Su piazza Vittorio e piazza San Carlo le scelte sono state sempre collegiali
da La Stampa del 20.04.2005
20 April, 2005
<b>di Marina Sapelli Ragni</b>
GENTILE Onorevole
Sgarbi, La ringrazio per l'occasione offertami dal Suo articolo apparso sulla Stampa di domenica 17 aprile, in cui ha sollevato importanti questioni, per tornare sulle scelte adottate in merito ai lavori di Piazza Vittorio e Piazza San Carlo, sulle quali per altro c'è stato un ampio dibattito in ambiti di discussione pubblica con una certa eco sulla stampa cittadina.
Sui cantieri in questione le decisioni sono maturate in un rapporto di quotidiana discussione e confronto realmente collegiale instaurato con la Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio del Piemonte, il Direttore Regionale per i beni culturali del Piemonte e il Direttore Generale per i beni archeologici presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. La funzione di questo "collegio" è infatti - come ben sa - quella di non lasciare soli i soprintendenti davanti alle loro responsabilità e di confrontare a più vasta scala i singoli casi per assicurare un metro di giudizio omogeneo per tutte le situazioni simili.
Sarebbe infatti molto semplice escludere sempre e comunque qualsiasi asportazione di resti archeologici, ma è proprio la legge ad affidarci la discrezionalità tecnico-scientifica nell'assegnare o no un bene alla categoria dei ritrovamenti di importante interesse.
In base a queste premesse ho affrontato con grande serenità i compiti propri della Soprintendenza, che non si è affatto sottratta a una valutazione sui resti emersi nelle due piazze, ma anzi ha cercato di prescindere da ogni condizionamento confrontando la natura, la qualità e il grado di conservazione delle strutture, il loro significato storico nell'ambito del territorio di appartenenza e le possibilità di conservare in vista per la fruibilità pubblica le strutture ritrovate. Per rimanere al caso del settore di insediamento rustico di età romana di piazza Vittorio, si è tenuto conto del fatto che le murature residue appartenevano a una sola manica di un più vasto e già in gran parte perduto impianto di tipo agricolo, non diverso da tanti insediamenti simili scoperti in Piemonte, e che le strutture non conservavano più traccia né degli elevati, né dei piani pavimentali ed erano quindi ridotte alle sole fondazioni, peraltro in stato conservativo precario, tale da impedire sia ogni ipotesi di creazione di un'area archeologica a cielo aperto, sia una sistemazione sotto la piazza compatibile con la quota molto superficiale delle strutture stesse.
Le Soprintendenze hanno avviato quindi ripetuti incontri con i responsabili degli Uffici Tecnici del Comune per approfondire ogni aspetto del problema. Si è ulteriormente richiesta una consulenza storico-urbanistica ad illustri docenti universitari del Politecnico di Torino e soltanto dopo un intenso lavoro di confronto è stata avviata la procedura prevista dal nuovo Codice dei Beni Culturali: le relazioni delle due Soprintendenze competenti, con corredo di tutta la documentazione grafica e fotografica, sono state inviate, attraverso la Direzione Regionale, al Direttore Generale per i Beni Archeologici, che ha espresso parere definitivo dopo approfondita valutazione.
L'iter procedurale così articolato, nelle continue fasi di controllo delle Soprintendenze e degli Uffici Tecnici comunali ha permesso di giungere alla scelta di conservare testimonianza dei manufatti attraverso le tracce a pavimento delle strutture emerse e l'allestimento sul luogo di una documentazione in grado di offrire alla cittadinanza una possibilità di lettura della stratificazione storica della città e delle sue trasformazioni.
Soprintendente ai beni archeologici del Piemonte