Ritirata senza gloria. L'editoriale del Corriere sulla vicenda "Via d'Acqua"
"Una retromarcia che molti hanno letto come una calata di braghe di fronte a un pugno di contestatori. Per noi non è così: la rinuncia al canale è un atto dovuto per gli errori commessi". L'editoriale di Giangiacomo Schiavi - da CORRIERE.IT del 27.02.2014
27 February, 2014
di Giangiacomo Schiavi
La suggestione di un canale navigabile dalla Darsena all’Expo aveva un innegabile fascino. Ma adesso che con la Via d’acqua è naufragata un po’ dell’immagine di Milano si può dire, come si fa con certi disastri annunciati, che si poteva evitare. Non si cala dall’alto un intervento invasivo che modifica terreni e paesaggi senza valutarne l’impatto con i diretti interessati, cioè i cittadini. Tanto più che non stiamo parlando di un’opera di pubblica necessità, ma di un canalone di cemento dal valore scenografico per l’Expo, ideale per le rane e inadatto alle barche, la cui funzione irrigua, sicuramente importante, poteva essere mantenuta con qualche saggio ritocco.
Dietro questa ritirata senza gloria c’è una sconfitta politica e di metodo. Politica, in quanto è mancata la capacità di gestire il dissenso attraverso una cabina di regia: i comitati, con Italia Nostra in testa, chiedevano una modifica del percorso nel rispetto dei parchi e dell’ambiente sollevando eccezioni pratiche, di buon senso ed economiche che non sono state comprese. Di metodo, perché davanti ai pareri negativi del Consiglio superiore dei lavori pubblici e delle sovrintendenze nessuno si è preso la briga di valutare per tempo la legittimità tecnica del tracciato, lasciando crescere il fronte della contestazione al quale si sono via via aggiunti i vari tupamaros del fronte no Tav.
La giunta Pisapia ha peccato di sufficienza lasciando correre l’appalto e dilatando i tempi della mediazione, arrivata troppo tardi. Stretta tra le sollecitazioni per avviare il cantiere e il fuoco amico della sinistra interna, ha cavalcato il decisionismo della necessità: la Via d’acqua si deve fare così, ogni modifica ne pregiudica la realizzazione e la fine dei lavori, è stato ripetuto per mesi ai comitati dialoganti, ignorando che distruggere i tracciati dei fontanili storici del parco di Trenno e delle Cave con un’opera invasiva era un’operazione sbagliata. E dimenticando che il parco delle Cave, quasi vent’anni fa, è stato il simbolo di un riscatto per Milano, la vittoria dei cittadini onesti e delle istituzioni contro lo spaccio, la droga, la prostituzione e l’illegalità, che ne pregiudicavano l’utilizzo.
Il cortocircuito è arrivato con l’imbarbarimento della protesta, l’arrivo dei picchetti, i vandalismi e i sabotaggi: il canale di Expo rischiava di diventare un’altra val di Susa, con i poliziotti a far la scorta al cantiere. Una retromarcia che molti hanno letto come una calata di braghe di fronte a un pugno di contestatori. Per noi non è così: la rinuncia al canale è un atto dovuto per gli errori commessi. Per la poca trasparenza, per il mancato consenso, per i costi esagerati del cantiere (quasi cento milioni), per l’appalto a Infrastrutture lombarde, per i ritardi del passato, che non si possono addossare all’attuale gestione di Expo. Purtroppo Milano ne pagherà i danni. Per la sceneggiata sulle Vie d’acqua non ci sarà il rimborso del biglietto.