Storie di giornalismo ambientale a Ecomondo 2012
Michele D'Amico, blogger di Molise Green, racconta l'open talk “Quando l’ambiente fa notizia. Quale informazione verso l’economia low carbon? Comunicatori, blogger e giornalisti si confrontano”, che si è tenuto nell'ambito della manifestazione riminese Ecomondo
12 November, 2012
di Michele D'Amico
È la prima volta che è accaduto. Tutto il mondo dei media italiani ambientali si è confrontato in un open talk nello spazio World Web e sostenibilità, il 9 novembre ad Ecomondo, l’evento che si è svolto a RiminiFiera e che ha ospitato gli Stati Generali della Green Economy. «Oggi vogliamo ascoltarvi, vogliamo capire quello che le aziende possono fare per aumentare la conoscenza dei temi ambientali che stanno diventando importanti», ha dichiarato il presidente di AssoScai, Giuseppe Lanzi. E poi «C’era una volta il giornalismo ambientale»: la provocazione di Massimo Scalia, critico, padre dei movimenti ambientalisti italiani. Una memoria storica. «Ci sono stati grandi giornalisti. Ci sono stati periodici, adesso ci sono periodici con molti più gruppi editoriali». E si è da sempre manifestato il problema dell’incomprensione dell’ambientalismo sui grandi media.
La battaglia contro l'atomo
L’esempio ci viene dalla battaglia contro il nucleare. «Negli anni Ottanta l’ambiente veniva citato solo se faceva folklore. Se volevi andare sui giornali bastava mettere una maschera antigas e un camice bianco. Andavano le foto sui giornali delle manifestazioni in Francia e in Germania contro le centrali nucleari. Eppure In Italia si sono fatte battaglie contro centrali che si dovevano fare e non si sono fatte – ha aggiunto Scalia - L’unica vera attenzione viene concessa ai movimenti ambientali con lo scoppio di Chernobyl, cinque secondi di intervista o dieci secondi al Tg». Una volta, in effetti, non c’era un giornalismo ambientale. E forse in Italia non c'è ancora. Per accorgersi del divario di attenzione fra le testate estere e quelle italiane su questioni ambientali, basterebbe notare come sulla rivista Nature è stato redatto l’editoriale sui cambiamenti climatici, e ha utilizzato tutti i mezzi possibili per far capire all’opinione pubblica che la minaccia non è stata mai così alta. Per l’Italia, invece, la questione dei cambiamenti climatici è soltanto futuribile. Si ignora la presa di posizione delle accademie scientifiche. C’è un bassissimo livello di cultura scientifica.
Scarsa cultura scientifica
La pensa allo stesso modo il direttore di E-gazette, Lorenza Gallotti, presente all'incontro: «Il popolo italiano ha una scarsa cultura scientifica e allo stesso tempo soltanto se vengono toccati economicamente i paesi sviluppati ci si rende conto dell’importanza di fenomeni come quello del cambiamento climatico». Poi è stato il turno di Roberto Rizzo di ZeroEmission che spiega la tendenza a “vedere” la notizia solo quando ci sono le catastrofi: «Il genere umano è attivo in caso di catastrofi, ma il giornalismo non può limitarsi alla spiegazione delle cause di determinati disastri. Deve anche spostare l’attenzione sugli aspetti economici e culturali. Il futuro è dettato da scelte politiche, si possono limitare i danni».
Oltre il catastrofismo
La discussione riminese induce a ulteriori interrogativi: «È l’informazione che
manca su fenomeni come quelli climatici o il lettore è disattento? - ha chiesto Se lo chiede Veronica Caciagli di Italian climate network - Il movimento per il clima ha realizzato un e-book con il"manuale anti-bufala" per sfatare i miti sul clima. All’estero c’è più formazione, noi dobbiamo attendere le catastrofi per vedere delle reazioni». Ma occorre che gli operatori dell'informazione, per primi, sappiano di cosa parlano, come sottolineato da Mario Barbarisi: «Il giornalista deve essere informato prima di informare, per questo è nata Greenaccord. Ci rivolgiamo proprio ai giornalisti. Il tema ambientale è stato importante. Però l’esigenza di comunicare una stampa specifica di settore appartiene di più ai nostri giorni. Di fatti noi siamo presenti con una web tv e trent’anni fa non c’era. Bisogna stare attenti agli strumenti, riempiendo i contenitori di contenuti. Il pubblico è più competente, il giornalismo si avvicina alla scienza. Occorre una formazione specifica di settore perché è difficile distinguere i fatti dalle bufale».
Le responsabilità del pubblico
Secondo Andrea Bertaglio de Il Fatto Quotidiano siamo di fronte a un problema più generale: «La stampa italiana è spesso provinciale. Ma è anche il pubblico che lo vuole. Bisognerebbe volgarizzare, con uno stile diverso le notizie ambientali.Il mio obiettivo è riuscire a parlare alle masse nei centri commerciali dall'interland milanese. Per questo ho scelto di non fare l'accademico». Letizia Palmisano, blogger e giornalista ambientale, ha lanciato un ulteriore
provocazione : «Ho iniziato ad utilizzare la rete da giovane ambientalista. Non avendo molti fondi, ho iniziato a diffondere le battaglie legate al territorio con blog tematici e mandando video e comunicati stampa. Oggi si è passati da un sistema verticale ad un sistema orizzontale di confronto e dialogo. La notizia va pensata già in termini social?».
Informazione (ambientale) nella Rete
A questo punto non poteva mancare la riflessione sociopolitica di Vittorio Pasteris, blogger e giornalista: «L’informazione passa male in modo oligarchico nelle mani dei padroni. A un certo punto è arrivato internet e una generazione che ha deciso di fare informazione dal basso, senza tener conto dell’ordine dei giornalisti e delle strutture politiche, senza fare la fila nelle redazioni. Facendo informazione. I media tradizionali come i giornali perderanno dalle mie previsioni il quindici e venti per cento della loro diffusione». A rincarare la dose Simona Falasca di GreenMe: «L’utente sceglie le fonti e quindi il suo palinsesto. Dal punto di vista ambientale succede che con i nuovi media cambia il modo in cui viene veicolato il messaggio. I social network hanno cambiato il modo di fare giornalismo nella forma e per l’immediatezza. Si utilizzano le immagini. Permettono di raggiungere i fruitori che non sono ambientalisti».
Tra velocità e approfondimento
Eppure, secondo Alberto Fiorillo di Legambiente i social network presentano dei paradossi. «È ovvio che i social sono innovativi, ma c’è un aspetto patologico: la sindrome da click. Ossia raccattare più “I like” possibili. Più condivisioni e più utenti. Non cambia a seconda delle testate dei social. La fruizione rapida della notizia non si ferma neanche sette secondi sulla pagina ed è quella maggioritaria nelle rete. Chi fa informazione ambientale, a mio giudizio non dovrebbe invece occuparsi di questo tipo di fruitore del web. Ci sono quelli che cercano le informazioni immediate come l’orario dei treni e poi c’è l’approfondimento: il vero pubblico a cui mirare, è sicuramente più di nicchia ma ha un interlocutore maggiore». Per questo, secondo Fiorillo, il social network non può essere considerato come un media tradizionale, perché è soprattutto interazione e condivisione. Molto meglio, invece, chiedersi “cosa posso fare io?” e non “Cosa possono fare i mezzi di comunicazione per me?”. «Un esempio è la campagna #Salvaiciclisti, nata con sei blog – ha aggiunto Fiorillo - Il tessuto sociale era già pronto ad accogliere quel tipo di messaggio, era necessario declinare quel messaggio nei modi giusti. A Londra il Times ha effettuato una campagna analoga, e le manifestazioni hanno portato in piazza 10.000 persone. A Roma il 28 aprile ne erano 50.000.In piazza c’erano molte più persone dei click della pagina Facebook del gruppo della campagna».
Parola d'ordine: credibilità
Antonio Ferro, titolare di Extra, società di comunicazione d’impresa ambientale, ha dichiarato: «Quando con Andrea Poggi fondammo la Nuova Ecologia nel 1973-74, eravamo soltanto due studenti di ingegneria che volevano difendere gli operai in fabbrica, e quindi ecologisti di sinistra. Da allora la comunicazione ambientale è cambiata e si fa in modo diverso, le imprese sono molto più preoccupate di ciò che va a finire in rete e non di quello che va sui giornali. In rete le notizie restano: è un mezzo rivoluzionario». Il problema, secondo Ferro, è la credibilità: come aumenta la credibilità di chi opera su internet? «La rete può individuare i target per le informazioni che interessano – ha aggiunto - Ciò che manca è il piacere di approfondire, c’è un bombardamento di informazioni ed i ragazzi in sette secondi non riescono a distinguere le informazioni buone da quelle cattive».Eppure, come osservato da Matteo Campofiorito, «Con GreenStyle approfondiamo con il web le notizie. E spesso bastano soltanto 140 caratteri».
L'importanza dei contenuti
Nel suo intervento, Alma Grandin del TG1 ha ricordato che «Le notizie dipendono dal taglio: possono essere economiche, sociali o di cronaca. La bravura del giornalista consiste nel capire il giusto taglio da attribuire ad una determinata notizia». Secondo Paolo Hutter, direttore di Eco dalle Città, «il web ci consente di raggiungere con facilità un pubblico più ampio ma allo stesso tempo la rete è di per sé irrazionale, e rischia di trasmettere facilmente delle paure. I giornalisti ambientali sono uno sciame che dovrebbe fare da filtro per il pubblico». La conclusione è stata affidata a Walter Ganapini di Sisifo: «Dopo tre giorni che ero su Facebook, mi accorsi che c’era un elemento provocatorio per il ruolo che svolgevo nella finta emergenza Campana dei rifiuti. Dobbiamo con i nuovo media saper veicolare fra le Best available information e le Best needed information. È il validatore terzo indipendente che garantisce se la notizia è buona. Si è persa una grande occasione per il giornalismo ambientale quando c’era la possibilità di utilizzare il contributo dei giornalisti ambientali eletti per fare l’Ecoistituto sulla scorta del modello tedesco, dove i ricercatori in rete contribuiscono a formare progetti. Vinciamo soltanto se riusciamo a portare avanti il principio enaudiano del conoscere per deliberare. L’animale ferito è più pericoloso dell’animale normale, e dobbiamo quindi avere una maggiore forza di comunicazione, fortemente motivata con tutte le cifre possibili rimanendo credibili per i contenuti».