Facciamo rinascere una Mirafiori ecosostenibile
AMBIENTE E CRISI FIAT
22 June, 2004
MASSIMO SERAFINI Mirafiori deve restare un luogo dove migliaia di donne e uomini continuano a progettare e costruire mezzi con cui garantire la mobilità di persone e cose, in poche parole un'industria. Questo era l'obiettivo della giornata di sciopero indetto dai sindacati metalmeccanici la settimana scorsa alla Fiat di Torino. Una mobilitazione perfettamente riuscita per l'altissima adesione allo sciopero e per il carattere originale ed innovativo. C'è, infatti, una diffusa consapevolezza fra i lavoratori e il sindacato che per impedire il declino industriale di Mirafiori e più in generale del paese, non basta più, se mai è bastata, la resistenza degli operai e delle operaie, ma serve una piattaforma che sia capace di coinvolgere e mobilitare tutti i soggetti sociali intellettuali ed istituzionali del territorio in cui quella fabbrica è inserita. In altre parole, serve un nuovo modello di vertenzialità, che faccia tesoro dell'esperienza vincente di Melfi e soprattutto di Scansano Ionico sui rifiuti radioattivi. In particolare, nel caso della Fiat, è decisiva, se se ne vuole impedire lo smantellamento, la presenza del soggetto ambientalista. La crisi dell'auto è essenzialmente ambientale, nel duplice aspetto dell'inquinamento e della mancanza di spazio Targhe alterne, divieti sempre più frequenti di circolazione, ingressi a pagamento nelle città sono da qualche tempo i sintomi evidenti della malattia grave che affligge l'oggetto auto, di una sua crisi strutturale d'identità e di funzioni. La Fiat ha rivoluzionato la vita delle generazioni del dopoguerra, garantendo loro mobilità e quindi conoscenze. Da qualche tempo ha smarrito questa sua «capacità propulsiva». Il diritto alla mobilità si perde nelle spettrali code d'ogni giorno e l'aria è resa irrespirabile dalle emissioni dei tubi di scappamento (3 mila morti l'anno per smog). La Fiat, non ha futuro se non si riuscirà ad imporre un salto tecnologico (nuovi modelli ibridi e ad idrogeno, nuovi materiali totalmente riciclabili, biocarburanti) con cui risolvere gli attuali problemi d'impatto ambientale. Così come il territorio non ha futuro (non potrà neanche assorbire l'auto ecologica se saremo capaci di produrla) se non smetteremo di costruirlo, asfaltarlo, cementificarlo, recuperando invece spazi, anche e soprattutto attraverso un nuovo sistema di mobilità e trasporto, più collettivo, più intelligente, intermodale, comodo e soprattutto riducendo i bisogni di mobilità di persone e cose grazie alle tecnologie informatiche. E' in questo modello che dovrà trovare spazi e mercato l'oggetto auto. Mai più dunque rottamazioni a fondo perduto su cui la classe dirigente Fiat si è adagiata smantellando ricerca ed innovazione o concentrandole sulla Ferrari. E' questa la ragione per cui Legambiente starà dentro la vertenza, che la mobilitazione della scorsa settimana ha aperto e vuole contribuire, nel tavolo permanente di consultazione che è stato istituito, alla definizione e qualificazione della piattaforma. Da sempre quest'associazione prova ad intrecciare gli obiettivi squisitamente ambientali (ridurre l'inquinamento, limitare il consumo di risorse energetiche e naturali) con la questione sociale (diritti, occupazione, esigenze di difesa e valorizzazione della coesione sociale). Anzi, proprio imponendo una maggiore attenzione alla qualità ambientale della produzione e dei consumi, si può dare un futuro più solido e sicuro a questo paese e più in generale al pianeta. Legambiente si sente dunque parte della vertenza Fiat, non solo per evidenti ragioni di solidarietà, con chi potrebbe, nel caso di deindustrializzazione, perdere il posto di lavoro, ma per una ragione di merito. Un futuro ambientalmente sostenibile non può decollare se non s'indica un credibile disegno di nuovo sviluppo ed insieme una massa critica d'interventi che siano sufficienti ad avviarlo. Sarebbe vacuo parlare di società eco-sostenibile se poi non si è in grado di dimostrare che essa è elemento costitutivo per produrre meglio in modo più pulito e con minor fatica. Insomma ogni discorso sullo sviluppo sostenibile che non fosse capace di dimostrare che esso è in grado di garantire conservazione e sviluppo dei livelli di vita e d'occupazione è insensato, viziato d'utopismo e di privilegio. Ma soprattutto, la trasformazione di Mirafiori in appetibili aree edificabili significherebbe avere definitivamente perso la battaglia per fare di questo paese un'area ad alto sviluppo tecnologico, con un assetto industriale e di servizi d'eccellenza che scambia con il resto del mondo scoperte ed innovazione, lasciandolo così diventare un'area marginale che al più assicura l'applicazione industriale delle innovazioni degli altri e cerca di difendere la competitività di prodotti ormai maturi tagliando sui costi del lavoro ed ambientali, un paese a monocultura turistica in attesa di grandi eventi (giubilei, olimpiadi, G8) nei quali consumare altri pezzi del nostro territorio.