Bioshopper: si fanno avanti gli oxo
Polimerica.it pubblica una lettera inviata dal rappresentante italiano della Oxo-Biodegradable Plastics Association ai ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, in cui si chiede che alla plastica oxo-biodegradabile, al pari dei biopolimeri, venga riconosciuta "ufficialmente ed esplicitamente" la conformità alla legislazione entrata in vigore il 1° gennaio 2011
25 January, 2011
Da Polimerica.it
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera inviata dal rappresentante italiano della Oxo-Biodegradable Plastics Association ai ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, in cui si chiede che alla plastica oxo-biodegradabile (polimeri convenzionali additivati con un prodotto in grado di accelerare la biodegradazione), al pari dei biopolimeri, venga riconosciuta "ufficialmente ed esplicitamente" la conformità alla legislazione entrata in vigore il 1° gennaio scorso, che mette al bando gli shopper non biodegradabili.
Ricordiamo solo che, come si legge nella stessa lettera (senza dubbio segno di onestà intellettuale), le plastiche oxo-biodegradabili non soddisfano i requisiti di compostabilità richiesti dalla norma UNI EN 13432, che impongono un tempo di biodegradazione di 180 giorni. Sulla polemica tra produttori di oxo-biodegradabili e bioplastiche abbiamo versato fiumi di inchiostro (o, meglio, fiumi di bit), ma il tema torna di attualità proprio in relazione alla messa al bando degli shopper, poichè la legge è molto carente nel definire cosa si debba intendere per "sacchetto per l'asporto di merci non biodegradabile", lasciando aperte molte strade...
Al Ministro, Onorevole Stefania Prestigiacomo,
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Mare e del Territorio.
Al Ministro, Onorevole Paolo Romani,
Ministero dello Sviluppo Economico.
Onorevoli Ministri,
in uno spirito di aperta e fattiva collaborazione, sottoponiamo alla loro attenzione il presente documento, i cui scopi sono di mostrare:
1. che i sacchi in plastica da asporto merci realizzati correttamente con additivi oxo-biodegradabili (d2w di Sympony e TDPA di EPI) sono da considerare, sulla base di solidi riscontri scientifici e normativi, a tutti gli effetti manufatti biodegradabili ed eco-compatibili;
2. che le plastiche oxo-biodegradabili possono venire utilizzate non in contrapposizione, ma parallelamente alle plastiche idro-biodegradabili, denominate anche se impropriamente "bioplastiche", rispetto alle quali offrono caratteristiche diverse ed in larga misura complementari;
3. che le plastiche oxo-biodegradabili contribuiscono a preservare i livelli occupazionali in un settore come quello delle materie plastiche per imballaggio, gravemente colpito dalla crisi ed ancora in grosse difficoltà,
richiedere:
4. che ai sacchi da asporto merci prodotti con plastiche oxo-biodegradabili venga ufficialmente ed esplicitamente riconosciuta la conformità alla legislazione vigente (Legge 296 del 26/12/2006, comma 1130 e succ.).
LA SITUAZIONE. Il 1° gennaio 2011 è entrato in vigore il divieto di commercializzazione dei sacchi da asporto merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili (comma 1130 e succ. della Legge 26 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 23, comma 21-novies del Decreto Legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.102).
Sulla base delle definizioni riportate:
1. nella Direttiva Europea sugli "Imballaggi e i rifiuti di imballaggio", 94/62/CE, allegato II, paragrafo 3, capoverso d;
2. nel Technical Report prCEN/TR 15351 ("Plastics - Guide for vocabulary in the field of degradable and biodegradable polymers and plastic items");
è possibile concludere che sono oggi disponibili sul mercato sostanzialmente due tipi di plastica biodegradabile (Schema 1):
1. la plastica idro-biodegradabile (idrobio), spesso impropriamente denominata "bioplastica";
2. la plastica oxo-biodegradabile (oxobio).
Schema 1
In entrambi i casi (plastica idrobio e oxobio) la degradazione inizia come processo chimico e/o biologico (idrolisi ed ossidazione, rispettivamente) e prosegue, ad opera di agenti biologici (batteri e funghi), sui prodotti di degradazione (frammenti) funzionali, che hanno un peso molecolare significativamente inferiore al materiale di partenza. Il destino ultimo dei frammenti a basso peso molecolare consiste nella conversione ad anidride carbonica (CO2), acqua (H2O) e biomassa cellulare in condizioni aerobiche, mentre in condizioni anaerobiche la produzione di CO2 , di H2O e biomassa cellulare è accompagnata anche da sviluppo di metano (CH4).
LA PLASTICA OXO-BIODEGRADABILE. La plastica oxo-biodegradabile si ottiene attraverso la lavorazione dal fuso (estrusione in bolla o in testa piana, stampaggio ad iniezione o compressione) di materiali polimerici a matrice idrocarburica poliolefinica [polietilene (PE) e polipropilene (PP)], a cui vengono preventivamente aggiunte piccole quantità (1-5% in peso) di additivi, che promuovono in maniera controllata la naturale propensione di tali poli-idrocarburi alla ossidazione in condizioni aerobiche.
La tecnologia legata alla produzione di manufatti plastici oxo-biodegradabili è in costante evoluzione ed i manufatti oxo-biodegradabili consentono sempre migliori prestazioni in termini di caratteristiche strutturali e funzionali e di controllo della vita media di utilizzo.
Numerosi ed autorevoli studi hanno dimostrato che nei manufatti plastici oxo-biodegradabili, dopo una prima fase di degradazione ossidativa, che induce la significativa riduzione del peso molecolare e la loro frantumazione, si ha successivamente la metabolizzazione da parte di micro-organismi (batteri e funghi) dei frammenti ossidati, che risulta nella loro conversione a CO2, H2O e biomassa cellulare [1-15].
La plastica oxobio, sia nella forma di manufatti originali, che sotto forma di frammenti degradati attraverso processi ossidativi, ha ampiamente superato test di eco-tossicità e bio-accumulazione, compresi quelli di germinazione di semi e crescita di piante [16-18].
La plastica oxo-biodegradabile non contiene metalli pesanti (come definiti nella Direttiva Europea 94/62/CE, articolo 11), né alogeni organici (Polychlorinated Biphenyls, PCBs).
La plastica oxo-biodegradabile contiene piccole quantità di metalli di transizione organicati, che possono essere convertiti nei corrispondenti carbonati e ossidi, durante i processi di biodegradazione e incenerimento, rispettivamente. È da rilevare che tali metalli sono normalmente reperibili in concentrazione misurabile nel terreno e rappresentano cofattori essenziali in sistemi enzimatici presenti sia negli organismi animali e vegetali, sia nell’uomo. Evidenze sperimentali sulla assenza di fitotossicità sono state registrate nei mezzi di coltura solidi (terreno) ed acquosi utilizzati nella biodegradazione della plastica oxobio [19].
La plastica oxobio, il compostaggio e gli impieghi agricoli. Premettiamo che la tecnica del compostaggio non è stata realizzata per lo smaltimento dei rifiuti plastici: al compostaggio devono essere conferiti principalmente rifiuti di origine biologica, per i quali la plastica può avere al massimo una funzione di contenimento La plastica oxobio ad oggi non soddisfa completamente i criteri di compostabilità (biodegradazione in condizione di compostaggio) dettati dalla normativa UNI-EN 13432-2002, " Imballaggi - Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi".
Tuttavia, anche ammettendo che la plastica oxobio non possa ancora venire ritenuta compostabile (il che non è necessariamente una conseguenza della non completa conformità alla UNI EN 13432-2002), è necessario sottolineare che:
1. biodegradabilità e compostabilità non sono la stessa cosa (prCEN/TR 15351);
2. esistono varie normative approvate o in fase di definizione che consentono la determinazione della degradabilità e biodegradabilità di materiali polimerici e relativi manufatti plastici in condizioni che non contemplano il compostaggio e che vengono ampiamente superate dai manufatti oxobio [20-27].
3. il processo di biodegradazione della plastica oxobio è molto più simile ai processi degradativi dei rifiuti naturali: bucce di banane e foglie secche, se testate secondo la UNI EN 13432-2002, non risulterebbero compostabili! Chiaramente la UNI EN 13432-2002 non è pensata per questo tipo di rifiuti, tuttavia questa semplice indicazione suggerisce come le richieste della UNI EN 13432-2002 forse meritino di essere riconsiderate.
È, altresì, da notare che la plastica idrobio, quando sottoposta al ciclo di compostaggio si converte rapidamente in CO2 ed H2O, secondo un processo assimilabile ad una combustione (bio-incenerimento), non contribuendo affatto al riciclo organico (organic recovery).
I manufatti plastici oxobio possono trovare un valido impiego in campo agricolo, grazie al fatto che quando il processo di biodegradazione avviene nel terreno, con modalità e tempistiche analoghe a quelle dei materiali naturali lignino-cellulosici, contribuisce all’arricchimento di sostanza organica umificata (processo di fissaggio del carbonio organico presente nella plastica) [10].
In particolare la pacciamatura di coltivazioni agricole con film plastici a base di poli-idrocarburi oxobio permette di ovviare a problemi e costi relativi alla raccolta ed allo smaltimento: la loro permanenza in situ a fine vita, infatti, permette di arricchire, con indiscutibili vantaggi, il suolo di carbonio organico umificato.
La plastica oxobio e la gestione dei rifiuti solidi urbani.
• La plastica oxobio e la discarica. La risorsa più preziosa in una discarica è lo spazio. I sacchi in plastica convenzionale occupano uno spazio superiore al loro volume perché intrappolano l'aria ed inoltre possono ostacolare la degradazione del loro contenuto. I sacchi realizzati con la plastica oxobio, invece, sono suscettibili a degradarsi negli strati superiori della discarica dove è presente ossigeno, contribuendo al compattamento degli altri rifiuti, mentre diventano completamente inerti negli strati profondi, senza dare pertanto luogo a percolato.
Un altro fattore da tenere in considerazione è che la plastica oxobio ha una densità inferiore a quella della carta ed anche della plastica idrobio. Poiché le municipalità di norma pagano per conferire i rifiuti in discarica in base al peso del rifiuto stesso, si ha un risparmio a collocare i rifiuti in sacchi di plastica oxobio piuttosto che in contenitori idrobio. Questo senza contare i costi di trasporto legati alla movimentazione dei rifiuti, anch'essi chiaramente dipendenti dal peso, ed i benefici ambientali derivanti da minori emissioni, a parità di volume di rifiuti trasportati.
• La plastica oxobio ed il recupero energetico. Il potere calorifico della plastica oxobio è identico a quello della plastica convenzionale, perciò estremamente elevato (combustibile solido), molto superiore a quello della plastica idrobio e comparabile a quello di un combustibile fossile.
Ne consegue che i manufatti plastici oxobio a fine vita, quando avviati alla combustione in termovalorizzatori, sono più efficienti dal punto di vista del recupero energetico rispetto ai manufatti idrobio ed, inoltre, non disperdono nell’ambiente gas e componenti tossiche [28-30].
• La plastica oxobio ed il riciclo. L'aspetto più interessante della plastica oxobio è che può essere riciclata esattamente come la plastica convenzionale, che in ogni caso necessita di un processo di rigradazione nella fase di riciclo. Non crea problemi nella raccolta differenziata e può essere facilmente separata grazie ai convenzionali metodi fisici e fisico-chimici. Non solo: la plastica riciclata può essere resa biodegradabile mediante additivi oxobio, in modo del tutto analogo alla plastica convenzionale. È pertanto possibile realizzare SACCHI IN PLASTICA RICICLATA E BIODEGRADABILE, i cui cospicui vantaggi in termini di eco-compatibilità e di risparmio delle risorse risultano immediatamente evidenti. Il riciclo della plastica idrobio, o più in generale delle cosiddette "bioplastiche", è perlomeno molto più complesso. Peraltro l'introduzione della plastica idrobio nel flusso dei rifiuti in plastica destinati al riciclaggio, assai probabile ora che le cosiddette "bioplastiche" stanno guadagnando importanti quote di mercato, rappresenta un problema, a causa della netta incompatibilità delle due tipologie di prodotti.
• La plastica oxobio e i rifiuti incautamente abbandonati nell’ambiente. Fermo restando il fatto che L'ABBANDONO NON È UN'OPZIONE ACCETTABILE, anche supponendo che i sacchetti oxobio vengano abbandonati, essi verranno biodegradati senza dare origine a sostanze tossiche in tempi relativamente brevi (da 1 a 3 anni a seconda delle condizioni, contro gli oltre 400 anni stimati per la plastica convenzionale). La plastica oxobio si degrada e biodegrada anche in mezzi acquosi, sia che si trovi in superficie, che immersa nel mezzo liquido. La plastica oxobio, dunque, non rappresenta un invito all'abbandono dei rifiuti, ma quando questo malauguratamente accade, ha un impatto significativamente mitigato rispetto alle alternative non contenenti additivi oxo-biodegradabili.
La plastica oxobio e l'esaurimento delle risorse fossili (petrolio, gas naturale e carbone). La plastica non e' responsabile dell'esaurimento dei giacimenti fossili, ed ha un impatto estremamente limitato sull’effetto serra, in quanto solo il 4-5% del consumo dei combustibili fossili è utilizzato per produrre materiali polimerici. Occorre inoltre sottolineare che la plastica convenzionale è ottenuta principalmente a partire dalla nafta, che è un sottoprodotto della raffinazione petrolifera. Questo sottoprodotto è disponibile in grandi quantità, perché il consumo di carburanti e lubrificanti fossili è elevatissimo. Sino a che carburanti alternativi non avranno soppiantato quelli fossili, ammesso che ciò avvenga, non ha alcun senso bruciare la nafta convertendola in anidride carbonica ed acqua, quando, almeno in parte, può essere trasformata in plastica per applicazioni tecniche e durevoli.
Pertanto il problema dell'esaurimento dei giacimenti fossili è un problema energetico e riguarda solo in maniera marginalissima la produzione della plastica, che semmai costituisce un impiego nobile di sottoprodotti fossili altrimenti non utilizzabili.
Al contrario, spesso i prodotti in plastica contribuiscono al risparmio energetico e alla tutela dell’ambiente. Basta osservare i risultati ottenuti nell’imballaggio, dove l’applicazione di nuovi materiali e tecnologie di trasformazione ha consentito, a parità di prestazioni, di ridurre sensibilmente la quantità di materia prima utilizzata. Questo senza parlare della possibilità di conservare le derrate alimentari per periodi prolungati, mantenendo le caratteristiche organolettiche e garantendo standard igienici elevatissimi.
E ancora, l'introduzione della plastica nel settore dell’autotrasporto ed aeronautico, con la conseguente significativa riduzione del peso degli autoveicoli ed aereomobili, ha permesso una sensibile diminuzione dei consumi di carburanti. Inoltre il diffuso utilizzo di pannelli in plastica per l'isolamento termico nell'edilizia ha consentito un notevole risparmio dei consumi per il riscaldamento.
Peraltro non è esatto affermare che la plastica idrobio e più in generale le cosiddette "bioplastiche" non facciano uso di risorse fossili.
Al fine di ottenere le componenti di base da fonti rinnovabili delle cosidette "bioplastiche", è necessario coltivare vaste estensioni di terreno utilizzando macchinari agricoli, che consumano carburante fossile, e spargendo fertilizzanti e diserbanti di provenienza in gran parte fossile, la cui eco-compatibilità è molto spesso incerta.
I processi chimici e di trasformazione, poi, che portano dalle risorse vegetali alla cosiddetta "bioplastica", fanno uso di energia, anch'essa in larga misura di origine fossile.
Infine, la plastica idrobio, indicata impropriamente come "bioplastica", realizzata generalmente a partire elevate quantità di componenti amidacei o derivati, può contenere anche percentuali significative di materiali polimerici di derivazione petrolchimica, introdotti al fine di impartirle accettabili caratteristiche di resistenza fisico-meccanica, che comunque rimangono ancora al di sotto di quelle dei manufatti plastici oxobio.
Infine, il fatto che la cosidetta "bioplastica" provenga in larga misura da risorse rinnovabili non rende di per sé la plastica idrobio una risorsa infinitamente disponibile. Al contrario essa è limitata anche da ragioni umanitarie (l’uso di materie prime pregiate, sottratte alla catena alimentare), oltre che dalla disponibilità di terreni coltivabili.
Mentre si prevedono massicci incrementi della domanda di cibo, soprattutto per il miglioramento delle condizioni economiche di tutta la popolazione asiatica e, oggi, anche di gran parte di quella africana, un aumento futuro delle produzioni agricole che soddisfi alle mere necessità è incerto.
La "crisi della tortilla" del 2007 in Messico, quando il prezzo del mais, cereale base per l'alimentazione locale, è raddoppiato a causa del suo utilizzo per la produzione di etanolo per i "biocarburanti", risulta un chiaro indice di come un eventuale produzione massiccia dei cosiddetti "biomateriali" potrebbe avere gravi ripercussioni negative sul prezzo e sulla disponibilità di risorse per l'alimentazione umana ed animale.
Queste affermazioni trovano conferma anche in studi effettuati seguendo la metodologia LCA (Life Cycle Assesment), come quello realizzato nel giugno 2009 dall'Institut für Energie und Umweltforschung (IFEU) di Heidelberg, da cui emerge che l'impatto ambientale complessivo delle cosiddette "bioplastiche" non è così irrilevante come comunemente si ritiene e potrebbe essere superiore addirittura a quello della plastica convenzionale.
La plastica oxobio e gli aspetti tecnologici, economici e sociali. L'additivo oxobio può venire introdotto nella plastica mediante le tecnologie convenzionali, senza bisogno di acquistare nuovi macchinari o modificare quelli esistenti. Le caratteristiche della plastica così ottenuta sono le medesime della plastica convenzionale, compresa la compatibilità alimentare. In particolare è possibile realizzare sacchetti per asporto merci estremamente leggeri e molto più resistenti di quelli che si ottengono con la plastica idrobio.
La conversione dalla plastica convenzionale a quella oxobio non ha, pertanto, nessun tipo di conseguenza sull'assetto produttivo del paese, né un impatto negativo sui livelli occupazionali, che in Italia sono stimabili tra le 4.500-5.000 unità di personale, nel solo settore del cosiddetto "shopper".
Tale livello occupazionale verrebbe, invece, gravemente compromesso nel caso di una repentina e forzosa conversione alle cosiddette "bioplastiche" (ammesso che queste siano veramente disponibili in quantità sufficienti), in quanto le aziende coinvolte sono in larga parte piccole e già gravate dalla prolungata crisi economica e con enormi difficoltà nel ricorso al credito. Pertanto si trovano nell'oggettiva impossibilità di effettuare investimenti in nuove e/o tecnologie e rischiano la chiusura.
Al contrario la plastica oxobio preserva questo settore merceologico ed, in generale, tutta la filiera della plastica, che, nonostante una ingiustificata, ma enfatica demonizzazione, è tecnologicamente avanzata e particolarmente sviluppata in Italia: essa parte dall'industria chimica della polimerizzazione ed arriva, attraverso l'industria di trasformazione e la distribuzione, sino al riciclaggio dei rifiuti, contribuendo allo sviluppo sia economico, che tecnologico della nazione.
Forse non è superfluo ricordare che l'unico premio Nobel per la Chimica vinto in Italia è quello di Natta, per la polimerizzazione stereospecifica del polipropilene, che ha consentito il grande sviluppo dell'industria delle materie plastiche nel nostro paese. Nella tradizione di Natta, la ricerca italiana, sia universitaria, che industriale nel settore dei materiali polimerici è ancora oggi ai massimi livelli mondiali e rappresenta una risorsa sia culturale, che di valenza tecnologica di primaria importanza.
CONCLUSIONI
Alla luce di tutto quanto sin qui esposto e al fine di evitare il permanere di una situazione di incertezza che può avere gravi conseguenze di carattere economico e sociale, riteniamo che esistano abbondanti e convincenti riscontri di natura tecnico-scientifica per concludere che sia corretto ed auspicabile che alla plastica oxo-biodegradabile, al pari della plastica idro-biodegradabile, venga riconosciuta ufficialmente ed esplicitamente la conformità alla legislazione vigente (296 del 26/12/2006, comma 1130 e succ.).
In fede,
Prof. Emo Chiellini - Università degli Studi di Pisa, Direttore Laboratorio Materiali Polimerici Bioattivi per Applicazioni Biomediche e Ambientali BIOlab (S. Piero a Grado - Pisa).
Dr. Andrea Corti - Responsabile Laboratorio Biodegradazione c/o BIOlab (S. Piero a Grado - Pisa).
Dr. Claudio Maestrini - Kromabatch S.r.l. (Legnano - Milano) – Presidente C.d.A. Oxo-Biodegradable Plastics Association - Rappresentante ufficiale per l'Italia. Distributore esclusivo per l'Italia d2w SYMPHONY.
Luca Landini - Ecopol S.r.l. (Montecatini Terme - Pistoia) – Direttore Generale. Distributore esclusivo per l'Italia TDPA EPI.
Fonte: Polimerica.it