Rinnovabili in Puglia, Vendola dice basta ma non tutti sono d'accordo | Rassegna stampa
In una intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno, il presidente della Regione Puglia sostiene la necessità di "calmierare" le installazioni di eolico e fotovoltaico sul territorio pugliese, per ridurre l'impatto sul paesaggio e i costi per le infrastrutture. Ma sono in molti a pensarla diversamente, Da Ferrante (Kyoto Club) a Green Italia, fino ad Assoelettrica (che in realtà i limiti alle rinnovabili li vuole, eccome). Rassegna stampa dedicata alla vicenda
01 April, 2014
«Enormi costi di infrastrutturazione, che ricadono sulla tariffa elettrica, e impatti territoriali notevolissimi». Questi i problemi causati dal boom pugliese delle fonti rinnovabili, secondo il presidente della Regione Nichi Vendola, che ha affidato a un'intervista su La Gazzetta del Mezzogiorno, raccolta da Massimiliano Scagliarini, le sua considerazioni sulla necessità di calmierare l'installazione di eolico e fotovoltaico.
Ecco il testo integrale dell'intervista di Nichi Vendola sulle rinnovabili (link all'originale)
«L’Europa ci chiede di produrre il 20% di energia rinnovabile entro il 2020. La Puglia ha doppiato l’obiettivo 8 anni prima del termine, con enormi costi per il proprio territorio. Adesso però serve un elemento di rottura». Insomma, dice il governatore Nichi Vendola lanciando un appello al governo Renzi, così non si può più andare avanti: «Senza drammatizzare, oggi siamo in tempo per dire che va aperta un'altra fase. Non è più il momento di stimolare, oggi è il tempo di contenere una crescita divenuta insostenibile. È un problema di cui sarà giusto investire maggioranza e Consiglio regionale, oltre che chi - come la Sicilia - ha lo stesso problema. E in questo il governo deve interpretare il proprio ruolo, altrimenti dovremo valutare anche atti forti. Presidente Vendola, iniziamo dal quadro generale.
Come giudica la politica energetica italiana?
«In Italia non è mai esistito un dibattito consapevole e trasparente sulle questioni dell'energia. La politica è ciclicamente segnata da campagne che definirei terroristiche sul rischio di un imminente black-out, campagne in qualche modo sollevate dalle principali lobby come arma di pressing per sdoganare di volta in volta progetti presentati come strategici se non addirittura salvifici. Il ragionamento dovrebbe invece partire da una ricognizione seria e puntuale del fabbisogno del popolo italiano, e dovrebbe indicare con nitidezza gli obiettivi e il cronoprogramma per il raggiungimento dell'autonomia energetica del Paese».
L’Italia negli anni Sessanta si era innamorata del nucleare, all’epoca indicato come soluzione al problema dell’indipendenza energetica. Oggi si dice la stessa cosa delle energie rinnovabili. Rischiamo, secondo lei, che finisca allo stesso modo?
«L'abbandono del nucleare è stato più subito che scelto dalle classi dirigenti anche perché pareva che l'alternativa fosse il ritorno alla candela. Poi siamo entrati nell'epoca delle rinnovabili senza una cultura della pianificazione e della regolazione. E, al di là della soglia percentuale indicata dall'Unione Europea, ci siamo entrati malissimo perché ad un quadro di deregulation abbiamo aggiunto gli incentivi a pioggia alle imprese».
E qui veniamo al tema: la corsa agli incentivi ha fatto sì che la Puglia sia diventata il primo produttore italiano di eolico e fotovoltaico. Ma senza che questo abbia portato alcuno degli auspicati vantaggi per il territorio.
«In questi anni la Puglia ha provato, a più riprese, e sempre invano, a porre il tema di una regolamentazione utile non solo per la difesa del paesaggio ma anche per la tutela di insediamenti produttivi di qualità. Abbiamo provato con la moratoria dell'eolico che ci è stata bocciata dalla Corte Costituzionale, abbiamo fatto una legge di regolamentazione e poi un regolamento: tutti e tre ci sono stati bocciati per la stessa ragione, cioè che non abbiamo competenze, nonostante per tre volte avessimo provato a supplire alla vacanza legislativa dello Stato. Basti considerare che le linee guida nazionali previste dal Decreto 387/2003 sono arrivate con 7 anni di ritardo in un quadro in cui la politica energetica nazionale è una scelta delegata ad alcuni gestori dell'industria elettrica».
Perché poi, alla fine, quegli incentivi ai produttori li paghiamo tutti quanti.
«Infatti periodicamente le associazioni dei consumatori denunciano l'indecifrabilità della bolletta elettrica, in cui non si spiega con chiarezza che stiamo sopportando pesantemente il costo del decommissioning nucleare. In bolletta non si capisce quanta sia la ricchezza che trasferiamo dai contribuenti alle compagnie petrolifere. I cittadini, sotto la voce Cip6, hanno sostenuto e finanziato gli investimenti delle grandi aziende nella termovalorizzazione e gli incentivi all'industria del rinnovabile».
Tutti questi soldi, oltretutto, non sono serviti a modernizzare l’infrastruttura di trasmissione: dal punto di vista dell’energia, la Puglia è come il casello di Riccione a Ferragosto...
«La rete elettrica di trasmissione è un colabrodo, una infrastruttura arcaica che non solo non consente la conservazione del surplus ma che crea spreco, dissipazione e criticità: i nostri dati parlano di un 18% di perdite, più dell'energia prodotta da una centrale nucleare».
Nonostante questo, però, nei primi anni della sua giunta c’è stato un obiettivo favore per l’installazione dei parchi eolici e fotovoltaici...
«Sì, perché era un modello di sviluppo nuovo. Il rinnovabile non è solo un nuovo segmento economico, né un settore collaterale rispetto ai carburanti fossili: dovrebbe costituire un alternativa. Ma se lo Stato rinuncia al suo ruolo di regolatore, questi sono i risultati. Bisognava suscitare la domanda, non proteggere l'offerta: energia pulita per gli edifici scolastici, come sta facendo la Puglia investendo i fondi europei, e generazione diffusa. Non mega-centrali, ma un pannello solare in testa a ogni famiglia e su tutte le tettoie delle aree di parcheggio. Serviva un nuovo rapporto tra energia e democrazia, invece abbiamo avuto solo incentivi a pioggia - pagati con le bollette dei cittadini e delle imprese - e una pioggia di azioni di risarcimento per i ritardi nelle autorizzazioni».
Insisto: forse ce ne accorgiamo troppo tardi.
«Noi abbiamo creduto nelle rinnovabili, abbiamo investito energia politica e di gestione. È accaduto tuttavia che questo investimento, giocato su un terreno drogato dagli incentivi e sottratto alla capacità regolativa della Regione, abbia determinato una spinta molto più potente rispetto a quanto potevamo immaginare. È giusto, oggi, constatare con amarezza che le politiche di incentivazione e i ritardi regolatori che permangono tuttora hanno lasciato esposti proprio i territori più generosi verso le rinnovabili».
Cosa non ha funzionato?
«È mancato l'elemento di sinergia, perché lo Stato ha fatto sì che gli interessi industriali siano risultati prevalenti rispetto alla tutela del territorio. Oggi la Puglia ha il primato di produzione italiana sia nell'eolico che nel fotovoltaico, ma questo primato determina enormi costi di infrastrutturazione, che ricadono sulla tariffa elettrica, e impatti territoriali notevolissimi. In Italia nel rinnovabile ci sono Regioni che hanno dato e Regioni che non hanno dato. Ora, la Puglia - che ha dato, e tanto - non può più pagare in bolletta incentivi e investimenti sulla rete».
La legge dice però che tutte le Regioni devono contribuire agli obiettivi di produzione di energia rinnovabile. E nessuno può sottrarsi a questo principio.
«I criteri di burden sharing sono insufficienti. L'Europa ha posto un obiettivo medio di copertura da fonte rinnovabile nel 2020 pari almeno al 20%? Bene. La Puglia è arrivata al 40% già nel 2012, e lo scorso anno siamo cresciuti ancora. È giunto il momento di mettere un tetto. Senza drammatizzare, oggi, siamo in tempo per dire che si apre un'altra fase in cui dobbiamo agire in maniera più drastica, chiedere che il governo interpreti appieno il proprio ruolo, e - in mancanza - valutare anche atti forti».
Detto questo, però, le numerose inchieste giudiziarie di questi anni hanno dimostrato che non tutto ha funzionato anche negli uffici degli enti locali. Non sempre chi doveva controllare ha controllato.
«La Regione, travolta dalla numerosità delle domande, si è dovuta concentrare sul rilascio delle autorizzazioni per evitare di incorrere nelle azioni di risarcimento del danno, e non si è invece dedicata a un’attività indispensabile come il controllo delle autorizzazioni già rilasciate per verificare con attenzione proprio le criticità emerse negli anni. Parliamo delle Province: non tutte procedono correttamente nella valutazione degli impatti cumulativi. Infine i Comuni: le autorizzazioni semplificate per gli impianti fino a 1 MW, previste da una norma oggi cancellata dalla Consulta, non sono state né sufficientemente monitorate, né per la maggior parte censite. E spesso sono state utilizzate per eludere i controlli».
Che cosa intende fare?
«Cominciamo con una delibera che contiene un’azione, in particolare sulle Province, perché le valutazioni siano quanto più possibile omogenee tra loro e rispettino tutta la normativa in essere».
Spieghiamo con un esempio.
«Ci sono Province, come Foggia, dove in sede di Via non si tiene in debito conto o comunque si sottovaluta l’effetto degli impatti cumulativi. Installare un parco in una porzione di territorio vergine non è la stessa cosa che installarlo in un territorio dove ce ne sono già uno, due o anche dieci».
Ma se serve un tetto alla produzione, bisognerà discuterne a Roma con il ministro dello Sviluppo economico.
«Noi faremo un tentativo per sollecitare il governo a un intervento-calmiere. Ma questo sarà un problema di cui sarà giusto investire anche la maggioranza e il Consiglio regionale. Tuttavia, per evitare che in Consiglio regionale arrivi un ennesimo provvedimento dal sapore di incostituzionalità, è necessario che il governo nazionale si renda conto di quanto è accaduto in questi anni. Lo sviluppo delle rinnovabili è stato assolutamente diversificato tra Regione e Regione, anche per via della diversa capacità attrattiva dei vari territori, quindi oggi il problema non è tanto di stimolo quanto di contenimento. Non è un caso che come la Puglia, anche la Sicilia in questi giorni abbia cercato di introdurre una moratoria immediatamente dichiarata illegittima dal Tar. I territori più assediati dagli impianti non possono arrivare alla sovra-saturazione. Si mettono a rischio gli interessi ambientali e, ormai, anche il portafogli dei cittadini».
Non è d'accordo Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, che pubblicato la sua replica su Greenreport.it (qui l'articolo originale):
La politica, non sfugge a nessuno, spesso è fatta anche di grandi promesse e repentini riposizionamenti. A volte queste giravolte sono più spettacolari perché a compierle sono personaggi politici che hanno saputo rappresentare nel corso della loro lunga carriera aspettative di cambiamento e novità. Sembra volersi iscrivere a questa categoria il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, il quale ha riservato spazio importante nella sua narrazione all’importanza dello sviluppo delle energie rinnovabili, portando ad esempio il territorio da lui amministrato come eccellenza italiana.
Qualcosa evidentemente deve essere cambiato, perché ieri (30 marzo) molti avranno dovuto leggere due volte la sua intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno il cui senso è perfettamente riassunto nel titolo «Basta con eolico e fotovoltaico, la Puglia deve girare pagina». Nel testo tutta una serie di considerazioni, sostanzialmente riconducibili al concetto della Puglia vista come terra di conquista, che sconta addirittura un’eccessiva produzione elettrica tramite il fotovoltaico, e un appello al governo Renzi (sic!) per mettere un tetto agli impianti.
Quello che fino a poco tempo fa era lo sviluppo green della regione che amministra da anni, ora è sfruttamento del territorio. La colpa di tutto ciò viene distribuita tra province e comuni di manica larga, uno Stato centrale deficitario in termini di politica energetica, e la Corte Costituzionale che si è intestardita a far rispettare leggi e diritti. E alla domanda, inevitabile, sul perché fin dai primi anni della sua giunta lui abbia favorito i parchi eolici e fotovoltaici Vendola risponde che quello era un modello di sviluppo nuovo, facendo intendere che non lo sia più. Non poteva mancare nell’intervista l’attacco ai costi delle rinnovabili in bolletta, messi alla stregua del balzello del Cip6 e del decommissioning nucleare.
Il tutto condito da considerazioni di buon senso sulla necessità di tutelare il territorio e il paesaggio. Ma francamente appare invece insensato che invece di chiedere che le rinnovabili siano fatte bene e nei posti giusti, in un momento della storia in cui in tutto il mondo movimenti e partiti ambientalisti lavorano per uscire completamente dall’”era fossile” e si pongono l’orizzonte 2050 per costruire una società fossil free, qualcuno, il quale peraltro si ostina a tenere nel simbolo del suo partito una “E” che starebbe per “ecologia”, chieda uno stop alle rinnovabili. Intendiamoci, è lecito cambiare idea e la propria linea politica ed economica, ma voler fermare lo sviluppo delle energie rinnovabili perché si metterebbero a rischio gli interessi ambientali è francamente troppo, detto dal presidente di una regione che ha fatto registrare, secondo gli ultimi dati dell’ISPRA sul consumo di suolo in Italia, valori di cementificazione compresi tra l’8 e il 10%. E che secondo una recente relazione dell’Arpa è la regione con le maggiori immissioni in atmosfera di carattere industriale per varie sostanze inquinanti a livello nazionale, complice il fatto che in Puglia non c’è solo l’Ilva, ma anche le centrali a carbone di Brindisi Sud-Cerano, la più inquinante d’Italia, con 13 milioni di tonnellate di Co2 emesse ogni anno, la centrale Edipower di Brindisi nord che ne emette 1,8 milioni di tonnellate, la centrale Edison a gas di altoforno a Taranto con 5,9 milioni.
E a proposito di interessi industriali Vendola nel corso del suo intervento di sabato con Confindustria ha parlato della necessità di mettere da parte quell’idea di sviluppo condito dalla “retorica della grande bellezza”, e del turismo “della pizzica e delle orecchiette”, per tornare invece al robusto apparato industriale. Insomma, è evidente che è proprio l’ora di una narrazione nuova…
Anche il movimento politico Green Italia ha espresso le sue forti perplessità sulla nuova presa di posizione del presidente Vendola in tema di rinnovabili.
Ecco il testo integrale del comunicato Green Italia, firmato dai portavoce Annalisa Corrado e Oliviero Alotto:
“Chiudere la porta alle rinnovabili, rinunciando a governarne uno sviluppo equilibrato e sostenibile per i territori, equivale necessariamente a spalancare un portone a trivellazioni, potenziamento della raffinazione, ritorno al carbone in maniera massiccia. “E’ questo il commento di Annalisa Corrado e Oliviero Alotto, portavoce di Green Italia, alla ‘sconcertante’ intervista di Nichi Vendola in cui il Governatore della Puglia chiede ‘un tetto’ per le rinnovabili“.
“ Gli obiettivi al 2020, di cui parla Vendola, sono parziali – continuano gli esponenti di Green Italia – oggi si discute di target al 2030 e tanto i partiti e i movimenti ambientalisti quanto gli imprenditori e le industrie più vive e lungimiranti di tutta Europa si pongono l’obiettivo di arrivare al 100% di rinnovabili entro il 2050 (e si strutturano in tal senso). Se è vero che la Puglia ha dato il suo contributo al momento sulla parte elettrica, è altrettanto vero che i Paesi che hanno adottato più avanzate strategie energetico/industriali sono andati ben oltre e hanno programmato percorsi per arrivare a rendere progressivamente marginali i contributi fossili, fino a vederli sparire del tutto.”
“Con la totale sparizione del conto energia per il fotovoltaico e la drastica battuta d’arresto per il grande eolico (dovuta all’introduzione del sistema dei registri e delle aste), per altro, gli attuali sistemi di incentivazione rendono di fatto impossibile la realizzazione di nuove mega-centrali fotovoltaiche e eoliche. Risulta quindi incomprensibile – dicono Corrado e Alotto – la richiesta di Vendola di un ‘calmiere’, addirittura di una ‘revisione degli obiettivi”! Una posizione come quella di Vendola, che in passato si era meritoriamente esposto come paladino delle rinnovabili, rischia di indebolire ancora di più l’atteggiamento di un governo che per ora non sembra consapevole dell’importanza di un ‘green new deal’ per portare l’Italia fuori dalla crisi e avviarla saldamente sulla via di uno sviluppo duraturo e sostenibile.Ciò è tanto più grave alle soglie del semestre italiano in Europa, quando servirebbe una forte spinta PRO e non certo CONTRO la ripresa dello sviluppo del settore delle energie pulite, in vista della dura battaglia nell’Unione Europea intorno al Pacchetto Clima ed energia 2030. La Puglia, come tutta l’Italia, è ancora disseminata di coperture in eternit di aree industriali per centinaia di migliaia di mq, che consentirebbero la realizzazione di vere centrali fotovoltaiche sui tetti, eliminando un killer ad orologeria come l’amianto, le cui fibre producono un lento e inesorabile rilascio nell’aria. La Puglia, come tutta l’Italia, è ancora disseminata di centrali termiche medio-piccole alimentate a gasolio agricolo, Gpl e Btz, con costi insostenibili per gli imprenditori (che spesso chiudono intere linee produttive per i costi di generazione dell’energia). La Puglia dispone da quantità elevatissime di biomasse locali (a partire dagli scarti delle potature degli ulivi, spessissimo bruciati nei campi contro la legge, e poi dalla sansa e dal nocciolino, disponibili in enormi quantità sul territorio pugliese), che secondo una stima della Regione stessa potrebbero dare contributi importantissimi alla generazione localizzata, in un’ottica di filiera corta e di seria risposta alle problematiche del territorio. La Puglia, soprattutto, ospita sul suo territorio uno dei poli energetici fossili, a Brindisi, più grandi e più inquinanti d’Europa e chi ha cuore salute dei cittadini e il loro futuro si dovrebbe piuttosto occupare di quel polo piuttosto che proporre arcaici tetti alle rinnovabili.
“È fortemente necessario chiudere la porta alla speculazione, al saccheggio del territorio, al consumo selvaggio di suolo di pregio, – concludono i rappresentanti di Green Italia -, ma alle rinnovabili no. La porta va chiusa ai furbetti e spalancata a chi le rinnovabili sa farle bene, valorizzando risorse e risolvendo problemi del territorio, anche investendo sull’adeguamento di una obsoleta rete elettrica. Perché il futuro o sarà rinnovabile o, semplicemente, non sarà.”
Sostanzialmente critico anche il commento di Assoelettrica, non tanto sulla questione in sé dei limiti alle rinnovabili (anzi), quanto sulle cifre snocciolate da Vendola e sul presunto "ritardo" della sua presa di coscienza. Qui il testo integrale del comunicato Assoelettrica.