Coldiretti: “Nessun rischio di monopolio, la norma non impone la bioplastica”
La produzione di bioplastica è appannaggio di poche aziende in tutto il mondo, e da più parti è stata espressa preoccupazione per il rischio di non poter soddisfare le esigenze di un mercato destinato ad aumentare notevolmente la domanda. Facciamo il punto con Stefano Masini, responsabile Ambiente di Coldiretti
24 January, 2011
Ad oggi sono appena una decina in tutto il mondo le aziende in grado di produrre biopolimeri. Se, come è molto probabile, il sacchetto biodegradabile finirà per acquisire sempre più rilievo sul mercato, non si rischia il monopolio? E ancora, sarà davvero possibile sostenere le richieste delle aziende che riconvertiranno la produzione?
L'abbiamo chiesto a Stefano Masini, Responsabile Ambiente di Coldiretti. “La norma ministeriale non prevede l'obbligo di sostituire la plastica con la bioplastica. I sacchetti biodegradabili sono solo una delle possibili scelte messe a disposizione del consumatore, non l'unica alternativa”. Borse di carta, per restare tra gli usa e getta, o sporte riutilizzabili, l'alternativa più ecologica.
“L'utilizzo della bioplastica – continua Masini – è un'esigenza di alcuni settori della filiera, per esempio la raccolta dell'organico. Continuare ad usare sacchetti non biodegradabili per il conferimento dell’umido è un controsenso e uno spreco economico, perché il sacchetto di plastica va aperto ed eliminato per garantire il corretto processo di compostaggio. Ma questo è solo uno degli utilizzi del “vecchio” sacchetto, e non significa che per fare la spesa io sia costretto a scegliere il biodegradabile, le alternative ci sono”.
Nell’intervista del 18 gennaio, lo studioso Guido Viale contestava l’utilizzo di risorse agricole non a scopi alimentari ma per la produzione di merci usa e getta. Un’affermazione in parte condivisa da Masini, che tuttavia esclude la possibilità di un effettivo cambiamento di destinazione delle colture. “No, non siamo certo davanti al rischio di monocolture, almeno non in Italia. Nel resto del mondo non saprei, ma decisamente questo non è un pericolo concreto”.
Se la produzione di bioplastica è limitata ad una decina di aziende in tutto il mondo, lo stesso non vale per gli additivi, nell’occhio del ciclone delle polemiche sul bando. Secondo Masini è importante valutare caso per caso, senza prendere decisioni ideologiche a priori: “L’additivo di per è non è né buono né cattivo. Anche quando compriamo una scatola di gelati ci sono gli additivi, non significa nulla. E’ chiaro però che se la norma ha come obiettivo l’eliminazione dei derivati del petrolio bisogna verificare la composizione standard dei prodotti”.