La Lettera di Sgarbi alla Sovrintendenza
da la Stampa del 17.04.2005
19 April, 2005
GENTILE sovrintendente
Chiamato (da Andrea Marte e Turi Rapisarda) a vedere i lavori nelle piazze San Carlo e Vittorio per valutare il rilievo e l'interesse delle testimonianze storiche emerse durante gli scavi, e apprezzata l'estensione della villa romana nell'area di piazza Vittorio, mi sono posto la questione - interessandone il superiore ministero nella persona del direttore generale Roberto Cecchi - di quali potessero essere i doveri e i limiti dell'azione di un sovrintendente chiamato a valutare e a decidere fino a che punto fosse tollerabile l'intervento in atto con gli scavi. Prescindendo dall'esproprio delle piazze in quanto tali, una volta intervenuti con nuove pavimentazioni e varchi d'accesso ai locali sotterranei, resta il difficile problema di quale visibilità, ovvero di quale resistenza storica, concedere al primitivo insediamento di cui restano (o restavano) così vistose testimonianze.
Apprendo che la decisione - di autorizzare la demolizione dei reperti - sarebbe stata assunta, non so quanto ritualmente, non dalla sovrintendenza, ma, quasi per avocazione della pratica, dal ministero stesso, nei suoi uffici centrali. Chiaro segnale di una volontà di «soluzione politica» di una problema che dovrebbe essere squisitamente tecnico. Dovrebbe essere chiaro, a lei come a me, che il sovrintendente, come pure il ministero, non dispone di poteri arbitrari e discrezionali che contraddicano la legge. La quale esclude che testimonianze rilevanti come quelle riemerse siano cancellate pur preservandone una amplissima memoria documentale e fotografica.
Nessun sovrintendente può disporre la demolizione di un reperto antico spazzandolo via per lasciare spazio al cinico vuoto di ospizi per automobili. Può soltanto disporre che quei reperti, consolidati, siano integrati al progetto finale oppure nuovamente occultati nella prospettiva di poterli, in una fase successiva, preservare meglio. Ma nessuno di noi, né da una sovrintendenza né da un ministero, può disporre una così vasta demolizione cui assistono, impotenti, i cittadini di Torino.
Oltre al profilo deontologico esiste una responsabilità etica di fronte al potere che ci impone la difesa della memoria e della storia, compensando la vocazione all'oblio e il cupio dissolvi di amministratori il cui obiettivo sembra essere soltanto il contingente e la cui visione è scevra di ogni prospettiva storica. Un sindaco può pensare di incontrare forse il favore dei cittadini, predisponendo parcheggi -in «una città che non sta mai ferma» - ma un sovrintendente che non deve rispondere agli elettori, deve pensare in una prospettiva storica, deve difendere la memoria dei morti e delle epoche lontane, vive nella prospettiva dell'eternità.
Fra questi diversi interessi, spesso, sindaci e sovrintendenti entrano in contrasto, ma l'equilibrio tra i due poteri che rappresentano i più alti valori dello Stato, e le più vicine necessità dei cittadini, deve garantire una soluzione che non danneggi né i vivi né i morti, né il presente - le cui esigenze sono spesso sopravvalutate - né il passato - il cui significato viene spesso sottovalutato. Per questo, gentile sovrintendente, mi chiedo quale urgenza o prevalenza di interessi l'abbiano indotta a consentire o a condividere che testimonianze tanto importanti - e la cui scoperta e sussistenza sono state seguite con apprensione da molte persone sensibili e sconcertate - fossero cancellate. E temo e credo, come ho detto, che non rientrasse nei suoi poteri, neppure quando essi fossero stati interpretati da altri (dal ministero), autorizzare la demolizione delle testimonianze romane. Così come non appare legittimo cancellare quelle più tarde, rientranti nelle competenze della sovrintendenza sorella, ai beni architettonici. Devo dunque credere che i principi di conoscenza e di conservazione ai quali dovrebbe ispirarsi, non interpretando, ma facendo rispettare la legge, un sovrintendente, trovino in lei un'accoglienza così poco rispettosa? O posso, invece, chiederle di intervenire per fermare la distruzione e preservare quello che resta ancora visibile? E' il mio augurio, e, credo, anche quello di molti cittadini torinesi.
Vittorio Sgarbi