IL DECLINO ITALIA INVESTE L’AMBIENTE
Aumentano i gas serra, cresce l'abusivismo edilizio, diminuisce la spesa in innovazione e ricerca, al palo fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Segnali in controtendenza: agricoltura, aree protette e rifiuti
09 March, 2004
PRESENTATO OGGI IL RAPPORTO AMBIENTE ITALIA 2004 DI LEGAMBIENTE CON 100 INDICATORI SULLO STATO DI SALUTE DEL PAESE Della Seta (Presidente Legambiente): “Ridurre la dipendenza dal petrolio e dalle fonti fossili, migliorare l’efficienza degli impieghi di energia, dare impulso alla ricerca, mettere a frutto il mosaico delle economie e delle identità territoriali” Il declino Italia passa anche attraverso la crisi della qualità ambientale. E’ un declino che conferma, anche in questo contesto, il ritardo dai Paesi europei più avanzati e in molti casi, anzi, lo vede crescere. Lo dicono i numeri. Nel 2001 ad esempio le emissioni lorde di gas climalteranti nel nostro Paese hanno superato i 545 milioni di tonnellate. Rispetto ai 508 milioni di tonnellate del 1990 c’è quindi una crescita del 7,3% (il Regno Unito invece ha ridotto le emissioni del 12,4%, la Germania addirittura del 17,7%) che smentisce seccamente l’obiettivo che l’Italia si era dato aderendo al protocollo di Kyoto: -6,5%. Lo dicono le politiche: il condono edilizio prospettato come possibile già dal 2001 e poi effettivamente trasformato in legge sul finire del 2003 ha interrotto quel forte processo di riduzione dell’abusivismo che aveva portato l’illegalità dal 29,5% del 1994 (sanatoria del primo governo Berlusconi) all’11,9% del 2001. In valore assoluto le costruzioni abusive sono risalite a circa 31.000 unità, pari a circa 4,2 milioni di metri quadrati. Complessivamente nel ventennio 1982/1992 sono state edificate 1 milione e 100mila costruzioni abusive, pari al 19% del totale delle nuove costruzioni realizzate o ristrutturate. E il mattone illegale è una peculiarità che l’Italia condivide in Europa solo con Grecia e Turchia. Lo dicono le tendenze. La spesa reale per ricerca e sviluppo in Italia è ai livelli più bassi dell’area Ocse e circa la metà della media dell’Unione europea: oggi gli investimenti in “innovazione” rappresentano l’1,11% del Pil contro l’1,18% del 1992. Anche le imprese, a differenza di quello che accade nella maggior parte dei Paesi, hanno ridotto del 7% il budget per R&S rispetto all’inizio degli anni ’90. Lo dice l’inefficienza e l’assenza di competitività in un settore, quello energetico, ormai decisivo da tanti punti di vista - economico, ambientale, sociale. Con un installato di 800 Mw a metà 2003 l’Italia è ad esempio il quarto Paese europeo per diffusione dell’eolico, ben lontano da Germania (12.000 Mw), Spagna (4.000 Mw) e Danimarca (3.000 Mw). Nel 2002 e nel 2003 l’incertezza creata dagli orientamenti pubblici hanno scoraggiato gli operatori con un alto numero di impianti “qualificati” (95 in progetto per una producibilità di oltre 7.200 GWh, pari a 5 volte la produzione attuale), ma un basso numero di realizzazioni effettive (negli ultimi 18 mesi meno della metà del 2001). E tutto questo lo dice Ambiente Italia 2004, la quindicesima edizione del rapporto di Legambiente curato dall’Istituto di Ricerche Ambiente Italia (Edizioni Ambiente, 202 pagine, 19,80 euro, già disponibile in libreria), che presenta quest’anno – oltre alla consueta rassegna dello stato dell’ambiente in Italia e nel mondo - un ampio capitolo sul Mediterraneo, anch’esso alle prese con le sfide della globalizzazione. Il rapporto è stato presentato oggi a Roma in una conferenza stampa cui hanno partecipato il presidente nazionale di Legambiente Roberto Della Seta e il curatore della ricerca Duccio Bianchi, direttore dell’Istituto Ambiente Italia. “L’Italia nel suo complesso in un solo anno, dal 2002 al 2003, è passata dal 33° al 41° posto nella classifica della competitività – ha sottolineato Della Seta - è tempo di capire che per competere nel mondo che si globalizza serve molto di più sviluppare l’energia del vento e quella del sole che non rincorrere la precarizzazione del lavoro, è mille volte più utile modernizzare e potenziare la rete ferroviaria che non cementificare con nuove autostrade ciò che resta del Bel Paese. Come una medaglia a più facce, il rischio-declino che corre l’Italia si può leggere infatti con diverse lenti d’ingrandimento. Tre delle più calzanti sono quelle che riguardano gli standard ambientali, tecnologici, sociali. Lenti che mostrano un’analoga realtà di ritardo, immobilismo, perdita di velocità. E del resto non è un caso: basta osservare la realtà dei Paesi più avanzati per vedere che la qualità ambientale migliora dove crescono parallelamente tanto la qualità tecnologica che quella sociale. E resta ferma oppure arretra, invece, nei Paesi dove gli altri due parametri non danno segni di dinamismo (come appunto l’Italia) ma anche in quelli con uno sviluppo tecnologico accelerato ma con standard sociali molto meno brillanti (come gli Stati Uniti o come, in altre condizioni, i Paesi emergenti dell’estremo oriente)”. Pescando tra i 100 indicatori di Ambiente Italia 2004 si evince una mancanza di strategia nelle scelte del nostro Paese, in ambiti pure strategici, e una sorta di stanchezza che coinvolge settori diversi. Prendiamo il caso della mobilità delle merci: nel corso di questo decennio si è consolidato il dominio del trasporto su gomma (è il 73% del totale, incluso il trasporto per oleodotto), mentre è rimasto stazionario il trasporto su rotaia (che ha quindi ridotto il proprio peso e ora è al 7%), mentre il cabotaggio ha mantenuto la propria quota del 15%. Su gomma (all’inizio del 2000) si spostano 4230 t/km/ab su 5588 (Germania 4226 su 6163 Regno Unito 2647 su 4102 Spagna 2977 su 4294). Eppure proprio il trasporto merci su ferro è quello che appare più penalizzato dagli investimenti infrastrutturali. Altro campo critico, quello dell’energia, che ha messo in luce tutte le sue falle con i black out della scorsa estate. Se agli inizi degli anni ’80 l’Italia sotto la pressione di alti prezzi petroliferi e di una tassazione elevata delle benzine aveva conseguito buone prestazioni energetiche oggi la situazione è radicalmente cambiata. Con un sistema industriale povero delle classiche industrie energivore (siderurgico, chimico) e soprattutto con un vantaggio climatico oggi l’Italia ha una intensità energetica appena nella media europea, ha visto crescere il suo distacco dai Paesi leader (53% di energia per unità di reddito in più della Danimarca), ha ridotto la sua intensità energetica del 12% in venti anni mentre Paesi come la Gran Bretagna e l’Irlanda (oggi più efficiente dell’Italia) hanno ridotto di oltre il 30% i propri consumi per unità di reddito. Eppure l’efficienza energetica resta una grande risorsa energetica virtuale. Con un potenziale fattibile di risparmio nell’ordine del 30% dei consumi finali e un potenziale teorico di 140-150 TWh nel settore elettrico solo l’aumento dell’efficienza basterebbe a stabilizzare la domanda di elettricità per il 2010 ai livelli di metà degli anni ’90. Il declino riguarda poi anche le politiche di welfare interno ed esterno. Gli aiuti allo sviluppo, che rappresentavano lo 0,31% del Pil nel 1990 oggi sono più che dimezzati (0,15%). La spesa sociale nel 2000 rappresenta il 25% del Pil (la media Ue è del 27,3%). E questo elenco potrebbe continuare esaminando i dati dell’occupazione femminile o quelli della crescita demografica. Come detto l’approfondimento di Ambiente Italia 2004 di Legambiente è dedicato alla globalizzazione letta attraverso il caso Mediterraneo, tema su cui dibattono anche Wolfgang Sachs del Wuppertal Institut e il politologo Benjamin Barber. Il mondo mediterraneo partecipa in pieno ai processi di globalizzazione, e ne condivide tutte le contraddizioni e gli aspetti peggiori. Distanze sociali ed economiche che si accrescono, diversità ambientali e climatiche che tendono ad assottigliarsi, progressiva omologazione ad un modello economico ad alto impatto ambientale, differenze culturali che rischiano di perdersi. Eppure proprio il Mediterraneo, le sue sponde così vicine, possono diventare – cerca di dimostrare il rapporto di Legambiente - il laboratorio di una diversa globalizzazione che promuova lo scambio ma non omologhi, che affronti alla radice i grandi nodi sociali e ambientali rappresentati dalla povertà e dal mutamento climatico. Torniamo però all’Italia. E torniamo a quegli indicatori che consentono anche di cogliere alcuni aspetti positivi in questa generale situazione di stallo. Nel 2002 sono ad esempio coltivati biologicamente ben 746.510 ettari del nostro territorio (complessivamente circa 246.000 in più rispetto al 2000). Le aree protette rappresentano ormai il 10% del territorio nazionale. In 5 anni, nel campo dei rifiuti, il trattamento e il recupero da raccolta differenziata sono passati insieme dal 22,2% al 47%. “Questa conferma di un rischio declino a 360 gradi del nostro Paese si accompagna, fortunatamente, con alcuni fenomeni in controtendenza – commenta ancora Della Seta - In Italia, infatti, mentre le politiche per l’ambiente segnano il passo, si percepiscono con chiarezza fermenti positivi nella società e nell’economia, fermenti nei quali si affiancano le dimensioni ambientale, tecnologica, sociale. Dal boom dei prodotti biologici e tipici, alla crescita del commercio equo e solidale, dall’aumento della raccolta differenziata dei rifiuti, al consolidamento del sistema delle aree protette, dalla capacità dei parchi di proporsi come laboratorio di economie sostenibili, all’interesse verso la “piccola grande italia”, dei comuni minori, dove si concentra tanta parte delle nostre ricchezze più originali. Insomma, l’Italia non è solo decadenza, anche se il deficit generale di politiche di governo innovative minaccia di vanificare anche i progressi più promettenti”. Alcuni dati sintetici di Ambiente Italia 2004 di Legambiente - mondo 830 milioni di persone denutrite. Su scala mondiale 830 milioni di persone (quasi 100 milioni in meno che agli inizi degli anni ’80, ma almeno 25 in più della metà degli anni ’90) sono in condizione di denutrizione. Nell’intero continente africano (con l’eccezione di alcuni stati dell’Africa occidentale), nel Medio Oriente e in misura meno accentuata nei Paesi del centro e Sud America il numero di persone in stato di denutrizione – sebbene diminuito in termini percentuali – è aumentato in valore assoluto rispetto agli anni ’80. 780 miliardi di dollari per la guerra. La spesa militare dopo il declino registrato nella prima metà degli anni ’90 (particolarmente concentrato negli Usa e nll’ex Urss) sta conoscendo una nuova ascesa dalla fine degli anni ’90. Nel 2002 la spesa militare mondiale è cresciuta del 6% rispetto all’anno precedente, superando i 780 miliardi di dollari, pari a circa il 2,5% del Pil mondiale. La crescita è stata trainata in particolare dagli Usa (335 miliardi di dollari, pari al 43% della spesa totale 2002). 52,3 miliardi di dollari di aiuti per lo sviluppo. Nel 2001 gli aiuti internazionali ufficiali sono rimasti sostanzialmente gli stessi erogati nel 2000. In moneta corrente tra il 1990 e il 2001 gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo sono addirittura scesi da 54,8 miliardi di dollari a 52,3 miliardi di dollari, passando dallo 0,33% allo 0,22% del Pil dei Paesi donatori. L’Italia è il Paese europeo che stanzia la minor quota di risorse per gli aiuti: nel 2001 lo 0,15% del Pil a fronte dello 0,31% del 1990. 42 milioni di sieropositivi. Nel 2002 le persone sieropositive erano quasi 42 milioni, 12 milioni in più rispetto al 1997. Nel 2002 si sono registrati oltre 5 milioni di nuovi casi di HIV e 3,1 milioni di decessi per Aids rispetto ai 2,8 milioni del 2001. 1 medico ogni 10mila abitanti. La disponibilità di personale medico in Africa è nell’ordine di 1 medico ogni 10.000 abitanti e nel sud dell’Asia di 1 ogni 2.500 abitanti. In Italia questo rapporto è di 1 ogni 150 persone, mentre la media dei Paesi sviluppati è di 1 ogni 300 persone. +15,7% consumi energetici globali in un decennio. Nel 2001 i consumi energetici globali sono cresciuti dell’1,6%. Rispetto al 1991 la crescita assomma al 15,7%. L’incremento dei consumi è molto marcato nei Paesi asiatici (+44% rispetto al 1991, più che raddoppiati rispetto al 1980), ma è rilevante anche nel Nord America (+15% nell’ultimo decennio). Su scala mondiale l’aumento dei consumi è stato attenuato dalla crisi dei Paesi dell’Europa centro-orientale che hanno conosciuto nell’ultimo decennio una contrazione drammatica (-26%). -17% intensità energetica globale in un decennio. L’Intensità energetica - che rappresenta la quantità di energia consumata per la produzione di una unità di prodotto nazionale lordo – è diminuita su scala mondiale nell’ultimo decennio (-17% tra il 1990 e il 2001) soprattutto per effetto della maggiore efficienza conseguita nei Paesi asiatici (-19%) e nell’Europa orientale (-33%, escludendo l’ex Urss). Ci sono alcune eccezioni. La più eclatante è quella dell’Italia, con una intensità energetica ormai stabile da un decennio e che oggi vanta livelli d’efficienza appena nella media europea e ben inferiori a Paesi più svantaggiati sotto il profilo climatico come l’Austria o la Germania. 30.000 Mw di eolico nel mondo. La potenza eolica installata nel mondo è cresciuta costantemente e ben oltre ogni previsone. Nel 2002 con 30.000 Mw installati è più che raddoppiata rispetto al 2000 e quintuplicata rispetto al 1996. Lo sviluppo dell’energia eolica si è concentrato soprattutto nei Paesi europei e in particolare in Germania (oltre 12.000 Mw), in Spagna e in Danimarca (dove copre rispettivamente il 3% e il 12% dei fabbisogni elettrici). In Italia la crescita ha seguito il trend mondiale, ma è rallentata nel 2002 e nel 2003 (800 Mw totali a giugno). Le prospettive di sviluppo dell’energia eolica nel mondo sono eccellenti e al 2012 oscillano tra il 2% e il 12% della domanda mondiale di energia (oggi è pari allo 0,4%). La Spagna prevede di triplicare al 2011 la sua potenzialità, la Germania prevede di coprire nel 2025 il 25% del suo fabbisogno elettrico e la Danimarca il 50%. In Italia, al maggio 2003, sono già stati qualificati e sono in progetto 95 nuovi impianti eolici per una producibilità di oltre 7.2000 Gwh, pari a 5 volte la produzione attuale. -2,5% emissioni di gas serra in Europa. Tra il 1990 e il 2001 le emissioni nette sono diminuite in Europa del 2,5%, principalmente per effetto della sostituzione del carbone e della migliore efficienza ottenuta in Germania e nel Regno Unito. Ma nella quasi totalità dei Paesi industrializzati si registra una crescita. L’incremento più rilevante, tra il 1990 e il 2001, si rileva negli Stati Uniti, dove le emissioni sono cresciute di oltre il 20%: solo le emissioni aggiuntive degli Usa sono addirittura superiori al totale delle emissioni della Germania. -90.000 Km2 annui di superficie forestale. La velocità di deforestazione e di conversione delle foreste naturali in piantagioni non accenna a diminuire. Il decennio 1990-2000 ha visto scomparire lo 0,2% annuo della superficie forestale del pianeta, pari a circa 90.000 Km2 annui, tre volte la superficie dell’Italia. Le aree più colpite sono l’Africa sub-sahariana (0,8% annuo) e l’America latina (0,5% annuo). 300 catastrofi “naturali” e antropiche in un anno. Secondo i criteri di Swiss Re nel 2002 si sono verificati 300 eventi catastrofici tra naturali e antropici – definiti come eventi che superano una certa soglia di danno in termini di vite umane (almeno 20 morti) o di valore economico – che hanno provocato la morte di 24mila persone e un danno economico di 40 miliardi di dollari. Le catastrofi naturali che incidono maggiormente per numero di vittime sono legate ad alluvioni, tempeste e terremoti. Mentre le catastrofi antropiche sono dovute per lo più a incendi, incidenti aerei e spaziali.