Governo, preoccupati i medici per l'ambiente (ISDE Italia) per il collegato ambientale alla legge di stabilità
ISDE Italia esprime grande preoccupazione per alcuni dei contenuti del disegno di legge collegato alla legge di stabilità 2014. Le “semplificazioni” alle procedure VIA (Valutazione di Impatto Ambientale previste dal collegato ambientale sarebbero ad unico vantaggio dei proponenti. Rischiano di ridurre a mera formalità burocratica l’iter autorizzativo
15 April, 2014
A Palazzo Chigi, il Consiglio dei Ministri il 15 novembre scorso aveva approvato su proposta dell'allora Ministro dell’Ambiente e tutela del territorio e del Mare Andrea Orlando, un disegno di legge collegato alla legge di Stabilità recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali.
La posizione di ISDE Italia curata dal pugliese Agostino Di Ciaula è questa: l'associzione esprime grande preoccupazione per alcuni dei contenuti del disegno di legge collegato alla legge di stabilità 2014, contenente “disposizioni in materia ambientale” e di prossima discussione alla Camera dei Deputati (atto Camera 2093). Alcune disposizioni sugli iter autorizzativi di impianti inquinanti e in tema di gestione dei rifiuti urbani, qualora approvate, rischierebbero di svigorire le garanzie a tutela di salute pubblica e ambiente attualmente contenute nel D. Lgs. 152/2006 e nel codice penale.
Le “semplificazioni” alle procedure VIA previste dal collegato ambientale sarebbero ad unico vantaggio dei proponenti le opere da sottoporre a valutazione e rischiano di ridurre a mera formalità burocratica l’iter autorizzativo di pratiche gravemente lesive dell’ambiente, come lo scaricare in mare “acque derivanti da attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”, i dragaggi e “la posa di cavi e condotte”. Alcune aree del nostro territorio Nazionale sono ormai da anni fatte oggetto di un vero e proprio assalto da parte di attività imprenditoriali che con crescente aggressività tentano di sottrarre al diritto di preservazione aree di pregio ambientale, fondali e coste, in particolare nel meridione d’Italia, muovendosi spesso in aperta violazione degli articoli 9 e 41 della carta Costituzionale.
La VIA, inoltre, così com’è strutturata, non è in grado di fornire adeguate tutele alla salute pubblica. Nonostante questo, a fronte di una semplificazione che rischierà di indebolire il procedimento autorizzativo, si ignora completamente la necessità di obbligare gli enti locali ad efficaci valutazioni preliminari di impatto sulla salute dei residenti, mediante l’applicazione di strumenti epidemiologici di prevenzione del rischio come la VIS (Valutazione di Impatto Sanitario) e la VDS (Valutazione di Danno Sanitario).
In merito alla gestione dei rifiuti, nel rispetto degli indirizzi della Comunità Europea, si introducono giusti incentivi per l’acquisto di prodotti realizzati con materia riciclata (art. 11). Le stesse indicazioni comunitarie, tuttavia, sarebbero in realtà completamente rispettate solo ponendo in essere forme di incentivazione economica diretta per l’imprenditoria sostenibile che lavori sul recupero di materia, almeno pari a quelle di cui da anni beneficiano gli imprenditori del recupero energetico (ad es. termovalorizzatori). Gli imprenditori “delle buone pratiche”, gli unici a rispettare di fatto l’art. 41 della Costituzione, continueranno invece ad essere penalizzati nei confronti degli imprenditori dell’incenerimento. Sarebbe giusto porre entrambe le forme di imprenditoria nelle stesse condizioni, attribuendo simili privilegi ad entrambi o, meglio, rimuovendo i privilegi esistenti per la combustione di materia.
La certificazione dell’incapacità dello Stato a rispettare le sue stesse leggi (obbligo di raggiungere il 65% di raccolta differenziata entro dicembre 2012, mentre siamo ora a circa il 39%), verrebbe semplicemente cancellata con l’articolo 14, che sposta il raggiungimento di quell’obiettivo dal 2012 al 2020. La storia del nostro Paese ha insegnato che la politica delle proroghe non ha mai garantito risultati sostenibili e sarebbe stato meglio dare prova di vera volontà di cambiamento e porsi come obiettivo concreto per l’anno 2020 quello richiesto agli Stati membri dal Parlamento Europeo con il testo adottato il 24 maggio 2012 (A7-0161/2012), che invita al “rispetto della gerarchia dei rifiuti”, al progressivo azzeramento del rifiuto residuo, all’abbandono delle discariche e, soprattutto, all’abbandono progressivo (“phasing-out”) dall’incenerimento entro il prossimo decennio.
Invece, procedendo in senso esattamente contrario, con l’art. 19 il disegno di legge si pone come obiettivo la realizzazione di una “rete nazionale integrata e adeguata di impianti di incenerimento” per “rifiuti indifferenziati” (i più pericolosi in assoluto per ambiente e salute), preceduta da una sorta di inventario degli impianti esistenti e dalla previsione dei nuovi impianti necessari in base a questa necessità.
Numerose e solide evidenze scientifiche nazionali e internazionali hanno dimostrato che la combustione dei rifiuti, dovunque e comunque avvenga, è pratica nociva per la salute dei residenti, oltre a fungere da enorme deterrente per buone pratiche quali il riciclaggio, il riuso, la separazione a freddo, il recupero di materia e la riduzione della produzione di rifiuti. Il nostro Paese e le nostre Comunità locali dovrebbero essere messe dal Governo nelle condizioni migliori per considerare i rifiuti come una risorsa da utilizzare e non come un problema da distruggere. L’Italia dovrebbe rappresentare nel prossimo futuro un esempio delle buone pratiche e non il Paese capofila dell’incenerimento.
Siamo attualmente al terzo posto in Europa per numero di inceneritori attivi sul territorio nazionale e le recenti disposizioni volte ad agevolare l’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti (CSS) nei cementifici (circa 60 impianti in Italia), ci farebbero rapidamente scalare le posizioni della graduatoria e, oltre a darci il primato Europeo, ci confermerebbero tra i primi Paesi al mondo per capacità di incenerimento.
Grandi timori sorgono per l’art. 29, con il quale si propone addirittura di ignorare un reato penale: la combustione sul campo dei residui vegetali. Questa pratica genera un'importante quantità di gas serra e di emissioni tossiche in atmosfera (micro- e macroinquinanti), oltre che ceneri da combustione, potenzialmente in grado di contaminare anche irreversibilmente i terreni e le falde acquifere. Alcuni degli inquinanti emessi dalla combustione dei residui vegetali da frantoio sono persistenti nell’ambiente, non biodegradabili e accumulabili nei tessuti umani e vegetali, con emivita che in alcuni casi può superare il secolo.
Inoltre, anche a non voler considerare “rifiuti” i residui vegetali, non si potrebbe fare a meno di considerare rifiuti (anche pericolosi) le ceneri da combustione, che sarebbero prodotte dal permesso di bruciare gli scarti in terreni predestinati al massacro ambientale. Queste sono le ragioni per le quali questa pratica (che danneggia anche chi la esegue) è attualmente penalmente perseguibile. Il disegno di legge permetterebbe invece di “effettuare la bruciatura dei residui vegetali, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di inquinamento atmosferico e di salvaguardia della salute umana”. Questo obiettivo è improponibile per l’impossibilità di controlli e verifiche sulle quantità e sulle tipologie di residui bruciati, sulla tipologia e sulle quantità delle emissioni inquinanti, per l’incremento del rischio sanitario (esposizione occupazionale) di chi effettuerebbe materialmente la combustione e di chi risiede nei territori limitrofi, per la contaminazione (che può anche essere irreversibile) dei terreni sui quali avverrebbe la combustione e per l’incerta destinazione finale delle ceneri da combustione, che sono classificabili come rifiuti tossici e andrebbero smaltite in discariche per rifiuti speciali, a costi molto elevati. Come nel caso dell’imprenditoria del recupero, anche in questo caso un’alternativa sostenibile sarebbe stata l’obbligo di compostaggio (magari con agevolazioni/incentivi) delle frazioni di scarto.
Alcune delle disposizioni contenute nel disegno di legge in oggetto avranno importanti conseguenze non solo economiche ma anche sociali e sanitarie e guideranno lo sviluppo o la involuzione della tutela ambientale e sanitaria nel nostro Paese almeno nel prossimo decennio. La risoluzione dei punti critici evidenziati da ISDE Italia potrebbe garantire un futuro sostenibile al nostro Paese, rispettare la tutela dell’ambiente inteso come determinante principale della salute umana e compiere un significativo passo verso la prevenzione primaria.
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