"Burro o cannoni" Una polemica sull'Ilva, e anche sulla Procura di Taranto
Una storia sbagliata molto lontana da Berlino (e dai suoi giudici) di burro e cannoni (di un sindaco assediato da veleni e dilettantismo e di altri generosi)- intervento illustrato di Lorenzo Fanoli per Altramente e per Eco dalle Città
27 March, 2014
Lorenzo Fanoli
QUI SI PARLA DI ILVA e precisamente:
- Perchè la Procura di Taranto sbaglia grossolanamente
- Perchè alcune prese di posizioni “ambientaliste” sono capziose e dilettantesche
- Perchè è così difficile fare la cosa giusta
- Perchè “i buoni” sono assediati
- Perchè solo una politica dei beni comuni potrebbe risolvere la questione
1. Una giustizia levantina
La settimana scorsa mio figlio studente al quinto anno di giurisprudenza mi ha raccontato che il suo professore di procedura penale, Alfredo Gaito, ha fatto studiare la documentazione e assistere alle sedute in Cassazione relative ad alcuni processi istruiti dalla Procura di Taranto come esempi di “come non si devono condurre i procedimenti penali”. Mio figlio da questa esperienza si è fatto un’idea forse non del tutto corretta che lo stile di lavoro di questa procura sia piuttosto “trascurato” e sommario.
Forse non è il caso della vicenda che riguarda l’Ilva ma, più di qualche perplessità emerge leggendo con una certa attenzione l’ultima richiesta di rinvio a giudizio di 52 persone (la famiglia Riva, i vertici dell’Ilva, il Presidente e l’assessore all’Ambiente e funzionari direttivi della Provincia di Taranto, il Presidente, il capo di Gabinetto, l’assessore alle politiche Giovanili , alcuni dirigenti del dipartimento dall’ambiente i vertici dell’Arpa Puglia, alcuni funzionari di Pubblica sicurezza, tre periti nominati dal pubblico ministero per la valutazione dei dati relativi alle cause della presenza di diossina su reperti alimentari nella zona di Taranto,) e scaricabile alla fine della nota che ho fatto su Eco dalle Città
In estrema sintesi il quadro proposto è questo:
- l’accusa nei confronti della famiglia Riva dei vertici dell’azienda della responsabilità diretta di una serie di azioni ripetute nel tempo di inquinamento e avvelenamento dell’aria, del suolo e delle acque del territorio Tarantino che costituiscono attentato reiterato alla salute pubblica e di avere messo in atto una sistematica azione di controllo, minaccia, corruzione e sabotaggio delle azioni istituzionali e amministrative finalizzate al controllo e regolamento e contrasto delle attività illegali del’Ilva.
- In particolare Archinà – responsabile delle relazioni esterne di Ilva - di essere il principale organizzatore è accusato di essere l’attore operativo di tale sistema di pressioni, minacce, corruzioni nello specifico di aver direttamente consegnato 10.000 euro a Liberti uno dei periti nominati dalla procura affinchè travisassero i risultati delle analisi relative alla presenza di diossine e pcb nei reperti alimentali e negli ovini abbattuti.
- L’accusa ai Periti- consulenti nominati dalla procura di Taranto stessa di corruzione e di falsificazione dei risultati delle analisi sulla presenza di diossine nei reperti alimentari, che portava , tra l’altro, all’abbattimento di 1270 capi ovini, affermando che i dati emersi non erano ascrvibili alle emissioni degli stabilimenti ILVA.
- L’accusa ai vertici operativi degli stabilimenti Ilva di non avere adottato le misure di sicurezza necessarie a evitare la morte di Giovanni Marseglia, Francesco Zaccaria precipitato da una gru dall’altezza di 60 metri e gli infortuni di Francesco Sasso e Piergiovanni Simeone.
- L’accusa nei confronti dei vertici della Provincia di Taranto di aver tentato di costringere il direttore del settore ecologia ad assumere atteggiamento favorevole nei confronti dell’iter autorizzativo per la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali nella Zona Mater Gratie di Taranto.
- L’accusa al Sindaco di Taranto Ippazio Stefano di non avere emesso provvedimento contingibile ed urgente al fine di prevenire e di eliminare i gravi pericoli derivanti dalle attività dell’Ilva in Taranto, essendone consapevole di questa situazione avendo sporto denuncia in proposito presso la Procura di Taranto il 25 maggio 2010, sino al 25.07.2012.
Infine per quanto riguarda Vendola (in concorso con altri assessori e funzionari regionali e coi vertici dell’Ilva) di aver abusato del suo potere di presidente della Regione per favorire Ilva mediante minaccia implicita di mancata riconferma del direttore dell’ARPA Puglia Assennato COSTRINGEVA ad ammorbidire la sua posizione nei confronti dell’ILVA in particolare a seguito della nota di ARPA Puglia in data 21.6.2010 che suggeriva l’esigenza di procedere a una rimodulazione e riduzione delle attività produttive di Ilva.
Vendola e il suo staff e altri funzionari della Regione hanno partecipato a due riunioni in cui erano presenti i vertici di Ilva e il direttore di ARPA. In quelle riunioni Vendola avrebbe espresso giudizi minacce e suggerimenti nei confronti di Assennato al fine da indurlo a non usare i dati in suo possesso.
Tuttavia a seguito di quella riunione la procura non è in grado di indicare quali siano stati gli effetti favorevoli ad ILVA e le azioni che tali effetti avrebbero generato messe in opera dall’ARPA Puglia.
Inoltre tutti quanti i presenti a quella riunione, interrogati in qualità di persone informate dei fatti, non hanno confermato le circostanze indicate dalla procura tali da indurre all’esistenza di una minaccia implicita.
E siccome tali interrogati non hanno confermato quanto sostenuto dai PM sono stati accusati di falsa testimonianza.
Assennato è stato successivamente riconfermato nell’incarico e tantomeno ha ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti dell’ILVA (almeno la procura non dice nulla in merito) e non si hanno evidenze di nessun tipo di provvedimenti, comunicati e altre iniziative ARPA che disconoscessero la sostanza della nota che suggeriva una riduzione della produzione di ILVA.
Neanche la Regione Puglia ha modificato la sua condotta. Il vero vulnus che ha impedito che le ingiunzioni andassero a “buon fine” è rappresentato dal cosiddetto decreto salva Ilva emesso dal governo Monti nel 2010 e successivamente dichiarato incostituzionale che derubricava i limiti delle emissioni definiti per legge dalla Regione Puglia facendoli diventare non valori cogenti ma valori obiettivo.
Lo stesso Assennato direttore dell’Arpa ha più volte negato di essere stato oggetto di tali minacce e tantomeno di aver mai ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti di ILVA.
Anzi il 28 settembre 2010 quando Ilva forte del decreto governativo salva Ilva decide non installare le centraline di controllo all’interno dello stabilimento. Assennato dichiara (e poi fa) che le centraline le metterà l’Arpa al di fuori dello stabilimento.
Anche con tutta la buona volontà giustizialista non si capisce quali siano i reati e in quali circostanze siano stati posti in essere dagli amministratori pubblici e dei loro collaboratori. A menochè non si possa immaginare un qualche complotto Vendoliano che attraverso la minaccia implicita ad Assennato riusciva ad ottenere da Berlusconi e Prestigiacomo l’emanazione del Decreto Salva Ilva del 6 agosto 2010.
SE proprio voleva mettere di mezzo Vendola la Procura doveva chiedere il rinvio a giudizio di Berlusconi e Prestigiacomo e, perché no? anche di Napolitano che questo decreto ha firmato.
La situazione di Ippazio Stefano è, se possibile, ancor più paradossale:
Il Sindaco di Taranto:
- Il 25 maggio 2010 presenta un esposto alla procura di Taranto per la grave situazione ambientale determinata dalle attività di ILVA
- riceve il 4 giugno la relazione tecnica da ARPA Puglia che attribuisce a Ilva la responsabilità diretta delle emissioni di diossine e benzopirene che determina il superamento dei limiti di legge della presenza in atmosfrea di questi elementi per tre anni consecutivi.
- Pochi giorni dopo PRECISAMENTE IL 7 GIUGNO il Sindaco ingiunge all’Ilva di prendere le misure necessarie affinchè le emissioni in atmosfera rientrino nei limiti di legge.(la legge è regionale)
- Successivamente Ilva ricorre al TAR
- Il 6 AGOSTO IL GOVERNO emette il decreto salva ILVA dichiarando obiettivi da raggiungere e non prescrizioni da rispettare i limiti di presenza in atmosfera che aveva previsto la legge Regionale.
- IL TAR Puglia a ottobre dichiara illegittima l’ingiunzione del comune di Taranto e ne annulla l’attuazione motivando il suo giudizio richiamandosi al decreto govenativo.
Insomma il povero Ippazio Stefano a Maggio denuncia alla procura l’Ilva, emette l’ingiunzione a inizio giugno imponendo a Ilva misure di riduzione delle emissioni; tale ingiunzione viene disinnescata dal Governo per decreto e la sua ordinanza viene bocciata dal TAR…e come se non bastasse viene rinviato a giudizio per non aver emesso per tempo l’ordinanza richiamando come prova della sua condotta criminale il fatto di avere denunciato alla procura i pericoli dervianti dalle attività industriali di Ilva.
Cioè la procura della Repubblica chiede il rinvio a Giudizio per Stefano Ippazio per gli effetti di una sentenza a lui sfavorevole del TAR che richiama un decreto governativo (anch’esso sfavorevole alle ingiunzioni presentate da Stefano).
Già che c’erano potevano chiedere il rinvio a giudizio del Governo e del TAR direttamente!!
Per certi versi è anche sconfortante il commento che l’associazione ambientalista Alta Marea di Taranto emette a proposito dell’ingiunzione di Stefano.
“Rileviamo tuttavia che il provvedimento del Sindaco, partendo dai medesimi presupposti di urgenza ed indifferibilità, per i quali Altamarea era stata accusata di allarmismo, afferma la necessità di un monitoraggio costante ma non recepisce la necessità di raggiungere l’”obiettivo di qualità” di 1ng/mc avente valore di legge e che comporta l’adozione delle Migliori Tecnologie in assoluto e non delle Migliori Tecnologie Disponibili come invece affermato nella ordinanza del Sindaco (mia evidenziazione).
Ribadiamo che l’ “obiettivo di qualità” rappresenta un valore di legge da raggiungere a qualunque costo, subito.
Altamarea presenterà a breve al Comune di Taranto un articolato documento tecnico per rendere l’ordinanza sindacale non pericolosa per le finanze pubbliche locali, inattaccabile sul fronte giuridico perché richiama una norma nazionale in vigore dal 1999 (già rispettata a Cornigliano e a Piombino) ed efficace nei confronti della gestione degli impianti della cokeria ILVA fino a determinarne la chiusura nel 2010 in conseguenza di mancato rispetto dell’”obiettivo di qualità”.
Altamarea rileva che Stefano è stato lento e che invece di scrivere Migliori Tecnologie in Assoluto ha scritto Migliori tecnologie disponibili. (!!!)
Quanto all’efficacia dell’inattaccabile e articolato documento presentato al comune di Taranto vale la sentenza del Tar Puglia.
Provando a rivedere attraverso il linguaggio dei fatti comprovati, secondo me, emerge che:
a) ILVA e il suo direttore della comunicazione facevano “il bello e cattivo tempo” minacciando, blandendo, corrompendo
b) I funzionari e il potere pubblico, soprattutto in sede governativa, si muovevano in maniera contrastante tra di loro e poco efficace nel ridurre le attività produttive e i rischi per la salute della città
c) I funzionari regionali provinciali e comunali sono stati fatti oggetto di “attenzioni particolari” da parte di Ilva rispondendo in modo apparentemente poco lineare ma non hanno modificato i loro modi di agire e prevalentemente grazie al loro lavoro e alla mobilitazione popolare si è arrivati al commissariamento dell’ ILVA
d) L’unico caso di corruzione evidente riguarda i periti di fiducia scelti dalla Procura di Taranto e, grazie a questa scellerata scelta Ilva, non è stata riconosciuta responsabile della presenza di diossina negli alimenti vicino allo stabilimento e il proprietario dei 1270 capi ovini abbattuti non ha ricevuto alcun risarcimento.
A questo punto credo che il professore della Sapienza di procedura penale abbia più di una ragione di presentare la Procura di Taranto come esempio per i suoi studenti.
Qui comunque una cronologia completa del 2010
Al di là di qualsiasi giudizio di merito sui fatti e sui protagonisti della vicenda, che emergono dalla documentazione legale non si può dire che gli interventi della procura ci aiutino molto a capire gli eventi, il suo significato e, anche la loro portata globale.
Provo modestamente a dare un piccolo contributo.
1. Si tratta di una vicenda assieme paradigmatica e paradossale.
2. Può essere letta come una classica storia di “burro o cannoni”….
3. Ma riguarda in qualche modo anche il nostro posto nell’economia in Europa e nel Mediterraneo.
2. Burro o cannoni?
Qualcuno qualche tempo fa chiese al popolo: “volete burro o cannoni?”. Il popolo (almeno quello in piazza) rispose “cannoni”. Pensando che poi coi cannoni avrebbe ottenuto anche il burro.
Non andò esattamente così. Arrivarono tanti cannoni e niente burro.
La vicenda Ilva come altre vicende di grandi insediamenti industriali sul territorio nazionale (e meridionale in particolare) può essere annoverata tra questo genere di storie.
Ad un certo punto lo Stato Italiano per far rendere maturo l’orientamento industriale del nostro Paese decise di costruire direttamente industrie non più di cannoni ma di acciaio, di estrazione e produzione del gas, raffinerie di carburanti, impianti petrolchimici e via di seguito.
E lo stabilimento di Taranto fu una di queste opere. L’acciaio da esso prodotto è stato il cuore e il sostegno di molte altre cose che si facevano e fanno anche molto lontano da lì. E’ sempre costato caro ai tarantini ma negli ultimi 10 – 20 anni è costato, in termini di sofferenza, malattie, vite umane sempre più troppo.
Nonostante questo troppo costo, i suoi fumi, i suoi veleni le sue polveri non hanno incontrato le forze sufficienti che li limitassero. Perché l’acciaio costruisce le fondamenta della nostra “civiltà economica e industriale”.
Sotto certi aspetti Ilva per l’economia industriale italiana è stata più importante di Fiat. (si direbbe nel bene o nel male: lo è stata soprattutto, ma non solo, nel male).
E altrettanto sicuramente “gli interessi” dello stabilimento Ilva di Taranto hanno più poteri dell’intera popolazione, dei suoi rappresentanti politici, delle associazioni, delle stesse istituzioni di controllo. Il quadro di confusione totale che emerge dalle carte della procura dà la sensazione di uno Stato assente e contestualmente anche della debolezza di una politica dei beni comuni capace di incidere sulla gestione dello stabilimento Ilva e, in nome di questo approccio politico, pretenderne la riqualificazione ambientale e un sistema dei processi di produzione sottoposto al controllo e alle decisioni della popolazione che vive nelle sue vicinanze.
Qualche corridoio di via Molise a Roma racconta di ministri dell’industria che abbandonavano le riunioni dei tavoli di crisi - che sarebbero durati tutti la notte - alle 19 per andare dalla giovane moglie e dal figlio piccolo. Commovente e tenero quadretto famigliare se a tale Ministro non fosse poi mancato il tempo per cercare di organizzarsi un proprio partito personale.
Altri corridoi raccontano di altri Ministri dell’industria che ad alcuni interlocutori “di fiducia” confidavano di aver “lasciato fare” ad altri.
Altro elemento importante è la solitudine attorno a gente come Stefano, Vendola, Assennato e tanti altri, che la famiglia Riva è riuscita ad erigere. La stessa solitudine e senso di impotenza che potrebbe crescere attorno ad Edo Ronchi e al suo lavoro di questi mesi all’Ilva.
Qui una intervista sul suo lavoro.
Fa parte di un certo senso comune di una parte del mondo ambientalista e della sinistra dire che:
Vendola è colpevole a prescindere perché con i Riva che sono delinquenti non si deve parlare.
Ronchi attraverso i suoi tentativi di recupero ambientale dell’Ilva propugna una sorta di passaggio da un avvelenamento duro a uno un po’ più soft.
Vendola e Ronchi stanno lavorando per rendere possibile la riqualificazione dell’Ilva evitandone la chiusura nei limiti e, a volte, oltre le loro forze.
Per ciò, fino alla data del commissariamento (ovvero fine 2013), Vendola in qualità di Presidente della regione Puglia aveva il dovere di parlare coi Riva.
3. O qualcosaltro.
La questione Ilva è di portata globale e storica non solo per il passato ma per il futuro e come tale bisognerebbe provare ad affrontarla.
Alla base delle accuse politiche che arrivano dal mondo ambientalista c’è l’idea che lo stabilimento dell’Ilva a Taranto debba essere chiuso “senza se e senza ma” .
Questo approccio ci induce almeno due domande:
Possiamo fare a meno dell’acciaio?
Dove e come si può produrre acciaio in maniera sostenibile?
Naturalmente la seconda domanda consegue alla risposta della prima.
Non credo che, in assoluto, ci possa esser qualcuno che pensi che oggi si possa svolgere una qualsiasi attività economico produttiva senza acciaio. In alternativa gli unici materiali sostitutivi all’acciaio sono di origine petrolchimica.
Quindi potremmo forse fare a meno dell’acciaio bruciando più petrolio. Non credo sia né possibile né particolarmente sostenibile dal punto di vista ambientale.
Quindi passiamo alla seconda domanda
Cominciamo a dire che alla sinistra sovietica l’acciao è sempre piaciuto tanto.
Fino al punto che: Ilva deve essere lasciata aperta senza se e senza ma. Ce ne sono molti che ancora adesso pensano e praticano questa posizione.
Poi ci sono altri che sostengono che nella competizione globale non si può certo andare sul sottile con i costi che comporterebbe una completa sicurezza ecologica della produzione.
Guardate cosa fanno in Cina o in India: come possiamo competere coi loro costi?
Quindi acciaio sì ma che lo facciano gli altri. E che i bambini, donne, uomini e operai cinesi, indiani, indonesiani coreani si arrangino.
C’è poi chi sostiene che l’Italia deve fare l’Italia e puntare sulla qualità delle sue produzioni e quindi l’acciaio sporco facciamolo fare altrove. Noi dedichiamoci a produrre…mozzarelle o, meglio burrate.
Questa è la versione farinettian Renziana:
Ma quale burro o cannoni…
Burrate vogliamo burrate!!!
Forse si potrebbe chiedere a Farinetti di rilevare l’area Ilva e convertirla in un mega Eataly – per il bacino del mediterraneo. (Poi magari un cantante popolare ci fa notare che Eataly non sorge dalle ceneri di una civiltà industriale ma da teatri abbandonati).
QUESTA E’ LA BOTTA del cantante
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/20/adriano-celentano-laccusa-sul-fatto-venezia-eataly-e-i-carnefici-della-bellezza/920159/
QUESTA E’ LA RISPOSTA del pizzicarolo
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/03/21/farinetti-vs-celentano-poesia-delle-mie-salsicce-non-inferiore-alla-tua-via-gluck/271132/
Non ce l’ho né con Farinetti né con Celentano (il secondo mi da più piacere ma è una questione di gusti) ma con chi parla di lui come se fosse l’esempio da seguire per il futuro dell’Italia: vorrei sommessamente far notare che Farinetti parla di 260-280 lavoratori mentre nello stabilimento di Taranto sono oltre 11.000, di cui 9500 di età compresa tra 20 e 39 anni, quasi tutti di Taranto e provincia.
PASSIAMO DAL FOLCLORE ALLA REALTA’
La realtà è che non si può pensare Taranto senza la produzione di acciaio. Se ciò avvenisse sarebbe una tragedia sociale e anche ecologica: quell’area diventerebbe una zona di nessuno. Habitat di lupi e cammorristi e l’intera economia industriale italiana non starebbe meglio.
Il rischio che ciò avvenga è ben più che un’ipotesi. Anzi credo che sia la cosa più probabile.
L’alternativa oggi è tra chiusura e riqualificazione.
Il piano di Ronchi e dei commissari, sulla base di realtà già esistenti in Germania (in particolare il polo di Duisburg) e delle migliori tecnologie disponibili, non è solo quello di allineare Ilva agli standard europei di qualità (il famoso limite 0,1ng/mc) e rispettare i termini dell’AIA ma di produrre un acciao decarbonizzato senza emissioni di diossine e di polveri delle cokerie.
Non è detto che ci riesca e che ciò sia del tutto possibile. Probabilmente l’alternativa potrebbe essere uno stabilimento più piccolo.
In ogni caso per fare ciò che Ronchi ci ha detto ci vogliono:
Oltre 3 miliardi di euro di investimenti
La possibilità che Ilva possa approvigionarsi di gas direttamente sull’altra sponda del mediterraneo bypassando ENI ed ottenendo cosi un prezzo inferiore del 30- 40% rispetto a quello che viene praticato in Italia .
Sono due questioni piuttosto interessanti per le quali ho solo un paio di domande.
Nel dicembre 2013 la Cassazione ha annullato un sequestro di 8,1 miliardi di euro della famiglia Riva, si tratta di una cifra così stimata dai custodi giudiziari degli impianti dell’area a caldo del siderurgico tarantino, quale cifra equivalente alle somme che nel corso degli anni la società avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti. La sesta sezione penale ha accolto il ricorso presentato dai legali Coppi e Paliero, e ha disposto la restituzione alle holding di tutti i beni. Altri circa 3 miliardi sono ancora sotto sequestro giudiziario decretato dal tribunale di Milano. E’ possibile di fronte a una situazione di eccezionale necessità di ripristino di condizioni di benessere comune chiedere e ottenere politicamente che questi fondi possano essere utilizzati a questo scopo? Perché nessuno lo chiede?
Al di là della propaganda liberalizzatrice: qual’è in Italia la possibilità per una azienda strategica di ottenere condizioni economiche di fornitura del gas tali da trovarsi in conflitto rispetto agli interessi e alle posizioni dominanti di Eni?
Forse quando si parla di futuro e di globalizzazione vale la pena di riflettere e agire su questo.