Sacchetti, guardando al bando dal punto di vista del riciclo, la parola a COREPLA
I sacchetti di plastica rappresentano attualmente il 9% degli imballaggi immessi sul mercato. A fronte delle 200.000 tonnellate di sacchetti prodotte ogni anno, al processo di riciclo ne arrivano 30-35.000, circa il 15%. Con Gianluca Bertazzoli di COREPLA cerchiamo di capire se e come cambieranno le abitudini degli italiani e l’attività di recupero del Consorzio
13 January, 2011
Nulla di nuovo sul fronte ministeriale: mentre i produttori chiedono risposta alle tante, troppe, lacune del provvedimento, cerchiamo di fare un passo indietro, al di là delle polemiche, per capire il ruolo del sacchetto nel processo di recupero della plastica in Italia, e che cosa cambierà dopo la messa al bando.
Le statistiche fornite da COREPLA, (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica) riportano i seguenti dati: nel corso del 2009 nel nostro Paese sono state immesse al consumo complessivamente 2.092.000 tonnellate di imballaggi, delle quali 701.000 sono state poi effettivamente riciclate, una frazione pari al 33,5% del totale.
Alla categoria imballaggi appartengono diversi oggetti (per lo più con un ciclo di utilizzo breve) di uso quotidiano: bottiglie, flaconi, buste, pellicole, blister, vassoi e, ovviamente, sacchetti “shoppers”, che rappresentano circa il 9% della produzione complessiva annua di imballaggi in plastica.
A fronte delle 200.000 tonnellate di sacchetti in plastica prodotte in un anno, si può stimare che al processo di riciclo ne arrivi circa il 15%, per un totale annuo di circa 30/35.000 tonnellate.
E le tonnellate che mancano all’appello?
Normalmente non vengono disperse nell’ambiente, per fortuna: il sacchetto di plastica è stato utilizzato fino ad ora primariamente per contenere il rifiuto indifferenziato, e dunque termina la sua carriera in discarica o dentro un inceneritore; quando invece viene usato per contenere la plastica da conferire alla raccolta differenziata viene a sua volta riciclato.
Non è facile fare una stima precisa del numero di sacchetti abbandonati nell’ambiente ogni anno, ma basta guardarsi intorno; i danni sono gravi e ormai noti: i sacchetti abbandonati a seguito di comportamenti incivili e inaccettabili provocano sicuramente un notevole inquinamento visivo dell’ambiente, in primis di fiumi, laghi e mari, e spesso finiscono per soffocare animali (uccelli, cetacei) che li ingeriscono scambiandoli per cibo. Il sacchetto è un die hard, questo lo sappiamo. "Ma è anche vero che sacchetti con le gambe non li ha mai avvistati nessuno" commenta Gianluca Bertazzoli, Responsabile Comunicazione di Corepla, che ha accettato di rispondere alle domande di Eco dalle Città.
“Questo è soprattutto un problema di educazione, civica prima ancora che ambientale – dichiara Bertazzoli - Non si conoscono sacchetti che da soli vanno nell’ambiente e ci restano per mille anni. COREPLA non può che restare perplesso di fronte a un provvedimento che può essere definito eufemisticamente atipico per il modo in cui è stato emanato. Proviamo anche a ragionare su questo punto: se vietiamo la commercializzazione di un oggetto perché, se usato male, può provocare danni, non dovremmo applicare la stessa regola per ogni prodotto? Un coltello, un’automobile … Ora, questa è ovviamente una provocazione, ma bisogna riflettere sul principio: comprendiamo l’amarezza dei produttori nel vedere che vengono impiegati strumenti impositivi al posto di quelli educativi. Nessun Paese europeo ha vietato i sacchetti: ci provò la Francia, e infatti la Commissione Europea bocciò la proposta, forse si potevano cercare altre strade. Ovviamente il Consorzio è però concentrato principalmente sulla sua mission primaria, che è quella di assicurare il ritiro e la valorizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi in plastica utilizzati ogni giorno da milioni di cittadini ed imprese, massimizzandone e garantendone l’avvio a riciclo e recupero”.
Fra le altre strade che si potrebbero esplorare c’è anche la tassazione straordinaria?
Non sta al Consorzio stabilirlo. Mi limiterei a ricordare che comunque i sacchetti, almeno nella GDO, fino ad ora sono stati pagati esplicitamente dal cliente, se si esclude la primissima fase della loro diffusione – agli inizi degli anni settanta del secolo scorso, quando, un po’ per la novità un po’ perché messi a disposizione gratis e senza nessun controllo, spesso ne veniva fatta ingiustificata incetta. Da almeno trent’anni, però, acquistarli o meno era una scelta del consumatore, influenzata da considerazioni economiche o di abitudine/comodità oppure dettate dalla sensibilità culturale individuale. Non è un caso che, soprattutto negli ultimi anni, una fetta sempre più consistente di consumatori ha cominciato a riesumare la sporta riutilizzabile o a riutilizzare più volte lo stesso sacchetto. Credo cioè che sia giusto informare, educare e lasciare possibilità di scegliere tra diverse opzioni, senza strumenti impositivi. Il divieto non è mai la soluzione migliore.
E’ vero, ma è altrettanto vero che la quantità di sacchetti di plastica consumati in Italia è spropositata rispetto alle statistiche europee: il 25% della produzione di tutta l’Unione e una media di 400 sacchetti a testa ogni anno.(Dati WWF, NdR)
Io non contesto questo dato, che pure anche solo empiricamente mi sembra un po’ alto, ma è evidente che questo rappresenta una di quelle “specificità nazionali” che, anche in un mondo globalizzato, caratterizzano in taluni aspetti specifici gli stili di vita e di consumo da Paese a Paese. Si pensi ad esempio all’abnorme diffusione dei telefoni cellulari in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il sacchetto di plastica, però, non è un “veleno” o un’“infezione” che, proprio laddove è più diffuso, va combattuto ad ogni costo con gli strumenti più energici. E’ un oggetto di uso comune di per sé neutro, che provoca problemi, lo ripeto, quando è gestito in maniera scriteriata. Se il problema è l’abbandono, non si risolverà se sostituiamo ai sacchetti di plastica quelli biodegradabili o oxodegradabili (NdR: si defiscono oxodegradabili alcuni tipi di plastiche conteneti un additivo che, a determinate condizioni di temperatura e umidità, avvia il processo di degradazione). Ancora una volta, più che di divieti c’è bisogno di informazione ed educazione, e magari di repressione dei comportamenti scorretti.
Insomma, se un animale si strozza con un sacchetto, che sia ecologico non gli importerà un granché, e comunque un sacchetto bio impiega settimane a degradarsi…
Chiaro. Un sacchetto bio disperso nell’ambiente non si degrada con la facilità con cui lo farebbe in un impianto di compostaggio. Oltretutto non è che perché una cosa è “biodegradabile” non va considerata inquinamento: anche i cavolfiori sono biodegradabili, ma mica li butto in Piazza del Duomo! L’abbandono dei rifiuti è un problema serio, che va risolto a livello internazionale. Per esempio, anche se i progetti sono ancora in fase di definizione, possiamo anticipare che Corepla intende partecipare a campagne di prevenzione e attività di recupero dei residui in plastica che le correnti oceaniche trasportano fino a creare i vortici di spazzatura, come la famosa isola del Pacifico. Sono questioni complesse, oggetto di attenti studi, perché non è facile valutare questi agglomerati a geometria variabile, ma il problema esiste, nessuno lo nega, nemmeno l’industria della plastica, anche se, ancora una volta, la prima soluzione è quella ovvia e semplice di non abbandonare i rifiuti in maniera incontrollata.
Come influirà il bando sull’attività di recupero di Corepla? E' possibile che porti a una variazione del Contributo Ambientale?
Escluderei la possibilità di un aumento del contributo nel breve termine, perché il margine di sicurezza è sufficiente. Va piuttosto detto che le circa 30/35.000 tonnellate di sacchetti che il Consorzio ha sinora recuperato annualmente rappresentano non più del 5% della plastica che raccogliamo, dunque inciderà sul dato di raccolta e riciclo ma non in maniera troppo significativa. Certo, sappiamo che non conteremo più su quella quantità di plastica, che dovrà essere compensata da una crescita della raccolta di altre tipologie di imballaggi. D’altro canto i sacchetti non sono mai stati il punto di forza del nostro recupero proprio perché una quota altissima finiva, come detto, con il rifiuto indifferenziato che conteneva, mentre uno svolgimento “da manuale” della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica avrebbe dovuto prevedere che il cittadino usasse il sacchetto per portare gli imballaggi in plastica al contenitore, lo aprisse, lo svuotasse, e poi riportasse con sé a casa per poterlo riutilizzare il sacchetto ancora in buone condizioni.
Piuttosto, stiamo facendo eseguire degli studi per valutare la possibilità di contaminazioni da biopolimero: è probabile che ora molti consumatori penseranno di poter usare il sacchetto biodegradabile per tutte le destinazioni che prima affidavano a quello in plastica. E invece no: un sacchetto bio usato per l’indifferenziata (dunque destinato a smaltimento) può essere sprecato, come ha detto anche Ciafani di Legambiente nell’approfondimento del TG3, ma non fa danni. Se invece lo gettiamo nel contenitore della raccolta plastica è un corpo estraneo: nessun allarmismo, ma bisognerà capire qual è la soglia massima di tolleranza affinché la qualità della raccolta non ne risenta. La destinazione ottimale per il sacchetto bio è quella per il conferimento della raccolta della frazione umida, che però non è presente in tutta Italia.