Prendendo appunti sul caso Ilva | video
Resoconto del dibattito sull'Ilva di Taranto promosso da Eco dalle Città con alcuni esperti, epidemiologi, sindacalisti e giornalisti. "E' la prima volta che la magistratura interviene su un’azienda aperta e non già chiusa. Il caso Ilva è appena cominciato e può costituire un precedente". Videosintesi dell'incontro
04 December, 2012
Lunedì 3 dicembre Eco dalle Città ha promosso un dibattito sulla vicenda Ilva di Taranto con esperti, epidemiologi, sindacalisti e giornalisti. Una sorta di riunione di redazione allargata per cercare di chiarire alcuni punti chiave della questione a cui hanno preso parte Ennio Cadum, epidemiologo dell'Arpa Piemonte, Federico Bellono, segretario FIOM CGIL di Torino, Fausto Dacio, FIOM CGIL di Novi Ligure e Igor Staglianò, giornalista della trasmissione Rai Ambiente Italia.
La serata è stata introdotta proprio da Staglianò, in collegamento telefonico da Taranto, che ha ripercorso le tappe fondamentali della vicenda a partire dal primo sequestro e dai primi arresti domiciliari del 26 luglio scorso: “Secondo alcune testimonianze di operai, nonostante il sequestro, dal 26 luglio al 26 novembre la produzione è stata triplicata. L'azienda non ha preso quindi minimamente in considerazione le disposizioni. Proprio in ragione di questo il procuratore Sebastio ha valutato di intervenire nuovamente nei giorni scorsi nonostante l'emanazione della nuova AIA il 26 ottobre. Questa è stata redatta seguendo le disposizioni del gip e ha sostituito l'AIA del ministro Prestigiacomo scritta, come sostenuto dalla procura, sotto dettatura dell’azienda. In queste ore a fronte del decreto governativo che prevede il dissequestro degli impianti e la nomina di un garante per le bonifiche (si è fatto il nome del capo nazionale dei Vigili del Fuoco), i magistrati stanno prendendo in seria valutazione il fatto di impugnarla davanti alla Corte per profili di incostituzionalità”.
Taranto, il tappo è saltato
Ma a Taranto in questi mesi si è modificata anche la percezione del problema da parte della cittadinanza? “La reazione della magistratura e della società civile è la novità. Soltanto a marzo di quest'anno -ricorda Staglianò- l’Ilva ha organizzato una manifestazione di protesta sotto gli uffici della procura... L’Ilva ogni mese lascia in città 100 milioni in stipendi e questo ha fatto pensare che potesse permettersi ogni cosa. Occorre ricordare che fino a 6 anni fa a Taranto non esisteva neanche un registro tumori e l’Arpa era una scatola vuota, non aveva ruolo”. “A Taranto in questi anni si è determinato un sistema omertoso -testimonia anche Federico Bellono, segretario della FIOM CGIL di Torino- che non è solo farina del sacco dei Riva. Il clima di Taranto è sempre stato particolare, anche prima dei Riva. Sulla vicenda Ilva tutti ci fanno una pessima figura, a partire dalle rappresentanze sindacali. Lo strapotere dell’azienda è stato anche dato dalla sua non difficoltà ad acquisire consenso. La FIOM è disposta a stare in minoranza, per rispettare le decisioni della magistratura. La vicenda ha però avuto un’evoluzione molto rapida anche nella percezione delle persone. L’impressione è quella che sia finalmente saltato un tappo”. “Ora siamo di fronte alla necessità di costruire una nuova cultura con gli stessi lavoratori -sostiene Fausto Dacio, delegato FIOM a Novi Ligure, uno degli impianti italiani dove avviene la rifinitura del prodotto dell’Ilva di Taranto-. A Taranto essendo l’Ilva quasi l’unica fonte di reddito si cresce con la speranza di poterci lavorare dentro. Nel 1995 l’attuale gruppo acquisì lo stabilimento con poco. Anziché bonificare si è preferito dare mazzette in giro. Riva si vanta di aver fatto 4 miliardi di investimento per migliorare l’impatto ambientale, ma in realtà gli interventi sono stati fatti per migliorare l’efficienza degli impianti”.
“A proposito di clima, a fine luglio -ricorda Ennio Cadum, epidemiologo dell'Arpa Piemonte- ho partecipato ad un workshop a Taranto che abbiamo dovuto interrompere perché quattro quinti della platea era composta da lavoratori inviati espressamente dall’azienda a contestarci”.
Aria pesante
Workshop che cercava di far chiarezza sull'impatto sanitario degli stabilimenti Ilva sulla città: “Lo studio dei periti della procura Biggere e Forestiere per determinare gli effetti a breve e lungo termine -ricorda Cadum- dimostra come nei quartieri Tamburi e Paolo VI si registrino picchi d'inquinamento del 60/80% superiori agli altri quartieri della città. La vecchia AIA permetteva dei limiti emissivi che non erano assolutamente sensati, ai massimi e non ai minimi. Ilva, ad esempio per le diossine, aveva la possibilità di emettere il 95% del totale autorizzato a livello nazionale. Quando l’Arpa andava a fare in controlli trovava quindi che i valori erano nei limiti, anche se questi non tutelavano minimamente la salute della popolazione. Basti pensare che nei quartieri Tamburi e Paolo VI si sono superati i limiti previsti per le zone industriali e non solo per quelle residenziali...”. Mentre il ministro Clini continua a sostenere che i morti sono conseguenza di vecchie esposizioni, secondo Cadum, “gli studi sottolineano invece la rilevanza degli effetti determinati a breve termine: se a livello nazionale a fronte di un incremento di 10 mg/mc di PM10 si ha una crescita media di patologie dello 0,6% nei quartieri Tamburi e Paolo VI questa è del 3,8%. E il maggior effetto sanitario è legato alla frazione organica e ai metalli presenti nelle PM10 tarantine”.
Non solo morti
“Di recente -racconta Cadum- ho raccolto la testimonianza di un insegnante di una scuola media di Tamburi, arrivato da fuori Taranto. L'insegnante ha notato che la media dei bambini aveva un apprendimento ritardato. Questo ritardo di apprendimento può essere determinato dalla presenza di piombo nell'aria. Le analisi hanno infatti dimostrato che i bambini di quelle scuole hanno in corpo livelli di piombo di 5 volte superiori a quelli che vivono e studiano in altre zone di Taranto”.
Dopo il decreto, la bonifica?
“L’Unione Europea ha fatto pressioni affinché l’Ilva non chiudesse -sostiene Cadum-. Francesi, olandesi e tedeschi rischiano infatti di avere ricadute negative anche sulla loro industria. Gli unici contenti potrebbero essere i cinesi che si sostituirebbero nella produzione...”. Il decreto del governo “stabilisce quindi che quella è un’area strategica e che, in quanto tale, gode di una serie di immunità”. Da parte del governo “non si capisce se c’è la reale volontà di recuperare gli utili fatti dall’azienda in questi anni -sottolinea il segretario della FIOM CGIL di Torino Federico Bellono- Bisogna poi ancora capire come, con quali meccanismi, si rende la fabbrica non più inquinante. Bisogna capire se, come dice l'imprenditore Carlo De Benedetti, la produzione possa esser ridotta per poter avviare contemporaneamente l'adeguamento degli impianti, procedendo per pezzi”.
“Fermare un forno a ciclo continuo come quello di Taranto non è facile -sottolinea Fausto Dacio, delegato FIOM negli impianti di Novi Ligure-. Lo spegnimento e il riavvio porta ad una fermata lunga che blocca tutta la filiera. La cosa più logica sarebbe quella di fare gli interventi per costruire in modo parallelo ciò di cui c’è bisogno. E’ necessario un intervento radicale e quindi diventa complicato rispondere contemporaneamente alle due esigenze di risanare e al tempo stesso produrre. Non è semplice poter pensare ad una soluzione. Il Governo tenta ora di rispondere a queste due esigenze. Il decreto di fatto restituisce la palla all’azienda e la fa tornare a produrre. Come FIOM, visti i ripetuti illeciti da parte dell'azienda, abbiamo proposto il suo commissariamento”.
Quello che sta accadendo a Taranto costituisce un elemento di novità anche sul piano politico e giuridico: “E' la prima volta che la magistratura interviene su un’azienda aperta e non già chiusa (come invece successo per l'amianto a Casale Monferrato) -ricorda Cadum-. L’unico paragone possibile è quello con la Montedison di Porto Marghera. Ma l’accusa all'epoca cadde in quanto formulata per omicidio colposo, reato che richiede un colpevole, mentre erano tanti i dirigenti implicati. L’Ilva di Taranto invece può costituire un precedente”.
Il video del dibattito