Impronta idrica e comparto ortofrutticolo: una filiera più sostenibile passa attraverso la scelta dell’imballaggio giusto
Bestack, consorzio non profit dei produttori di imballaggi in cartone ondulato per ortofrutta, ha promosso due studi universitari che dimostrano, insieme, come consumare frutta e verdura conservate negli imballaggi in cartone ondulato sia la scelta più virtuosa per minimizzare gli sprechi e ridurre la cosiddetta “Water Footprint” delle nostre abitudini alimentari
18 March, 2014
“Water Footprint”, ovvero impronta idrica. E’ una delle variabili che definiscono l’LCA dei beni che consumiamo e produciamo, cioè il modo in cui essi interagiscono con l’ambiente circostante lasciando appunto una traccia. Normalmente si è abituati a parlare di sostenibilità ambientale in termine di emissioni di CO2: se da un lato cresce l’allarme sul futuro del pianeta per effetto del riscaldamento globale e dell’inquinamento, dall’altro, oggi, l’utilizzo sempre più intensivo di acqua nei processi produttivi sta diventando la nuova emergenza. La filiera agroalimentare, in particolare, è quella che risulta pesare di più sull’equilibrio del pianeta, in quanto questo settore - soprattutto per quanto riguarda la produzione di carne e derivati – comporta un ingente consumo di acqua dolce.
Le scelte alimentari sono quindi un fattore decisivo nella definizione della Water Footprint: l’impronta idrica di un vegetariano corrisponde a 1.500/2.600 litri di acqua al giorno, contro i 3.000/5.000 litri di una persona con un’alimentazione a base di carne (fonte: studio Barilla Center for Food & Nutrition). Il motivo di questa disparità è che la filiera della carne e dei derivati richiede una quantità maggiore di acqua, soprattutto per produrre foraggio. È quindi molto più vantaggioso, dal punto di vista delle risorse idriche, mangiare frutta e verdura. Se poi l’imballaggio che le conserva è in cartone ondulato - materiale naturale al 100%, rinnovabile e riciclabile - ecco allora che il vantaggio in termini di sostenibilità ambientale è doppio: si consuma un alimento a minore impatto idrico rispetto ai cibi di origine animale, e allo stesso tempo si riducono gli sprechi - altra misura che le organizzazioni internazionali indicano come fondamentale nella minimizzazione della Water Footprint - perchè il cartone ondulato per sua stessa natura favorisce la shelf life dei prodotti ortofrutticoli.
A darne evidenza è BESTACK, consorzio non profit di ricerca che riunisce a livello nazionale i produttori di imballaggi in cartone ondulato per ortofrutta, che di recente ha promosso uno studio universitario che indaga l’interazione fra imballaggio e prodotto contenuto per vedere quali soluzioni consentono di avere la migliore shelf life di frutta e verdura e mantenere elevati standard di igiene e sicurezza. Lo studio, condotto dall’Università di Bologna-Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, ha messo il luce che il grado di conservabilità dei prodotti ortofrutticoli è superiore del 20% se essi sono contenuti in imballaggi in cartone ondulato piuttosto che in altri tipi di packaging: il che significa che il prodotto è più buono e c’è più tempo per consumarlo, e di conseguenza ci sono meno possibilità che esso finisca nella spazzatura.
Gli imballaggi in cartone ondulato certificati Bestack sono quindi amici dell’ambiente e aiutano a ridurre gli sprechi alimentari nel settore ortofrutticolo: ma quanto pesa, in termini di Water Footprint, questo comparto produttivo? Uno studio di Assocarta ha misurato l’impronta idrica delle aziende italiane che producono cartone ondulato e ha messo in luce che dagli anni Settanta ad oggi questa si è ridotta dei tre quarti. Un ulteriore studio promosso da Bestack e condotto dal Politecnico di Milano è andato a misurare, nello specifico, la Water Footprint del comparto italiano del cartone ondulato per ortofrutta.
Dallo studio è emerso che per produrre un imballaggio si consumano 8 litri di acqua: questa è l’impronta idrica rilasciata dal processo di trasformazione da cartone ondulato in fogli a cassa. Un dato marginale, se si considera quanto pesa l’impronta idrica che ogni individuo ha quotidianamente sul pianeta solo mangiando, vestendosi e lavandosi: basti pensare che solo facendo una doccia di 5 minuti si sono già consumati dai 75 ai 90 litri di acqua. Scendendo nello specifico, la Water Footprint di un imballaggio in cartone ondulato per ortofrutta si divide fra diretta e indiretta: quella diretta è appunto quella legata al processo di trasformazione da cartone in fogli a cassa, quella indiretta invece è legata al consumo di acqua dolce per la selvicoltura e la produzione di materia prima vergine (carta). Nel caso del cartone ondulato, l’impatto ambientale va considerato in termini positivi, per le peculiarità stesse di questa filiera: le aziende italiane che producono cartone ondulato, infatti, fanno ricorso a materia prima vergine proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, con piani di reimpianto superiori a quelli di taglio. Inoltre nella definizione di impronta idrica è fondamentale la localizzazione geografica dei punti di captazione della risorsa: nel caso della carta, essa proviene dalle foreste della Scandinavia, un Paese molto ricco dal punto di vista idrogeologico (diverso, in proporzione, sarebbe l’impatto di un bene prodotto in un Paese caratterizzato da scarse riserve di acqua).
Le cassette in cartone ondulato certificate Bestack sono confezioni naturali e riciclabili al 100%, che preservano frutta e verdura dai danneggiamenti che possono subire i prodotti sfusi e che garantiscono una shelf life maggiore rispetto ad altre soluzioni. E soprattutto sono imballaggi rinnovabili: un concetto, quello della rinnovabilità, che quando si parla di sostenibilità ambientale solitamente viene associato all’energia, ma che ha un peso fondamentale anche in relazione alla materia. “Foreste gestite in modo sostenibile” significa che per ogni albero tagliato per produrre la materia prima vergine ne vengono piantati tre. Grazie al cartone ondulato, quindi, crescono le foreste.
“Scegliere prodotti che hanno un impatto ambientale in generale, e idrico in particolare, più contenuto è il primo atteggiamento virtuoso da adottare per andare verso consumi alimentari più consapevoli e sostenibili - dichiara il direttore di Bestack, Claudio Dall’Agata - Una filiera ortofrutticola più sostenibile è quella dove innanzitutto ci sono meno sprechi alimentari: in questo il ruolo dell’imballaggio è fondamentale. E’ importante scegliere una confezione che consenta di mantenere frutta e verdura nelle condizioni ottimali, al fine di evitare che esse diventino spazzatura. Una cassetta di cartone ondulato in più costa solo 8 litri di acqua. Una mela buttata perchè ammaccata 125 litri, una pesca ammuffita 140 litri”.
Water Footprint: i numeri del quotidiano in pillola
Sebbene oggi ancora in pochi utilizzino questo indicatore per definire l’LCA dei beni che produciamo e consumiamo, un’analisi dell’impronta idrica che ogni individuo ha quotidianamente ci rivela numeri eclatanti: in media ogni anno esauriamo indirettamente, solamente mangiando, vestendoci e comprando merce, 1385 metri cubi d’acqua, l’equivalente di 8650 vasche da bagno piene: in Italia l’impronta media individuale raggiunge valori ancora più alti, è di 2.303 metri cubi annui (fonte WWF).
Andando nel dettaglio con qualche esempio: quando mangiamo un uovo consumiamo 200 litri d'acqua, per un chilo di pasta i litri diventano 1.924. E se per pranzo ordiniamo un hamburger da 150 grammi, dobbiamo sapere che è “costato” 2.400 litri. E' tutta l'acqua servita per far crescere la gallina, per coltivare il grano, il foraggio, per sfamare e dissetare un manzo.
Nel 2009 per approfondire gli studi sul tema e trovare soluzioni alla crescente emergenza idrica globale è nata un’organizzazione internazionale, la Water Footprint Network, con l’obiettivo di collegare in modo strutturale privati, enti pubblici non governativi, sviluppatori di strumenti e standard per il water management, governi e Nazioni Unite.