LETTI PER VOI - Prati e campi soffiano CO2. E’ colpa dell’effetto serra
Sconvolto un meccanismo naturale: milioni di tonnellate nell’aria - da La Stampa del 09.09.2005
09 September, 2005
<b>Gabriele Beccaria</b>
In un arcadico paesaggio inglese un sensore da poche sterline conficcato nel suolo ha sconvolto un intero edificio di certezze: l’effetto serra riscalda prati selvaggi e campi coltivati e le bollenti distese verdi si vendicano producendo sempre più anidride carbonica, che, liberata nell’atmosfera in quantità crescenti, non smette di accelerare il riscaldamento del Pianeta. Se l’uomo ha premuto l’interruttore del disastro, adesso la natura prosegue da sola, scatenando una classica reazione a catena che tende alla catastrofe. E così tutti i calcoli, dalle singole particelle di CO2 fino alle simulazioni globali del Protocollo di Kyoto, si frantumano in un inatteso e sconcertante caos. Chi pensava di riuscire a domare la febbre della Terra si è sbagliato di grosso.
«E’ un fenomeno più spaventoso del previsto e la conseguenza è che si deve agire subito: di sicuro l’effetto serra è destinato ad aumentare». I calcoli di Guy Kirk, scienziato della Cranfield University, sono terrificanti, amplificati dalla sistematicità. Il suo team ha controllato una rete capillare di 6 mila siti sparsi nelle campagne dell’Inghilterra e del Galles per 25 anni (dal ‘78 al 2003) ed è arrivato a questa conclusione, raccontata in un articolo su «Nature»: in un quarto di secolo, ogni anno, si sono diffuse nell’aria 13 milioni di tonnellate di anidride carbonica, vanificando la riduzione delle emissioni che la Gran Bretagna è riuscita con fatica a realizzare tra il ‘90 e il 2002. Le particelle velenose si sono moltiplicate e all’insaputa di scienziati e politici.
Un controllo tanto esteso è unico al mondo. Battezzato «National soil inventory», non lascia dubbi. I campioni sono stati verificati e riverificati e le aree analizzate sono state cambiate periodicamente. Uguale filosofia per i test sulla chimica dei suoli, dal momento che si trattava sia di boschi sia di zone coltivate. Ma l’esito è stato sempre il medesimo, monotono e terribile. Le temperature in aumento (oltre mezzo grado in 25 anni) hanno incrementato il ritmo di lavoro di milioni e miliardi di microbi: sono diventati sempre più veloci nei processi di mineralizzazione con i quali trasformano il carbone organico, intrappolato nei terreni, in CO2, che invece viene espulsa. Mentre una piccola quantità si disperde nei livelli profondi e dosi minimali si disciolgono nelle acque, la parte più consistente «entra in circolo», inquinando i cicli atmosferici e, quindi, contribuendo ad appesantire quello scudo che impedisce ai raggi solari di rimbalzare conosciuto come effetto serra.
«Basavamo le nostre valutazioni sul fatto che terreni e foreste avessero una strategica funzione “pulitrice”, aggredendo le emissioni e assorbendone una parte significativa, maggiore di quella che rilasciano naturalmente. Ora, invece, il quadro cambia», dice Kirk, sottolineando quanto essenziale sia per la vita sulla Terra questa spugna: i terreni in tutto il mondo, infatti, conservano almeno 300 volte la quantità di gas liberata ogni anno dai combustibili fossili. «I dati elaborati ai computer rivelano che in Gran Bretagna è in atto una progressiva alterazione dei processi di assorbimento e di emissione»: entro un periodo limitato, 10-50 anni, il sistema può ribaltarsi e il respiro delle terre diventare mortale. «E’ chiaro che così perdono di valore i successi tecnologici del nostro Paese nei tagli ai gas serra».
Lo scenario - ammette Kirk - si deve applicare su vasta scala, ma per fortuna non è universale. Oltre che in Gran Bretagna, funziona nelle altre zone del Nord del Pianeta dove i suoli sono ricchi di carbone e, quindi, con caratteristiche diverse da quelli mediterranei. Decisamente meno ricchi di sostanze organiche, sono ancora estranei a possibili stravolgimenti di ruolo. A patto - è il monito - di abbassare finalmente la febbre della Terra.