Ilva, decreto su commissario a tempo. Cosa succede alla produzione
Continuare a produrre acciaio attuando le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Dopo l'ipotesi della cordata, il Ministro dello Sviluppo Economico Zanonato, ha confermato il commissariamento temporaneo dell'Ilva (36 mesi). Previsto un comitato di 5 esperti. Le note sulla produzione. Il punto delle associazioni ambientaliste
04 June, 2013
Il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, questa mattina nell'Aula della Camera dei Deputati per riferire sul caso Ilva, ha dichiarato: «La decisione è di convocare oggi il Consiglio dei Ministri per un decreto che preveda un commissariamento temporaneo dell'Ilva, in modo da consentire di gestire l'azienda al fine di attuare attuando l'Aurorizzazione Integrata Ambientale». Dunque il Consiglio dei Ministri straordinario si riunirà oggi pomeriggio alle 15, con l’Ilva come unico punto all’ordine del giorno. Ieri il Gip Todisco aveva concesso l’uso degli impianti sotto sequestro.
«Il risanamento – ha scandito Zanonato - non può essere condotto con la convinzione da chi ha determinato l'allarme ambientale di stiamo discutendo e che mette a rischio tante persone. Da qui l'idea di ricorrere a un commissario a tempo». Si parla di 36 mesi in una delle prime bozze del decreto per risanare e bonificare l'area salvaguardando la produzione. Anche Nichi Vendola presidente della Regione Puglia e il garante Vitaliano Esposito aveva auspicato questo tipo di soluzione.
Ieri il ministro dell'Ambiente Orlando invece aveva ipotizzato il conferimento dell'azienda a un terzo soggetto avendo lo stesso obiettivo cioè la produzione e le bonifiche. Contrario al commissariamento perchè poco funzionale “L'intervento necessario – aveva detto - deve essere di ampio respiro e il commissario ad acta ha invece compiti circoscritti”. Ma questa posizione sembra ripiegare su una via più morbida, cioè l’introduzione di un comitato formato da cinque esperti, che possa fornire indirizzi e pareri sulle modalità di attuazione dell’Aia.
Note economiche negative sulla produzione. La chiusura dell’ottavo gruppo industriale del mondo - ha ricordato Zanonato - comporta un danno all’Italia di 8 miliardi di euro l'anno (6 come mancata crescita delle importazioni e 1,2 come mancato sostegno al reddito per il territorio jonico. Riguardo alla produzione delle 8 milioni di tonnellate di acciaio prodotte in un anno dall’Ilva di Taranto, circa 5 servono per soddisfare il mercato italiano, il rimanente invece è indirizzato a quello europeo.
Per Legambiente l'unica strada percorribile per tenere insieme a Taranto il diritto alla salute, al lavoro, all'ambiente è applicare la Legge 231/2012, la cosiddetta "Salva Ilva". A partire dalla irrogazione delle sanzioni previste a fronte delle inadempienze già registrate, senza concedere proroga alcuna.
Le associazioni PeaceLink e Fondo Antidiossina ritengono «improrogabile il fermo di quegli impianti inquinanti in cui si sono verificate le gravi infrazioni alle prescrizioni dell'Autorizzazione Integrata Ambientale, così come prevede la normativa in merito e ritengono che il loro funzionamento provocherebbe ulteriori gravi danni alla salute e all'ambiente».
PeaceLink e Fondo Antidiossina sottolineano «che alla questione AIA é strettamente collegato il problema delle bonifiche e dell'accertamento delle responsabilità dell'inquinamento. Risulterà fondamentale, pertanto, il ruolo della Provincia di Taranto incaricata di attuare le necessarie verifiche sul principio della responsabilità del "chi inquina paga", sancito dalle norme di diritto europeo in materia di ambiente ed inquinamento», in particolare si fa rifermento al «al testo dell'istruttoria completa della Provincia, documento che sarebbe dovuto servire per la individuazione del o dei soggetti che hanno inquinato i quartieri limitrofi all'ILVA come il quartiere Tamburi, con sostanze quali piombo, berillio, PCB, antimonio, IPA, diossina ed altri».
«E' fondamentale accertare il prima possibile di chi sia la responsabilità dell'inquinamento, visto che ad oggi non sembra sia stata presa alcuna misura atta a mettere in atto la bonifica delle zone compromesse a spese del soggetto inquinatore. Per tale ragione le associazioni sollecitano il Ministero dell'Ambiente a verificare al più presto chi ha inquinato il quartiere Tamburi di Taranto e a verificare il ruolo svolto in merito dalla Provincia di Taranto. PeaceLink e Fondo Antidiossina sono in contatto con la Commissione ed il Parlamento Europeo e hanno messo a disposizione tutte le informazioni circa eventuali inadempienze del caso».