Associazione Cascine Milano: intervista al Presidente
Umberto Zandrini fa il punto con ECO sul recupero del patrimonio rurale milanese, la realtà delle 60 cascine pubbliche del Comune di Milano e i primi due bandi in scadenza a febbraio. Un progetto che va oltre Expo 2015 e si propone di fare riemergere e convivere con la città, il suo importante passato di territorio agricolo
06 January, 2014
Intervistiamo Umberto Zandrini, Presidente dell'Associazione Cascine Milano, che nel 2013 ha preso il posto del precedente Comitato per la Fondazione Cascine Milano 2015, con l'intento di aumentare il ruolo di animatore e promotore del territorio agricolo milanese. L'Associazione Cascine Milano, inoltre, ha seguito da vicino la promulgazione dei due primi due bandi del Comune per il progetto di recupero di 16 delle 60 cascine pubbliche milanesi: la cascina San Bernardo (sud-est, vicina l'Abbazia di Chiaravalle) e alcune porzioni di cascina Monluè (zona tangenziale-est, via Mecenate). La scadenza è il 20 febbraio 2014.
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L'Associazione Cascine Milano organizza poi da tempo l'evento "Cascine Aperte", una "due giorni" dedicata al patrimonio rurale e culturale delle cascine di Milano e dintorni, organizzata insieme al DAM, Distretto Agricolo Milanese, a Coldiretti e con il contributo di attuali titolari e gestori delle cascine pubbliche e private: agricoltori, associazioni e cooperative.
Presidente Zandrini, com'è nata l'Associazione Cascine Milano e quali sono i vostri obbiettivi a lungo termine?
L'Associazione è nata sullo stimolo di vari operatori milanesi che hanno intuito da tempo la portata del patrimonio pubblico delle 60 cascine di proprietà del Comune di Milano e la necessità di preservarlo e svilupparlo. E' stato un progetto spontaneo, sollecitato da alcuni interlocutori importanti e già esistenti: il Consorzio SIR (di cui sono presidente), Coldiretti Lombardia, il Politecnico, l'Editoriale Vita, altre associazioni, cooperative e consorzi.
La prima idea è datata fine 2009 e partì con una mappatura ragionata, attuata insieme al Politecnico, di 56 cascine, poi diventate 62 (vedi sito Agricity), tutte di proprietà pubblica del Comune di Milano. Alcune erano già funzionanti da anni, altre molto ammalorate e difficili da recuperare, una quindicina si prestava invece ad un nuovo progetto di recupero.
Associazione Cascine Milano si è posta quindi l'obiettivo di questo recupero, che non fosse solo architettonico ma anche funzionale, seguendo temi importanti per Milano e il suo hinterland come l'abitare, la cultura, l'architettura, la campagna dentro la città, gli orti urbani e comunitari, l'educazione alimentare.
Com'è avvenuta la partecipazione del Comune?
Con i famosi bandi emessi per il recupero. Il primo bando è stato nel 2011, con la cascina Molino San Gregorio dentro il Parco Lambro. Nel 2013 sono state messe a bando altre 2 cascine, la San Bernardo, dentro la valle dei Monaci (Parco della Vettabbia) e alcune porzioni della cascina Monluè, sempre a sud di Milano, in zona via Mecenate. Prima ancora abbiamo aiutato il Comune nella procedura di manifestazione d'interesse, fatta per ascoltare idee e proposte di associazioni e cittadini che potevano essere interessati al recupero delle cascine milanesi, procedura che si è conclusa positivamente, con quasi 80 progetti presentati. Dalla manifestazione d'interesse sono nati i due bandi definitivi, ora aspettiamo anche gli altri.
Come sono questi bandi, possono presentare davvero una buona prospettiva per potenziali nuovi agricoltori urbani?
Ci sono due aspetti importanti da considerare. Il primo è che parliamo di strutture vincolate dalla Sovrintendenza, quindi ci sono delle rigidità nelle azioni di recupero architettonico, dovute al valore del patrimonio: insomma si tratta di investimenti onerosi. Ad esempio per Molino San Gregorio che è una struttura di 1200 mq di superficie, l'investimento medio per il recupero strutturale è di circa 2 milioni di euro. Ne consegue che i costi di recupero strutturale possono essere difficili da coprire senza un'attività funzionale positiva, una componente commerciale che permetta di sostenere i costi di recupero. Ci vogliono alleanze ampie tra soggetti non profit e profit, capaci di sostenere nel tempo le attività. Il Comune ha deciso però di concedere diritti di superficie lunghi, 90 anni in questi 2 primi bandi. Quindi i tempi per il recupero dell'investimento ci sono.
Vedendo i bandi, quali sono i soggetti che possono essere più interessati?
Chi sta rispondendo di più sono soggetti no-profit, cooperative sociali, associazioni legate all'agricoltura, alla promozione culturale, che cercano alleanze con partner come aziende della ristorazione. Bisogna però diffondere il messaggio che questo recupero sarà una cosa positiva per il futuro di tutta Milano. E' poi vero che si sta registrando una passione di ritorno dei giovani sulle attività agricole e questa è un'occasione milanese per incentivare queste possibilità di rigenerare attività agricole e alimentari del nostro territorio.
Come entra Expo in questo recupero del patrimonio rurale milanese?
Expo sta facendo un grosso investimento, ma al momento solo su Cascina Triulza, che è stata acquisita dalla società Expo e si trova dentro il perimetro dell'esposizione universale. Il progetto è farla diventare un centro di economia civile, con enti no-profit, associazioni, Ong, che si ritroveranno là per animare Expo come operatori sociali. Fuori dal sito al momento Expo non sta investendo, forse ha addirittura dei vincoli statutari che glielo impediscono. Comunque Expo per noi può essere un ottimo vettore e noi ci siamo agganciati al discorso, ma il tema "recupero patrimonio rurale" è qualcosa che va oltre Expo.
Ma ci sono solo queste 60 cascine pubbliche intorno a Milano?
No, ce ne sono tante altre private e noi crediamo che occorra un'alleanza strategica con loro, mi viene in mente Cascina Gaggioli verso viale Ripamonti. Va stretto un rapporto più forte tra chi fa agricoltura urbana dentro la città e l'area periurbana del Parco Agricolo Sud. Un obbiettivo è invitare queste cascine private dedite all'agricoltura ad iniziare colture diverse da quelle intensive che attualmente fanno, come grano e colza; cercare di produrre ortaggi o frutta immediatamente consumabili a km 0. Le cascine potrebbero poi soddisfare anche il forte bisogno abitativo che ha adesso Milano, ad esempio con l'housing sociale. L'intera zona sud contiene patrimoni abitativi che possono essere sfruttati.
Direi che non c'è mai stata così tanta attenzione su tema delle Cascine a Milano?
Sì, perché oggi ci sono in effetti dei soggetti privati importanti che guardano con interesse a questa possibilità. Siamo riusciti a fare comprendere che Milano ha dei dintorni agricoli e storici davvero speciali. Se pensiamo alla zona sud e alla Valle dei Monaci - la tratta compresa tra Piazzale Corvetto e l’Abbazia di Chiaravalle con il suo Borgo, all’interno dell’ “ambito vallivo di Roggia Vettabbia” – rappresenta davvero sia un pezzo di storia della spiritualità che di campagna dentro la città, a poca distanza dalle fermate della M3 Gialla. Stesso discorso per le Cascine dentro il Parco Lambro, dove su 5 ben 4 hanno una destinazione sociale importante. Una è gestita dal Consorzio SIR, di cui sono presidente, e si occupa di soggetti fragili: è Cascina Biblioteca, noi siamo gestori da tanti anni, con progetti aperti alla comunità, ai disabili, ma anche alle famiglie, al territorio. Insomma, bisogna iniziare a pensare a tutto questo come "sistema".
Appuntamento a dopo il 20 febbraio allora, sperando in un'alta partecipazione per i 2 bandi relativi a Cascina San Bernardo e Cascina Monluè.
Milano, 23 dicembre 2013
di Stefano D'Adda