani (PCDD-PCDF) è stata prodotta nel territorio tarantino dall’Ilva di Taranto.
Il Registro INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) oggi sostituito in sede europea dall’European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR), redatto con l’intento di far esercitare al pubblico il proprio diritto di accesso alle informazioni ambientali in maniera semplice e trasparente, per ciò che concerne la produzione di diossine, considera la Puglia come la Regione più inquinata di Italia. Tutta la diossina è prodotta nella provincia di Taranto con il 91,5% di PCDD e PCDF (con un valore pari a 91,96 g/anno). Seconda è la Lombardia con il 4,32 %, terzo il Friuli Venezia Giulia con il 3,72%.
La legge a firma di Vendola [Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF)], pone fine ad un far west legislativo da cui, tutte le industrie primarie e secondarie del ferro, dell’acciaio e dei metalli non ferrosi, avevano tratto profitto esternalizzando le diossine sui territori circostanti senza alcun tipo di controllo pubblico. Coinvolto in prima linea, dunque, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa: l’Ilva di Taranto. La produzione delle acciaierie di Emilio e Fabio Riva, dunque, è dovuta ricadere nelle maglie strette dei vincoli legislativi.
Con l’entrata in vigore della legge 44/2008, tutti gli impianti di nuova realizzazione sono stati obbligati ad adeguarsi ai valori limite, ottenibili con l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili (MTD), e a rientrare, dunque, nei limiti stabiliti dalla legge regionale e europea: 0,4 nanogrammi per metro cubo di tossicità equivalente (0,4 ng TEQ/Nm3).
Per l’Ilva di Taranto, essendo un impianto esistente, invece, fu stabilito un cronoprogramma. L’adeguamento ai citati valori limite doveva avvenire in due tempi. A partire dal 1° aprile 2009 la somma delle diossine non avrebbe dovuto superare i 2,5 ngTEQ/Nm3; dal 31 dicembre 2010 la somma sarebbe dovuta rientrare nei 0,4 ngTEQ/Nm3. Dal 2011 l'Ilva di Taranto si deve allineare agli altri impianti gemelli europei: tedeschi, austriaci e olandesi; in Belgio il limite è di 0,5 per gli impianti sorti dopo il 1993.
Il documento dell’Arpa Puglia “Le emissioni industriali in Puglia. Rapporto sulle emissioni in atmosfera dei complessi IPPC” riprendendo i dati dell’INES, mostra il trend della crescita della diossina prodotta dall’Ilva, passata dal 2002 al 2006, dal 30% circa al 91,5%.
Secondo il dossier di Peacelink l'origine della diossina crescente risiederebbe nell'impianto di agglomerazione dell'Ilva e nel suo camino E312 (vedi foto). Tale attività è cresciuta dopo che la produzione più inquinante è stata spostata da Genova a Taranto. Si legge nel rapporto Peacelink: “In quell'impianto avviene un micidiale processo di sinterizzazione chimica che sviluppa diossine. Lì vengono trattati il minerale di ferro e il carbone coke che sono trasformati in “pani” utilizzati poi negli altoforni, mediante appunto un procedimento di agglomerazione.
L’oneroso e imponente piano di ammodernamento tecnologico messo in atto negli ultimi tempi dall’Ilva può essere spiegato in virtù del fatto che per molti anni nulla si è fatto in assenza di costrizioni legislative. Secondo il recente Rapporto Ambiente e Sicurezza 2010 dell’Ilva, (seconda edizione) negli ultimi tempi sono stati spesi per l’impianto di agglomerazione, per opere di “ambientalizzazione”, 125 milioni di euro. Si legge nel Rapporto che, con l'azione combinata di diverse tecnologie (l’impianto di iniezione di urea, la riduzione del 50% dell’uso di cloro e, in ultimo, il sistema di iniezione controllata di carbone a monte degli elettrofiltri MEEP ed ESP),si potrà raggiungere una riduzione del 90% delle emissioni di diossine (da 9 ng TEQ/Nm3 a 1 ng TEQ/Nm3).
Secondo gli studi di fattibilità pubblicati nel Rapporto dell’Ilva, le prove sperimentali di additivazione di urea, avrebbero fatto scendere i livelli delle emissioni di diossine, già nel 2009, al di sotto della soglia di legge. Una speranza per il futuro. A condizione che, ci spiega il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti, le rilevazioni siano ininterrotte nel tempo (e non discrete) e rilevate da terzi oltre che dal proprio personale specializzato, in modo da evitare sforamenti nelle ore notturne.
Rimane aperto il problema della contaminazione alimentare da diossina, messa in evidenza dagli ultimi abbattimenti delle pecore, dalle carni e dai formaggi, nonché ultimamente dalle cozze pelose e dalle ostriche analizzate privatamente dalla onlus “Fondo Antidiossina” del Prof. Fabio Matacchiera.