Salva Ilva costituzionale. La risposta delle associazioni: «Taranto non abbassa la testa»
Taranto non abbassa la testa nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale. La magistratura continua a rimanere il nostro punto di riferimento e la nostra ancora di salvezza. Questa la risposta di Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera, rispettivamente Presidente di PeaceLink e del Fondo Antidiossina Taranto. «Il 14 aprile andremo a votare sì al referendum»
10 April, 2013
Nessuno scoraggiamento, vinceremo comunque, anche senza la Corte Costituzionale. Il procedimento penale della Procura va comunque avanti per accertare tutte le responsabilità del disastro ambientale. Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città da scarificare.
La decisione della Corte Costituzionale non riporterà in vita un'azienda che è ormai in uno stato di crisi irreversibile. Basti pensare che non ha neppure definito il piano industriale degli investimenti per l'AIA. L'azienda - come dimostrano svariate analisi economiche - non ha le risorse per rinascere ed è ormai alle corde. Quindi la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva l'Ilva perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente l'AIA.
Sappiamo che la Corte Costituzionale è composta da 15 membri. Cinque giudici sono nominati dal Parlamento, cinque dal Presidente della Repubblica e cinque dalle supreme magistrature. Era ipotizzabile che vi potesse essere una conclusione di questo tipo. Ciò nonostante andava percorsa questa strada. Era un obbligo morale. Nulla doveva rimanere intentato.
Il pronunciamento della Corte Costituzionale è doloroso per noi.
Ciò nonostante, l'Ilva chiuderà per le seguenti ragioni:
1) dovrà affrontare il problema immenso delle bonifiche dei terreni e della falda acquifera;
2) dovrà attuare l'AIA e non ha presentato un piano industriale;
3) dovrà affrontare le richieste di risarcimento di tanti cittadini;
4) dovrà affrontare problemi enormi di mercato (concorrenza estera) e di accesso al credito.
A nostro parere l'azienda non potrà reggere la pressione contemporanea di questi quattro fattori. Occorre preparare un'alternativa prima del collasso finale.
Il 14 aprile andremo a votare sì al referendum e dimostreremo che la maggioranza dei tarantini non vuole più vivere nel terrore di ammalarsi e vuole un futuro diverso. Anche la Corte Costituzionale ha "salvato" la legge, il futuro è nero per i lavoratori, che non andranno mai in pensione con questa azienda. Per loro va preparata un'alternativa prima che sia troppo tardi. E vanno avviate le bonifiche impegnando l'azienda a concorrere al risanamento ambientale prima del fallimento, come è avvenuto per la Caffaro di Brescia, lasciando il territorio nello stato attuale. Chi si concentra sull'immediato non riesce a vedere questa prospettiva. Taranto morirà se non si avviano le bonifiche.
Sappiamo che nel quartiere Tamburi vi è un inquinamento da piombo ed è necessaria la bonifica, sappiamo che nel sangue dei bambini c'è piombo e va avviato un controllo sulla valutazione dei danni sanitari del piombo, i pascoli e il mare sono intrisi di diossina che pregiudicano l'allevamento e la mitilicoltura. Di fronte a tutto questo la magistratura continua a rimanere il nostro punto di riferimento e la nostra ancora di salvezza.