«Il mio Valdo Fusi convincerà anche gli scettici»
L'ARCHITETTO MASSIMO CROTTI REPLICA A CHI CRITICA L'ARREDO DI SUPERFICIE DEL PARCHEGGIO
05 July, 2004
Il progettista: ci vuole solo tempo GIARDINO pensile che sottrae la pausa verde all'asfissia dei tubi di scarico o fortino di cemento? Dipende da che parte lo guardi. Il parcheggio Valdo Fusi divide i torinesi in due squadre, chi abita sui lati aperti della piazza e gli altri, offesi dal muro che ostruisce la visibilità. Le vie Accademia Albertina e San Francesco di Paola, beneficate dalla panoramica frontale, dove il catino si apre rivelando un eden di alberi, panchine, zampilli d'acqua, difendono la novità. I «conservatori» di via Cavour e via Giolitti invece, tagliati fuori dal cemento, rimpiangono il vecchio slargo polveroso che almeno dava respiro all'isolato. «Col tempo anche gli scettici capiranno d'aver guadagnato uno spazio che non esisteva», confida il progettista Massimo Crotti. Quarantun'anni, doppia cattedra in architettura all'Università di Torino e Lione, l'appalto già in tasca per la risistemazione della nuova stazione di Caselle, Crotti ha studiato a fondo le mappe storiche di piazza Fusi «per recuperare l'aspetto originario del quartiere». Ci spieghi meglio, architetto: la zona tornerà com'era un secolo fa? «La piazza non esisteva allora. C'era un isolato costruito, che comprendeva un convento e la sede del Politecnico. Fu bombardato nella seconda guerra mondiale e rimase un cumulo di macerie, un spazio pieno a ridosso del quale si svolgevano attività tipo la fiera del vino, mio padre la ricorda bene. Avete notato che gli anziani sono i meno sconvolti dal nuovo assetto? Il nostro progetto ricalca la vecchia traccia: i muri di cemento che sostengono il parcheggio corrispondono al primo piano degli antichi palazzi». Eppure, la gente era abituata all'orizzonte sgombro... «Il concorso chiedeva un parcheggio e il riassetto dell'area dove non c'era nulla oltre una spianata d'asfalto e 60 alberi. Il terreno non è omogeneo, c'è un dislivello che da via Giolitti scende verso via Cavour: il progetto doveva tenerne conto. La conformazione a invaso nasce dalla necessità di raccordare il piano della strada». I residenti ce l'hanno con quelle barriere di cemento sulle vie Giolitti e Cavour. Non c'erano alternative? «Non amo il cemento, ma resta una delle soluzioni migliori per sostenere le strutture pesanti del parcheggio da 675 posti. Inoltre, i muri isolano le strade adiacenti dai gas di scarico delle automobili e proteggono le rampe dalla pioggia». L'architettura contemporanea fa largo uso del vetro. Il nuovo palazzo del quotidiano New York Times, disegnato da Renzo Piano, è un'unica grande finestra sulla Grande Mela. Non si poteva giocare anche qui sulla trasparenza? «I quattro angoli della struttura ospitano negozi con enormi vetrine, sfondando la prospettiva all'interno del giardino. Abbiamo ragionato bene con il mio team: oltre non si poteva fare. Su via Giolitti e via Cavour si trovano le uscite di sicurezza del parcheggio, il cemento assicura protezione. Via Accademia Albertina e via San Francesco di Paola invece, affacciano sul verde e mantengono in vista gli edifici più interessanti, il palazzo della Borsa degli architetti Gabetti e Isola e la Camera di Commercio di Carlo Mollino». Non è un po' poco per chi chiedeva spazio aperto? «Ci vorrà del tempo, ma alla fine gli abitanti metabolizzeranno le quinte murarie e apprezzeranno il giardino sovrastante, lontano dai gas di scarico». Tutto come previsto dal progetto, dunque? «Sì e no. Alla fine del 2001 il committente Atm ci ha revocato la direzione dei lavori supervisionando in prima persona l'operato dell'impresa Iter di Ravenna. Alcuni dettagli sono cambiati. Le falde inclinate del vallo, per esempio, sono state realizzate in materiale prefabbricato e conferiscono al terreno un'andatura discontinua diversa dal disegno originale. Riconosco assolutamente il mio progetto. Dico però che se il prodotto finale si discostasse significativamente da come era stato immaginato avremmo ragioni per rivalerci». Perché siete stati rimossi? «Si erano accumulati ritardi di cui, noi architetti, siamo stati ritenuti i soli responsabili. Invece, dopo il nostro allontanamento, i dieci mesi di dilazione sono diventati undici. Il cantiere doveva chiudere ad agosto 2003..».