Ilva e l'acqua potabile per uso industriale. L'ex assessore Amati risponde a Bonelli (Verdi)
Sulla questione delle acque potabili utilizzate dall'Ilva interviene l'ex assessore Fabiano Amati: "Per la componente ambientale sulle acque prelevate dal Sinni, l’Ilva è tenuta a pagare alla Regione Basilicata. L’aumento delle tariffe mirava a dissuadere Ilva ad utilizzare le acque del Sinni, sostituendole con quelle affinate dell’impianto di depurazione Gennarini-Bellavista"
16 April, 2014
“Mi rendo conto che l’argomento acqua è difficile, ma Bonelli dovrebbe avere un po’ più d’umiltà ed approfondire. Poi sarei decisamente felice se su quest’argomento la Regione Puglia, ed anch’io, potesse contare su Bonelli e su chiunque ne abbia forza e voglia, per realizzare un progetto di razionalizzazione nell'uso dell'acqua che va avanti dal 2009”.
Lo dichiara il Consigliere regionale Fabiano Amati, con riferimento alle ulteriori dichiarazioni rilasciate oggi dall’On. Angelo Bonelli, sulla questione delle acque del Sinni e del Tara utilizzate da Ilva. Fabiano Amati assessore della Regione Puglia dal 7 luglio 2009 a marzo 2013, durante il suo mandato, dopo un teso braccio di ferro con l'azienda, inasprì le tariffe dell'acqua potabile.
“Nella vicenda del costo dell’acqua prelevata dal Sinni da Ilva il fornitore non è la Regione Puglia ma l’Ente Irrigazione per la Puglia, la Lucania e l’Irpinia (EIPLI). Ciò vuol dire che ILVA è tenuta a pagare il costo industriale dell’acqua all’EIPLI e non alla Regione Puglia, che in ogni caso – e per quanto ricordi - è pari a € 0,2097 per metro cubo. Per quanto riguarda invece il costo per la componente ambientale sulle acque prelevate dal Sinni, l’Ilva è tenuta a pagare alla Regione Basilicata. Che mi risulti, la Regione Basilicata non è molto tempestiva ad esigere il pagamento, e questo fu motivo di notevole dibattito tra Regione Puglia e Basilicata durante numerose riunione del Comitato di coordinamento Puglia-Basilicata e nel corso del periodo 2011-2013. In ogni caso, se si vuole sapere se e quando Ilva paghi bisogna rivolgersi alla Regione Basilicata.
In ogni caso. Gli oneri della componente ambientale furono ridotti per gli usi agricoli e aumentati per gli usi industriali, nella seduta del Comitato di coordinamento Puglia-Basilicata dell’ottobre 2011. La proposta fu avanzata dalla Regione Puglia e poi approvata, nonostante notevoli contrarietà della stessa Regione Basilicata. Per ottenere l’approvazione la Regione Puglia dovette minacciare il rifiuto di AQP a pagare la sua quota di componente ambientale, se la Basilicata non avesse provveduto a consentire l’aumento della tariffa.
La delibera del Comitato di coordinamento di rimodulazione delle tariffe, prevedeva la riduzione del costo dell'acqua per l'uso agricolo del 25 % (che quindi diventava di € 0,06 al metro cubo) e l'aumento per quello industriale nella misura del 250 % per il 2012 (che quindi diventava di € 0,20 al metro cubo), del 400 % per il 2013 (che quindi diventava di € 0,32 al metro cubo) e del 500 % per il 2014 (che quindi diventava di € 0,40 al metro cubo). Allo stato, quindi, Ilva dovrebbe versare € 0,40 al metro cubo per i circa 250 litri al secondo che consuma. Se lo faccia o meno non posso saperlo, perché questa è una somma di denaro che spetta alla Basilicata, in quanto creditore dell’Ilva - come detto - per il pagamento della componente ambientale. Anche se per almeno due volte, se non ricordo male, la Regione Puglia ha chiesto ad Ilva (pur non avendo titolo) di pagare la Regione Basilicata.
C’è da dire, inoltre, che Ilva impugnò dinanzi al TAR la delibera di aumento delle tariffe dell’ottobre 2011. Il ricorso fu respinto e la Regione Puglia nell’occasione si difese con determinazione e prontezza.
Il motivo per cui la Regione Puglia decise di proporre nell’ottobre 2011 l’aumento delle tariffe della componente ambientale, consisteva nel tentativo di dissuadere Ilva ad utilizzare le acque del Sinni, sostituendole con quelle dell’impianto di ultraffinamento Gennarini-Bellavista, così da poter convogliare nell’invaso Pappadai, allo stato monumento all’incompiutezza, i 250 litri al secondo prelevati da Ilva dal Sinni. La funzionalità della diga Pappadai avrebbe poi realizzato l’appagamento di esigenze irrigue ed idropotabili.
Si giunse allo strumento dell’aumento del costo dell’acqua del Sinni, per realizzare la persuasione di Ilva ad utilizzare le acque ultraffinate del Gennarini-Bellavista. Vani erano stati i tentativi negoziali precedenti per raggiungere tale obiettivo, perché Ilva opponeva un pervicace rifiuto (anche maleducato) a tale prospettiva e nulla potettero le mie denuncie e stigmatizzazione di tale condotta.
Si tenga conto che all’epoca l’Ilva era la famiglia Riva e solo una ristretta avanguardia si preoccupava di dare sostegno a queste iniziative, per cui la Regione Puglia (ed io la rappresentavo in quel ramo) si ritrovava a compiere azioni quasi solitarie. Magari all’epoca avessi avuto a sostegno la determinazione politica di tante personalità nazionali e locali, che alla caduta dell’impero Ilva hanno prestato militanza intelligente e puntuale ai temi ambientali nella città di Taranto.
C’è da dire, infine, che la Regione Puglia non c’entra nulla con le acque del Tara. Il pagamento spetta ad Ilva in favore dell’EIPLI, in forza di vari accordi di tipo privatistico sottoscritti negli anni tra le due parti. Maggiori dettagli, quindi, sono in possesso dell’Eipli”