Milano, Macao e i grattacieli vuoti. Parola a Paolo Pileri
Il nostro dibattito sugli spazi vuoti a Milano, rilanciato dall'occupazione, ormai tre settimane fa, della Torre Galfa di proprietà del gruppo Ligresti, si arricchisce con la voce di Paolo Pileri, responsabile dell'Osservatorio Consumo di Suolo: "Da Macao devono imparare tutti" dice "anzitutto a conoscere come sono usati gli spazi della propria città"
21 May, 2012
Proseguiamo nel nostro dibattito sulle volumetrie inutilizzate a Milano sollevato dall'occupazione da parte dei lavoratori dell'arte di Macao della Torre Galfa, un grattacielo di 31 piano vuoto da 15 anni vicino alla Stazione Centrale.
Il contributo odierno è di Paolo Pileri docente di pianificazione territoriale ed ambientale al Politecnico di Milano, a capo dell'Osservatorio sul consumo di suolo.
Professor Pileri, la vicenda Macao ha fatto esplodere mediaticamente la questione degli spazi vuoti in città. Siamo in grado di dire, quante “torri Galfa” ci sono a Milano?
No, non siamo in grado. E il problema è proprio qua. Nessuna istituzione censisce l'utilizzo effettivo degli immobili esistenti. Pertanto non siamo in grado di sapere quanti appartamenti inutilizzati esistono, quanti edifici, box, capannoni, quante aree e così via.
Per il vostro lavoro, ma anche per quello delle istituzioni deve essere un limite non di poco conto.
Assolutamente sì. Primo, si potrebbe rispondere a una parte della domanda di alloggio e di volume che realmente esiste. Secondo, si potrebbe evitare di consumare suolo per fare realizzare volumetrie inutili di cui, impropriamente, si è sostenuto la necessità. C'è un terzo punto: si eviterebbero spese pubbliche per realizzare e manutenere nuove reti e nuove strade per collegare le realizzazioni. Un esborso non da poco, che spesso può essere evitato.
Censire le volumetrie esistenti e il loro stato di conservazione e utilizzo è un atto civico necessario. E' quanto sostiene, ad esempio, la recente campagna Salviamo il paesaggio.
Quando un edificio può essere recuperato e quando invece non ne vale più la pena ed è meglio demolire?
Tutti gli edifici che non sono staticamente compromessi in modo grave sono recuperabili. Certo, è costoso. E spesso non è detto che il proprietario abbia intenzione di accollarsi i costi di recupero, soprattutto se con quei soldi ha la possibilità di investire in altre opere più speculative.
Ma la questione, in ogni caso, non è il “quanto costa”. Realizzare un nuovo edificio, anche se più costoso, permette di recuperare l'esistente e di non consumare una risorsa preziosa come il suolo, di evitare di danneggiare il paesaggio e di generare nuovo traffico urbano.
Prendiamo la torre Galfa. Si trova nel bel mezzo dell'area più accessibile di Milano e il suo recupero potrebbe essere realizzato senza aumentare di un solo veicolo il traffico cittadino: chi la frequenta potrebbe usare comodamente i mezzi pubblici.
Ci aiuta a capire perchè si continua a costruire a Milano? Con quale guadagno, se poi i palazzi rimangono sfitti?
Già da sé la domanda mette in evidenza le enormi contraddizioni che vivono le politiche urbanistiche attuali. L'operatore privato è mosso dal realizzare il massimo profitto che, sappiamo, arriva più abbondante grazie alle nuove costruzioni.
Il soggetto pubblico invece, è mosso da una serie di motivazioni. Un po' è colpevole inconsapevolezza, un po' è colpevole abitudine e un po' è prossimità di interessi tra politica e affari edilizi. Un altro po', infine, è un conflitto di interessi aperto: i comuni per le nuove opere incassano oneri di urbanizzazione molto superiori ai casi di recupero dove, spesso, per incentivare tendono anche a scontare ai privati i crediti dovuti.
Dopodiché non dobbiamo dimenticare che gli enti pubblici sono composti da uomini, con le loro debolezze. Ho visto comuni, province e regioni dove gli amministratori hanno fatto di tutto, aprendo mutui, per realizzare nuove, mastodontiche e inutili sedi. L'unico scopo era di glorificare se stessi e non il bene della comunità amministrata. Noi dobbiamo vigilare su tutto ciò e ridisegnare nuove regole e nuove leggi.
Il Comune di Milano sta pensando a un provvedimento per impedire a chi ha cubature inutilizzate e lasciate degradare di ricevere nuove concessioni edilizie. E' fattibile? Come lo valuta?
Non so se sia fattibile, bisognerebbe chiederlo a un giurista. Sono però convinto che ci si debba muovere nella direzione di penalizzare chi ha volumetrie che lascia inutilizzate. Le leve possono essere diverse, ma quelle fiscali sono sicuramente le più facili da utilizzare. In ogni caso non si può decidere nulla, se non si conosce il fenomeno. E torniamo quindi alla prima domanda e alla necessità di un censimento degli spazi.
Il caso di Macao ha messo in evidenza il problema delle volumetrie abbandonate e non censite da nessuno. E' una questione con cui i comuni devono confrontarsi con intelligenza e rapidità.
Lei invita le amministrazioni a fare propria la tematica sollevata da Macao, quindi?
Macao può finire, anzi finirà. Ma il problema sollevato rimane. L'amministrazione milanese ne prenda atto e avvii il censimento subito e bene. Ci sono modi intelligenti, veloci e a costo molto contenuto per rilevare se gli immobili sono utilizzati o meno. Con il Comune di Milano, una decina di anni fa, avevamo fatto sperimentazioni sul comparto residenziale pubblico con risultati soddisfacenti. Oggi ci sono applicazioni, c'è il gps e ci sono le rilevazioni con immagini. Insomma, se si vuole, si fa.
Da Macao devono imparare tutti. Tutti i comuni devono avere chiaro come il patrimonio edilizio esistente è usato. Io vieterei qualsiasi variante urbanistica e qualsiasi nuovo piano senza un preventivo censimento delle volumetrie non utilizzate. Non ha proprio senso rovinare suolo e paesaggio quando abbiamo tutto quello che ci serve già bello e pronto.