Tasse ambientali: le proposte di Legambiente per ricavare 5 miliardi di gettito fiscale
L'associazione lancia una serie di proposte in materia di tassazione ambientale, in riferimento al disegno di legge che prevede l'introduzione di una carbon tax sui carburanti. Con misure in materia di mobilità, rifiuti, acqua e risorse naturali, si potrebbe ottenere un gettito fiscale di 5 miliardi di ero
23 March, 2012
Oltre 5 miliardi di euro è la cifra che potrebbe essere recuperata incentivando la sostenibilità ambientale e disincentivando le pratiche più inquinanti. In relazione alle nuove forme di tassazione ambientale previste nel disegno di legge delega per la riforma fiscale in discussione oggi al Consiglio dei Ministri, Legambiente lancia le proprie proposte per uno sviluppo economico forte e duraturo perché rispettoso dell’ambiente e della sostenibilità.
Attraverso l’introduzione di strumenti patrimoniali e tariffari, la conversione ecologica porterebbe molti vantaggi non solo sul piano economico ma anche su quello ambientale. E’ il caso della mobilità privata che potrebbe essere, in parte, disincentivata con una patrimoniale sulle auto di grande cilindrata prevedendo due interventi: un’imposta (una tantum) sulle auto di grossa cilindrata e una revisione del meccanismo di calcolo del bollo auto. Legambiente parte da due dati: nel solo 2010, un anno di crisi, sono state immatricolate 119mila autovetture di cilindrata superiore ai 2.000 cc (e di costo non inferiore ai 40mila euro). Il parco auto immatricolato tra il 2006 e il 2010 è composto da 11,4 milioni di autoveicoli, dei quali l’8% di cilindrata superiore a 2000 cc. Con un’imposta (una tantum) sulle auto di grossa cilindrata immatricolate nel periodo 2006-2012, si potrebbero ricavare subito 1.992 milioni di euro. Il meccanismo prevede l’introduzione di un’addizionale progressiva (da 0,75€/cc a 3€/cc) in funzione della cilindrata escludendo i veicoli a trazione elettrica, a gpl e a metano e quelli speciali per disabili.
Altra misura da adottare sarebbe poi una revisione del criterio di pagamento del bollo auto. Attualmente, infatti, questa è una tassa di possesso che si paga indipendentemente dall’utilizzo del mezzo. Legambiente propone di calcolarla in funzione delle emissioni di CO2, (incrociando potenza e uso del mezzo), aumentando contestualmente il costo del carburante di 16 eurocent al litro per mantenere inalterato il gettito del bollo e aggiungendo una carbon tax progressiva per auto che emettono oltre 100 gCO2. In questo modo a pagare di più sarebbero gli automobilisti che effettuano più chilometri, possiedono vetture che consumano più carburante e emettono più CO2, senza penalizzare le fasce sociali più deboli. La proposta di revisione può portare nelle casse dello Stato non meno di 500 milioni di euro ogni anno, oltre che incentivare l’acquisto di auto meno inquinanti e il minore uso dell’auto privata.
“Servono coraggio e lungimiranza per mettere in condizione il Paese di rispondere alla crisi economica – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Su questa strada la green economy rappresenta già oggi una prospettiva concreta che non riguarda solo l’energia, ma molti settori produttivi, dalla chimica all’agricoltura, dall’edilizia alla mobilità, dalla ricerca alla cultura. Un supporto decisivo è rappresentato dalle politiche fiscali. Qui la scelta strategica deve essere netta: occorre spostare il prelievo da lavoro e imprese al consumo di risorse ambientali e alle emissioni climalteranti. La carbon tax è una scelta da fare subito, per dare un chiaro segnale che questo Paese vuole cogliere l’opportunità offerta dalla crisi economica di creare posti di lavoro e filiere industriali a basse emissioni di CO2 e capaci di sostenere la competizione internazionale”.
Vantaggi economici e ambientali potrebbero venire anche dalla modifica del sistema con cui si prelevano e si pagano allo Stato le risorse naturali. Per i materiali edili estratti dalle cave e per i prelievi idrici di acque minerali, infatti, allo Stato vengono pagate cifre irrisorie mentre chi cava per fare calcestruzzo e cemento o chi imbottiglia le acque fa enormi guadagni. Basti pensare che oggi gli 89.233.573 di m3di sabbia e ghiaia estratte in Italia, portano annualmente nelle casse delle Regioni la cifra di € 36.149.550 (poco più di 40 eurocent a m3) mentre introducendo (come in Gran Bretagna, per esempio), canoni di concessione al 20% dei prezzi di vendita dei materiali cavati, pari a 3 euro a metro cubo, nelle casse delle Regioni entrerebbero € 267.695.719, ben 231.546.169 € in più.
Analogo discorso vale per le acque minerali: il giro d’affari delle aziende che imbottigliano acqua minerale nel 2009 ha toccato 2,3 miliardi per un totale di 12.500.000 metri cubi imbottigliati. La cifra che le Regioni incassano dai canoni di concessioni è di circa 10 milioni di euro. Con un canone di 10 euro a m3 imbottigliato per tutto il territorio nazionale si ricaverebbero invece 125 milioni di euro, ben 115 milioni di euro in più da destinare alle Regioni e da reinvestire nell’ammodernamento impiantistico del servizio idrico integrato.
Tra gli strumenti tariffari da introdurre, Legambiente ne suggerisce anche uno inizialmente previsto nel Dl Ambiente ma successivamente eliminato, per disincentivare il conferimento dei rifiuti in discarica. In Italia, infatti, nel 2009 si è smaltito in discarica ancora il 40% dei rifiuti urbani prodotti ed è stato avviato a raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio il 33% del totale prodotto, con forti disparità territoriali. Fissando una nuova ecotassa di 50 euro per tonnellata di rifiuti smaltiti in discarica, agli attuali tassi di smaltimento (oltre 15 milioni di tonnellate di rifiuti urbani smaltiti in discarica), nelle casse delle Regioni finirebbero complessivamente circa 750 milioni di euro che potrebbero essere reinvestiti in politiche di prevenzione e riciclaggio, a fronte degli attuali 40 milioni.
Infine altra operazione di ‘imposizione fiscale’ da realizzare secondo Legambiente sarebbe la riunificazione della tassazione sulle rendite finanziarie al 23% (soglia allineata con i grandi paesi europei e che non presenta rischi di fughe di capitali) che porterebbe, ogni anno, 2 miliardi in più nelle casse dello Stato.