Olimpiadi, intervista a Giuseppe Gamba sui casi di Roma e Torino
L'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Torino fa un'analisi dei Giochi 2006 e spiega: «Le prime linee guida per la sostenibilità delle Olimpiadi vennero elaborate proprio dal Comitato olimpico torinese, in collaborazione con Cio e Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente). Si poteva fare di più, ma fu un primo passo»
16 February, 2012
Giuseppe Gamba, oggi presidente di AzzeroCo2, era assessore provinciale all’Ambiente nel 2006, quando si svolsero le Olimpiadi invernali di Torino. Con lui abbiamo analizzato il caso torinese, confrontandolo con l’ipotesi, ormai naufragata, della candidatura di Roma ai Giochi del 2020.
Alla luce della sua esperienza, quali erano le criticità della candidatura di Roma?
«Sulla scelta del governo hanno pesato l’incapacità gestionale della giunta capitolina, che in questi anni non si è dimostrata in grado di gestire partite complesse, e le difficoltà economiche che stiamo vivendo. Nessun governo con un cervello, mentre chiede sacrifici ai cittadini, avrebbe potuto mettere un’ipoteca così grande sui conti pubblici».
Se la candidatura in questione fosse stata quella di Torino, pensa che il governo Monti avrebbe dato l'ok?
«No, assolutamente, proprio per ragioni economiche. Non credo che il governo abbia rifiutato a Roma la copertura finanziaria per ragioni legate alla sostenibilità ambientale o sociale, ma piuttosto perché sarebbe stato un segnale inconcepibile in un momento di sacrifici come questo».
Per quanto riguarda i Giochi torinesi, quale fu l’impatto ambientale di quell’evento?
«Rispetto a quelle che avrebbero potuto essere le Olimpiadi a Roma, i Giochi a Torino furono più ridotti per dimensioni, anche se comportarono impatti abbastanza pesanti in zone fragili come le montagne. Sul tema dell’impatto ambientale, vorrei sottolineare tre aspetti: per prima cosa, si fece un passo avanti nella gestione complessiva, anche se si poteva fare di più e meglio dal punto di vista delle tecnologie e delle modalità gestionali. Bisogna dire poi che dovemmo realizzare certe opere molto impattanti, ma inevitabili. Penso al trampolino per il salto e la pista da bob. Noi proponemmo al Cio di riqualificare quelli di Albertville, che si trova a poche ore di pullman da Torino, ma loro rifiutarono, perché è prevista la costruzione di tutti gli impianti ex novo. Infine, vorrei sottolineare che sempre, intorno alla vicenda olimpica, si crea una spinta a costruire opere che poi non sempre sono necessarie. Nel caso di Torino riuscimmo a tenere abbastanza a bada quella spinta, anche se non del tutto».
Il trasporto pubblico è un tema di primo piano quando si parla dell’organizzazione di un grande evento come questo. Come organizzaste la mobilità a Torino?
«Predisponemmo navette, fornite da Fiat, e treni di collegamento con le valli olimpiche ogni 30 minuti, in collaborazione con Ferrovie dello stato. La rete dei trasporti funzionò, non ci furono mai problemi di congestione, neanche quando nevicò. L’unica pecca fu che non adottammo veicoli ibridi o elettrici. Noi lo facemmo presente, ma Fiat non aveva mezzi del genere nel proprio catalogo. Nel caso delle Olimpiadi invernali, comunque, non c’è un pubblico molto numeroso che va ad assistere fisicamente alle gare, quindi anche il problema della mobilità è di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quello che si sarebbe potuto presentare a Roma».
Il Cio prevede degli standard di impatto ambientale per le città che organizzano i Giochi?
«Le prime linee guida vennero elaborate proprio dal Comitato olimpico torinese, in collaborazione con Cio e Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente). I Giochi di Torino furono anche un campo di prova per quegli standard. Ripeto, si poteva fare di più, ma fu un primo passo. Edizione dopo edizione, il Cio implementa queste linee guida per la sostenibilità ambientale degli eventi sportivi».
Per quanto riguarda invece la gestione post-evento delle strutture, come vanno le cose?
«Su questo, ho sentito spesso dare giudizi molto affrettati. Solo due impianti vengono usati poco: quello del salto e la pista del bob, a dimostrazione che non ha avuto senso costruirli. Le altre strutture sono tutte molto utilizzate».
E le ricadute sul territorio quali sono state?«Anche qui bisogna fare delle differenze: per la città di Torino si è trattato di un’occasione straordinaria di rilancio della città dopo la crisi industriale. Nelle valli olimpiche, invece, il sistema locale pubblico e privato non è stato capace di un rilancio sostenibile dell’economia: le cose continuano ad andare bene dove già andavano bene, mentre nelle altre zone non è cambiato niente».