Ecco il testo della richiesta di rinvio a giudizio contro l'Ilva e i suoi presunti complici
Il testo dell'informazione di garanzia e avviso conclusione delle indagini preliminari del 29 ottobre 2013 che sta alla base della richiesta di rinvio a giudizio emessa dalla Procura di Taranto contro la famiglia Riva, i vertici dell’Ilva, il Presidente e l’assessore all’Ambiente e funzionari direttivi della Provincia di Taranto
18 March, 2014
di Lorenzo Fanoli
In estrema sintesi il quadro di insieme che emerge è:
l’accusa nei confronti della famiglia Riva e dei vertici dell’azienda della responsabilità diretta di una serie di azioni ripetute nel tempo di inquinamento e avvelenamento dell’aria, del suolo e delle acque del territorio Tarantino che costituiscono attentato reiterato alla salute pubblica e di avere messo in atto una sistematica azione di controllo, minaccia, corruzione e sabotaggio delle azioni istituzionali e amministrative finalizzate al controllo e regolamento e contrasto delle attività illegali del’Ilva.
In particolare Archinà – responsabile delle relazioni esterne di Ilva - di essere il principale organizzatore e attore operativo di tale sistema corruttivo e nello specifico di aver direttamente consegnato 10.000 euro a Liberti uno dei periti nominati dalla procura affinchè travisassero i risultati delle analisi relative alla presenza di diossine e pcb nei reperti alimentali e negli ovini abbattuti.
L’accusa ai Periti- consulenti nominati dalla procura di Taranto stessa di corruzione e di falsificazione dei risultati delle analisi sulla presenza di diossine nei reperti alimentari, che portava , tra l’altro, all’abbattimento di 1270 capi ovini, affermando che i dati emersi non erano ascrvibili alle emissioni degli stabilimenti ILVA.
L’accusa ai vertici operativi degli stabilimenti Ilva di non avere adottato le misure di curezza necessarie a evitare la morte di Francesco Zaccaria precipitato da una gru dall’altezza di 60 metri e gli infortuni di Francesco Sasso e Piergiovanni Simeone.
L’accusa nei confronti dei vertici della Provincia di Taranto di aver tentato di costringere il direttore del settore ecologia ad assumere atteggiamento favorevole nei confronti dell’iter autorizzativo per la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali nella Zona Mater Gratie di Taranto.
L’accusa al Sindaco di Taranto Ipazio Stefano di non avere emesso provvedimento contingibile ed urgente al fine di prevenire e di eliminare i gravi pericoli derivanti dalle attività dell’Ilva in Taranto, essendone consapevole di questa situazione avendo sporto denuncia in proposito presso la Procura di Taranto il 25 maggio 2012, sino al 25.07.2012 (data in cui il Sindaco ha emesso tale provvedimento poi contestato dall’ilva mediante ricorso al TAR che ha accolto le posizioni di ILVA dichiarando illeggittimo lo stesso provvedimento. In sostanza il sindaco di Taranto ha in data 25 maggio 2012 denunciato alla procura di Taranto l’ILVA e dopo due mesi (in data 25/7) emesso provvedimento che imponeva all’Ilva di ridurre le attività produttive. L’Ilva ha fatto ricorso contro questo atto del Sindaco e il Tar le ha dato ragione.
I difensori di Ippazio rilevano alcune incongruenze. Innanzitutto il fatto che un sindaco sollecitando mediante denuncia penale la procura ad avviare una indagine debba per forza avere la certezza (e non il sospetto corroborato da elementi più o meno consistenti) della situazione e delle responsabiltà da lui denunciate. Insomma il sindaco Ipazio se fa una denuncia alla procura viene accusato dalla stessa di non emettere provvedimento contingibile, se poi emette tale provvedimento se lo vede dichiarare illegittimo dal TAR.
Infine per quanto riguarda Vendola (in concorso coi vertici dell’Ilva) l'accusa è di aver abusato del suo potere di presidente della Regione per favorire Ilva, mediante minaccia implicita di mancata riconferma del direttore dell’ARPA Puglia Assennato COSTRINGEVA(..sic..) ad ammorbidire la sua posizione nei confronti dell’ILVA in particolare a seguito della nota di ARPA Puglia in data 21.6.2010 che suggeriva l’esigenza di procedere a una rimodulazione e riduzione delle attività produttive di Ilva. Assennato è stato successivamente riconfermato nell’incarico e tantomeno ha ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti dell’ILVA (almeno la procura non dice nulla in merito) e non si hanno evidenze di nessun tipo di provvedimenti, comunicati e altre iniziative ARPA che disconoscessero la sostanza della nota che suggeriva una riduzione della produzione di ILVA.
La " minaccia implicita" di Vendola si sarebbe espressa in una riunione presso la Regione Puglia tra dirigenti e assessori regionali, membri della Famiglia Riva e della direzione Ilva, alla quale Assennato sarebbe stato chiamato quando tale riunione era ancora in corso. Tutti quanti i presenti a quella riunione, in quanto persone informate dei fatti, non hanno confermato le circostanze indicate dalla procura tali da indurre all’esistenza di una minaccia implicita.
E siccome tali interrogati non hanno confermato quanto sostenuto dai PM sono stati accusati di falsa testimonianza. Insomma Vendola è accusato di aver fatto una minaccia mai diventata esplicita, mai messa in opera e senza conseguenze evidenti al fine di evitare la riduzione della produzione di ILVA. Lo stesso Assennato direttore dell’Arpa ha più volte negato di essere stato oggetto di tali minacce e tantomeno di aver mai ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti di ILVA. La Procura, nel suo testo, non cita provvedimenti dovuti che sarebbero stati omessi dalla Regione.