Impianti industriali senza autorizzazioni: la Corte di Giustizia Europea condanna l’Italia
Molti siti industriali, tra cui l’Ilva di Taranto, sono ancora senza l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Perciò l’Italia, già sotto procedura di infrazione, è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per aver violato la direttiva sulle emissioni inquinanti dagli impianti industriali. Legambiente: "Condanna ineccepibile"
01 April, 2011
Ancora molti siti industriali italiani, tra cui L’ILVA di Taranto, sono privi delle Autorizzazioni Integrate Ambientali (AIA), cioè di quei provvedimenti che autorizzano l'esercizio di impianti industriali, garantendo la conformità ai requisiti di legge. Il rilascio delle autorizzazioni “integrate”, che sostituiscono le semplici Autorizzazioni Ambientali, è fondato sul rispetto da parte degli impianti delle Migliori Tecniche Disponibili (MTD o BAT - Best Available Techniques) per mantenere, ai minimi termini, l'impatto sull'ecosistema. L’Italia, già sotto procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea, è stata condannata giovedì 31 marzo dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del Lussemburgo, al pagamento delle spese di giudizio e per la violazione della direttiva sulle emissioni inquinanti dagli impianti industriali (Direttiva IPPC, 2008/1/CE).
Secondo la Commissione Europea, gli Stati membri avrebbero dovuto rilasciare le AIA entro il 30 ottobre 2007. C'è da aggiungere che l'esecutivo europeo, già tra marzo 2005 e febbraio 2007, aveva attirato l’attenzione degli Stati sulla necessità di rispettare la scadenza del termine e li aveva invitati a fornire informazioni sul numero totale di impianti esistenti e, a enumerare le nuove autorizzazioni. In particolare, l’Italia avrebbe dovuto fornire un censimento aggiornato e attendibile di tutti gli impianti coinvolti (industrie ad attività industriale, tra cui le energetiche, quelle della trasformazione dei metalli, dei prodotti minerali, le industrie chimiche, le industrie che operano nella gestione dei rifiuti, tra cui i biostabilizzatori e gli inceneritori e i termovalorizzatori).
Eppure nonostante gli avvisi, lo Stato italiano, in tutti questi anni ha prodotto pochi risultati. In forte ritardo, in primis, ha prorogato al 31 marzo 2008 (con il decreto legge n. 180/2007) il termine per l’adeguamento degli impianti esistenti alle disposizioni della direttiva Ippc, in secondo luogo, su pressioni della Commissione Europea ha trasmesso i dati disponibili in vari momenti successivi (risultava che al 30 ottobre 2009, su 5.669 impianti esistenti in esercizio, 1.204 impianti avevano in corso procedure di rilascio di autorizzazioni integrate ambientali). Ad aggravare irreversibilmente la situazione italiana, inoltre, è stata una nota del Ministero dell'Ambiente del 14 aprile 2009, secondo la quale le autorità competenti non erano in possesso di tutte le informazioni relative al numero di impianti presenti sul territorio nazionale e alle loro attività. Da qui, dunque la condanna della Corte.
La sentenza (causa C-50/10) ci dice che “l'Italia non avrebbe fornito alcuna informazione dettagliata per dimostrare l’equivalenza tra le autorizzazioni ambientali preesistenti e le autorizzazioni integrate ambientali ai sensi della direttiva IPPC”. Illegittima e senza fondamento, per di più, la giustificazione del ritardo, dovuto secondo lo Stato Italiano, alla lentezza delle autorità competenti (le Regioni). Ma per i grossi impianti industriali, tra cui l’Ilva di Taranto, la competenza per il rilascio dell’AIA è del Ministero dell'Ambiente. Per questo motivo, si legge nella sentenza “L'Italia, "non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma della direttiva Ippc, ovvero mediate il riesame aggiornato delle prescrizioni, che gli impianti esistenti funzionino secondo i requisiti imposti dall'Ue, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva”.
Dello stesso avviso sono Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, Francesco Tarantini, Presidente di Legambiente Puglia e Lunetta Franco, Presidente del circolo di Taranto: "La condanna europea nei confronti dell'Italia – hanno commentato accesamente - è ineccepibile. In Italia, infatti, ci sono tuttora grandi impianti industriali che continuano ad emettere inquinanti in aria, acqua e suolo e ad operare al di fuori delle regole decise a livello comunitario”.
Uno dei più grandi complessi industriali d'Europa, Ilva di Taranto, risulta privo di autorizzazione, noto per le sue elevate emissioni di diossina e per quelle di benzo(a)pirene. “Ma invece di intervenire per abbassare le emissioni, il Governo - ha continuato Legambiente - con il recente Dlgs 155/2010, ha prorogato l'entrata in vigore del valore limite al 2012. Ci auguriamo pertanto che dopo questa condanna, la Commissione AIA e il Ministero dell'Ambiente concludano al più presto le procedure di autorizzazione, evitando scorciatoie pericolose, che al danno farebbero seguire una imperdonabile beffa”.
“I ritardi si registrano anche nei registri Ines (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register) - ha concluso Legambiente - previsti sempre dalla Direttiva Ippc per il censimento delle emissioni inquinanti provenienti dagli impianti industriali. Anche in quest’ambito l’Italia è in forte ritardo: la sua validazione dei dati è ferma al 2006 e ancora non ha aggiornato il registro nazionale con i dati del 2007 e 2008”.